Il Papa deroga alla prescrizione: Rupnik va a processo
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Il pressing della Pontificia Commissione per la tutela dei minori costringe a riaprire il vaso di Pandora degli abusi commessi dall'ex gesuita sloveno. Ci voleva forse il Sinodo per far notare la contraddizione tra "ascoltare" a parole e insabbiare nei fatti.
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Tanto tuonò che piovve? Forse sì, forse no. La notizia ha indubbiamente la sua nota positiva: nel Bollettino della giornata di ieri, venerdì 27 ottobre, della Sala Stampa Vaticana è stata lanciata la notizia che «il Santo Padre ha chiesto al Dicastero per la Dottrina della Fede di esaminare il caso» che dal dicembre dello scorso anno è stato al centro di continue polemiche: Rupnik e i suoi abusi.
Il Papa ha finalmente «deciso di derogare alla prescrizione per consentire lo svolgimento di un processo». Si tratta in sostanza del via libera per aprire il vaso di Pandora sui nove abusi commessi negli anni Novanta, ritenuti credibili dalla CDF, e degli altri quindici ammessi poi dai Gesuiti. Il comunicato precisa che la decisione del Papa è stata provocata dal pressing della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, che «ha segnalato al Papa gravi problemi nella gestione del caso di P. Marko Rupnik e la mancanza di vicinanza alle vittime».
«Mancanza di vicinanza alle vittime» è ovviamente un eufemismo: Francesco seleziona molto accuratamente i suoi “vicini” e sa trovare il tempo per i suoi affini. Ha saputo trovare il tempo per incontrare sr. Jeannin Gramik e le sue guardie del corpo, per girare il documentario per Disney +, per rilasciare più interviste dei suoi motu proprio, per conversare persino con la Campatelli, difenditrice ad oltranza di Rupnik, con tanto di foto dell’amabile incontro. Tutto, fuorché ricevere una sola delle vittime di Rupnik.
Bisogna poi essere sinceramente grati al Cardinale O’Malley che, forse irritato per l’uscita decisamente arrogante del Vicariato di Roma dello scorso settembre (vedi qui), ha trovato il coraggio di far presente che ci sono stati sì «gravi problemi» nella gestione della vicenda dell’ex-gesuita, ma probabilmente non come li intendeva il canonista don Giacomo Incitti, longa manus del cardinale De Donatis, gettando fango sull’operato della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il suo non sarà un compito facile, perché, se vorrà andare fino in fondo, dovrà pestare molti piedi, inclusi quelli del Papa in persona. Assai più probabile che adesso papa Francesco reciti la parte di quello che è stato gabbato da prelati indegni della sua fiducia. Lo capiremo da quante e quali teste saranno tagliate: qualche “vecchio amico” potrebbe essere sacrificato, a partire da De Donatis, pur di salvare il capo.
La Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori cerca così anche di riparare alla pessima figura fatta da padre Hans Zollner, quando ammise di non aver mai risposto ad una lettera ricevuta il 15 giugno 2022, che sollevava numerosi problemi relativi all’allora confratello gesuita.
«Il Papa è fermamente convinto che se c’è una cosa che la Chiesa deve imparare dal Sinodo è ascoltare con attenzione e compassione coloro che soffrono, soprattutto coloro che si sentono emarginati dalla Chiesa», continua il comunicato. Chi deve imparare: la Chiesa o Francesco? Perché la Chiesa aveva ascoltato la donna che aveva portato alla scomunica di Rupnik: l’aveva ascoltata e aveva punito il colpevole. Ma è stato il Papa a vanificare tutto. Come aveva ascoltato le altre donne ed era intenzionata ad aprire un processo, ma è stato il Papa ad impedirlo. Bisognava aspettare il Sinodo per capire che le vittime vanno ascoltate?
La Chiesa però non è solo chiamata ad ascoltare, ma anche a giudicare e punire con equità il colpevole. Altrimenti, poco importa parlare ed essere ascoltati. Tanto più quando le accuse sono plurime e di enorme gravità. Perché le donne abusate da Rupnik stanno lottando quotidianamente contro sindromi depressive, senso di vergogna, e tutto quel mondo oscuro che si muove all’interno di quanti hanno vissuto situazioni abusanti. Occorrerà dunque vigilare perché questo processo non si tramuti in una farsa, ma sia svolto nelle modalità e nei tempi richiesti dal Diritto.
Difficile poi non porsi una domanda: perché il Papa ha atteso fino ad ora prima di prendere questa decisione? Può essere che sia stato realmente messo alle corde, soprattutto dopo la notizia dell’accoglienza di Rupnik nella diocesi di Capodistria (vedi qui), per continuare a fare il prete vagante, come se nulla fosse. Mons. Jurij Bizjak ha tra l’altro voluto recitare la parte del vescovo pseudo-garantista, dichiarando solennemente che «finché Rupnik non è riconosciuto colpevole davanti a un tribunale, gode di tutti i diritti e doveri di sacerdote diocesano». Peccato che Rupnik sia stato già riconosciuto colpevole; e peccato che anche i muri sanno che un vescovo, quando si appresta ad accogliere nella propria diocesi un sacerdote escardinato, è tenuto a prendere tutte le informazioni prudenziali sulla sua persona. Tanto più quando si tratta di un prete “chiacchierato”. Delle due l’una: o Bizjak si è scordato, oppure ha ricevuto dai Gesuiti sufficienti prove che il personaggio non è dei più raccomandabili, dal momento che dall’ordine è stato dimesso.
Non meno importante è il fattore Sinodo: un’assise che ha fatto dell’ascolto, dell’accoglienza, della promozione delle donne, della trasparenza il proprio stendardo non è in perfetta consonanza con il modo in cui è stata gestita la vicenda Rupnik. Il Papa che al Sinodo punta il dito contro il clericalismo è lo stesso che sta proteggendo il peggiore esempio di clericalismo dei tempi moderni.
Di certo è una curiosa coincidenza che il Papa prenda questa decisione proprio quando il cardinale Ladaria ha fatto le valigie e al suo posto è arrivato “Tucho”. Il quale, fin dai primi giorni, ha subito messo le mani avanti per dire che non si sarebbe mai occupato delle questioni che riguardano la tutela dei minori e delle persone vulnerabili, perché non competente in materia. Resta però il fatto che non sarà possibile insabbiare il lavoro iniziato dal cardinale Ladaria, che seguiva in questo la dura linea Ratzinger.
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Per l'ex-gesuita si prospetta l'incardinazione a Capodistria, con la benedizione del Nunzio. Del resto non pende su di lui alcuna condanna, malgrado i ripetuti abusi. Tutto "risolto", con gran sollievo del protagonista e dei Gesuiti, liberati dalla patata bollente.
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A due giorni dall'incontro tra il Papa e la direttrice del Centro Aletti la diocesi capitolina parla di «vita comunitaria sana e priva di particolari criticità». Grandi assenti le donne abusate, che continuano a restare senza voce.