St. John the Evangelist by Ermes Dovico

EGITTO

Partita aperta tra Esercito e Fratelli musulmani

La reazione violenta dei Fratelli musulmani al colpo di stato contro Morsi era attesa. Ora l’esercito dovrà dimostrare la responsabilità di traghettare il paese verso una democrazia vera in nome di quel popolo sceso in piazza.

World 09_07_2013
Scontri nelle piazze egiziane

“Sinora i Fratelli musulmani hanno indetto guerre contro i governi, lo hanno fatto prima e dopo la rivoluzione di luglio del 1952. L’ultima guerra invece, che sarà l’ultima non solo cronologicamente, ma anche in assoluto, è una guerra contro il popolo egiziano”. L’intellettuale egiziano Ali Salem ha ben compreso il discrimine, la peculiarità della situazione creatasi in Egitto dopo il 5 luglio.  La carta vincente dei Fratelli musulmani sino alla cacciata di Mubarak è sempre stata l’individuazione di un tiranno, il Faraone coranico da combattere e da cacciare. Un Faraone traditore, miscredente e apostata da combattere in nome dell’islam. Ora è tutto diverso e quindi sono diversi i parametri. A essere allontanato è un loro rappresentante di punta, giudicato dal popolo corrotto e inadeguato. Quindi gridano all’illegalità, emettono fatwe che invitano alla lotta, anche armata, sino al ripristino della presidenza di Mohammed Morsi. Secondo l’ottica dei Fratelli musulmani la società egiziana è oggi divisa in pro-Morsi e contro-Morsi, pro-colpo di Stato militare e contro-colpo di Stato militare, ultimo, ma non meno importante, in veri musulmani e traditori-nemici dell’islam. 

Il giurista Ozan Varol sostiene che per parlare di colpo di Stato democratico debbano sussistere sette caratteristiche: 1. il colpo di Stato deve essere messo in atto contro un regime autoritario o totalitario; 2. i militari rispondono alle richieste insistenti di un’opposizione popolare contro quel regime; 3. Il regime totalitario o autoritario rifiuta di dimettersi in risposta a una rivolta popolare; 4. Il colpo è messo in atto da militari altamente rispettati in seno alla nazione, per via della coscrizione obbligatoria; 5. i militari mettono in atto il colpo di Stato per sovvertire il regime autoritario o totalitario; 6. i militari facilitano l’avvio di elezioni libere e democratiche a breve termine; 7. il colpo di Stato si chiude con il trasferimento di potere a leader democraticamente eletti. Ebbene, non si può negare che almeno i punti 2 e 3 corrispondono appieno al caso egiziano. 

Anche se alcune misure dei militari, quali gli arresti dei leader dei Fratelli musulmani, la chiusura delle sede del movimento, la chiusura della sede egiziana della televisione satellitare Al-Jazeera, possono essere sembrate non democratiche, quanto sta accadendo sulle strade delle città e dei villaggi egiziani giustifica ogni precauzione. I militari conoscono bene la Fratellanza, sapevano che non sarebbe stata a guardare, sapevano che il ricorso alla violenza ci sarebbe stato. E c’è stato. Il video dei giovani anti-Morsi che vengono scaraventati da una terrazza e massacrati nei pressi d’Alessandria, l’entrata in azione delle milizie dei Fratelli musulmani disposte al martirio pur di riportare la “legalità” di Morsi non hanno bisogno di commenti. E’ stata dichiarata l’intifada egiziana.

In un comunicato del Partito della Libertà e della Giustizia, l’ala politica del movimento fondato da Hasan al-Banna, “si invita il nobile popolo egiziano all’intifada contro chi vuole scipparne la rivoluzione con i carriarmati, procedendo anche sui cadaveri delle persone”.  Nel linguaggio dei Fratelli musulmani intifada rimanda immediatamente alla Palestina, intifada è in questo caso contrario di tamarrud. L’intifada è sinonimo di muqawama, resistenza, quindi è lecita dal punto di vista religioso. Tamarrud, la ribellione popolare, è invece inaccettabile dal punto di vista “islamico” poiché laica e nella fattispecie si rivolge a un presidente, Morsi, musulmano. Se queste sono le idee propugnate da Yusuf Qaradawi e dai leader della Fratellanza, non sono certo quelle di tutti i musulmani, primi fra tutti i responsabili di al-Azhar il cui Grande Imam ha “benedetto”, unitamente al Papa copto, la presa di potere da parte dei militari. Alla celebre istituzione islamica, si devono aggiungere gli egiziani, anima della “ribellione”, musulmani di nascita e non affiliati all’ideologia religioso-politica della Fratellanza. 

L’indicazione dell’economista Ziad Baha al-Din come probabile Primo ministro nell’ennesima fase di transizione, dimostra la strada intrapresa dall’esercito. Si tratta di un uomo forte che rappresenta la linea dura nei confronti dell’estremismo islamico. A questo punto si tratta di una guerra di attrito, una guerra che verrà persa da chi cederà per primo. L’esercito dovrà mostrarsi indifferente alla lotta armata, alle minacce di attentati terroristici in nome di un presunto “islam vero”. L’esercito dovrà dimostrare di essersi assunto la responsabilità di traghettare il paese verso una democrazia vera in nome di quei “ribelli” che sono scesi pacificamente in piazza, quei “ribelli” che sono il vero Egitto. 

Nel 2011, il giurista tunisino Ali Mezghani nel saggio Lo Stato incompiuto (Gallimard, Parigi) scriveva: “Mettendosi al riparo dalle evoluzioni, le società arabe non sono state in grado di costruire di uno Stato di diritto e di instaurare regimi democratici. In questo il loro Stato resta incompiuto. La sua costruzione dipende in gran parte dalla loro capacità di chiarire il loro rapporto con la modernità e di ridefinire il loro rapporto con il passato. Questa è la grande sfida delle rivoluzioni arabe del 2011”. Questa è la sfida dell’Egitto nel 2013. Rached al-Ghannouchi, il leader tunisino dei Fratelli musulmani, si è rivolto nei giorni scorsi agli egiziani definendoli “discendenti di Ibn al-‘As [il comandante che conquistò l’Egitto tra il 640 e il 642], di Saladino”. La sfida dei “ribelli” e dei militari oggi è quella di riscoprire e proteggere tutti gli egiziani da chi vuole mantenere il potere seminando zizzania e odio tra i cittadini , mettendo tutti contro tutti, musulmani contro cristiani, musulmani contro laici, musulmani contro ebrei, ma soprattutto musulmani contro musulmani, ovvero egiziani contro egiziani. Tutto ciò non è naturale e la grande speranza è che la grande umanità degli egiziani abbia la meglio sulla umanità disumana dei Fratelli musulmani.