La salita al cielo di Benedetto XVI lascia la terra più al buio
Il Papa emerito Benedetto XVI è morto questa mattina alle 9.34. Funerali il 5 gennaio alle 9.30 celebrati da papa Francesco. La luce della fede, sposata con la ragione, brillava e brilla nei suoi scritti teologici, nella chiarezza degli interventi magisteriali. Accostandosi a lui si era sicuri di non venire confusi, ma confermati nelle verità di fede e di ragione. Nel magistero di Benedetto tutte le verità si davano appuntamento e trovavano il loro posto conveniente. Una sfida al cuore della modernità, a cui la Chiesa non è chiamata ad “adeguarsi”. Perciò Benedetto non rappresenta il passato ma il futuro.
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La salita al cielo di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI lascia la terra più al buio. La fede è anche luce e conoscenza che, nel suo matrimonio con la ragione, diffonde chiarezza, dissolve le tenebre, supera i dubbi angosciosi, dà gioia all’intelligenza, sottrae dalla dittatura del tempo e conferisce una libertà riempita di verità. Giovanni Paolo II aveva detto che la frase del Vangelo che egli più amava era: “La verità vi farà liberi”. Non so se Benedetto XVI abbia mai risposto ad una domanda su questo punto, ma penso che condividesse. La verità, che vive assieme alla carità (Veritas in caritate e Caritas in veritate) può essere vista come il centro della sua vita, della sua ricerca teologica, della guida della Chiesa universale prima alla Dottrina della Fede e poi al Pontificato. Un “magistero luminoso” lo aveva giustamente definito il cardinale Sodano.
La luce della fede, sposata con la ragione, brillava e brilla nei suoi scritti teologici, nella chiarezza degli interventi magisteriali, nei discorsi, alcuni dei quali entrati ormai nella storia … ma anche nella pacatezza dei gesti, nel delicato rispetto delle persone, nella gentilezza degli atteggiamenti, nella sua sobria e intima compostezza, così rassicurante nell’esprimere fermezza e fiducia in Cristo. Nessuna sbavatura, nessuna alimentazione del dubbio che corrode e disanima, nessuna ambiguità, il come del discorso sempre perfettamente commisurato al cosa.
Accostandosi a lui si era sicuri di non venire confusi, ma confermati nelle verità di fede e di ragione. A lui ci si accostava sempre con fiducia di figli, sapendo che un padre non avrebbe mai dato una serpe da mangiare. Benedetto difendeva la “sana dottrina” dai venti sempre nuovi delle opinioni teologiche, conservava e riproponeva l’esigenza del sacro pur in un mondo secolarizzato, non pensava che al “nuovo” bisognasse passivamente “aggiornarsi”, ma semmai affrontarlo con una immersione profetica nella tradizione, non disprezzava il dialogo, anche con gli atei, ma non rinunciava alla pretesa della fede di emancipare nella verità anche la ragione. Quando discuteva con Habermas o Odifreddi non usava la sola ragione, ma la “ragione nella fede”, come San Tommaso, lui che si era formato su San Bonaventura e Agostino.
Non cessò di difendere il ruolo della metafisica nella teologia e aiutò Giovanni Paolo II a scrivere la Fides et ratio, che ormai la Chiesa sembra non ricordare più, era dell’idea che “il ricevere precede il fare” e che i diritti e le libertà fossero legittimati nella loro verità da qualcosa che li precede e che si chiama ordine naturale sul piano della ragione e deposito rivelato su quello della fede, ribadì con finezza intellettuale e teologica la necessità di intendere Dio come fine ultimo e, quindi, l’ insufficienza dell’ordine secolare riguardo ai suoi stessi fini e il suo bisogno di una salvezza che non può derivare dalla superbia mondana, nella relazione tra Città dell’Uomo e Città di Dio non invertiva mai valore e priorità delle due realtà, non fece concessioni al naturalismo e pensava che la fede rivelata liberasse la ragione naturale dalla gnosi.
Nel magistero di Benedetto tutte le verità si davano appuntamento e trovavano il loro posto conveniente. L’errore non veniva inteso come spinta dialettica verso una superiore sintesi. Non solo l’intellettuale ma anche il semplice fedele godeva nel trovarsi in un universo di senso coerente e dotato di stabilità, con cui affrontare le contraddizioni e le negazioni dell’esistenza, continuando a considerarle contraddizioni e negazioni e non nuove norme o nuove leggi. Con Benedetto si sapeva che le circostanze non sono eccezioni.
Per lui non era il tempo a fare da punto di partenza per interpretare la fede apostolica, certamente nella Palestina di Gesù i registratori non esistevano, ma la trasmissione della fede apostolica è avvenuta nella assoluta certezza garantita dallo Spirito, il metodo storico-critico non va rigettato ma su di esso prevale la fede della tradizione e la teologia della liberazione sbaglia a pensare che il Vangelo si legga a partire dalla situazione, mentre è la situazione che si legge alle luce della fede apostolica. Le teologie contemporanee hanno indicato il “luogo teologico” in molte situazioni esistenziali e storiche, ma per Benedetto l’unico luogo teologico era la fede apostolica. Con lui ogni fedele cattolico si sentiva garantito di essere guidato dalla Chiesa ad aderire alle stesse verità di fede degli Apostoli.
Benedetto aveva chiarito alla Chiesa dove la verità fosse stata originariamente negata nella forma radicale della modernità. Questo era successo nell’Occidente della grande abiura e dell’ateismo scelto come nuova religione. Pensava quindi che in Occidente e non altrove ci dovesse essere la resistenza e la ripresa. Qui, dove la fiammella rischiava di spegnersi per mancanza di alimento, ci doveva essere la riproposizione della verità tutta intera. Qui, dove nuove ideologie del nulla permeavano di sé ormai ogni istituzione, politica o educativa che fosse, e dove la ragione si avvitava su se stessa annullandosi e alimentando totalitarismi “consensuali” ma non per questo meno distruttivi di quelli già vissuti, la Chiesa non avrebbe dovuto “adeguarsi”, ma rimanere se stessa fino in fondo.
Benedetto XVI non rappresenta il passato ma il futuro.