ABUSI

Rupnik, i Gesuiti ammettono altri 15 casi. Ma la protezione continua

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Sconcertanti ammissioni dei gesuiti sul caso Rupnik. Il padre Verschueren, delegato per la Compagnia di Gesù, ammette che sono arrivate altre 15 segnalazioni di abusi commessi dal gesuita "artistar", ma si rifiuta di ridurlo allo stato laicale perché comporterebbe rimuovere ogni controllo su di lui. Come se in questi 30 anni lo sloveno non avesse compiuto i crimini di cui è accusato proprio abusando della sua autorità sacerdotale. 
- ECCO PERCHÈ INSISTERE SULLO SCANDALO RUPNIK, di Riccardo Cascioli

Ecclesia 22_02_2023 Español

Ammissioni importanti, che scottano, e che rendono la gestione del “caso Rupnik” sempre più indigesta. Prima l’intervista del 19 febbraio di La Croix a mons. Daniele Libanori, gesuita, vescovo ausiliare di Roma, che ha di recente ricevuto l’incarico di commissario straordinario della Comunità Loyola; poi la dichiarazione del DIR, l’organismo che ha la responsabilità delle Case internazionali della Compagnia di Gesù a Roma, il cui delegato è p. Johan Verschueren.

Mons. Libanori ha contribuito a gettare ulteriori dubbi sulla vicenda della rimozione della scomunica (da parte di chi?), a motivo del presunto pentimento di Rupnik: «Quando si commettono atti del genere, si tiene un profilo basso. Ma lui non ha mai avuto una parola da dire loro, non si è mai assunto la responsabilità. Da parte mia, sono convinto che la questione sia psichiatrica». Il 14 dicembre dello scorso anno, era stato proprio il generale della Compagnia di Gesù, p. Arturo Sosa, a riferire il contrario, e cioè che la scomunica notificata a Rupnik per assoluzione del complice de sexto era stata tolta a motivo del pentimento del gesuita sloveno. «La Congregazione per la Dottrina della Fede ha dichiarato che è avvenuto, c’è stata l’assoluzione del complice. Quindi, è stato scomunicato», spiegava Sosa. Ed aggiungeva: «Come si toglie una scomunica? La persona deve riconoscerlo e pentirsi, cosa che [Rupnik] ha fatto».

Che Libanori abbia esagerato? Può darsi, ma la comunicazione del DIR di ieri mattina sembra supportare la versione del vescovo. Dopo la prima indagine sui nove abusi compiuti negli anni Novanta, ritenuta credibile e che il Papa ha voluto lasciar cadere in prescrizione (vedi qui), e dopo il caso accertato della donna assolta in confessione, la Compagnia di Gesù aveva avviato un’altra inchiesta, che ha portato alla luce quindici nuovi casi che riguardano la «Comunità Loyola, persone singole che si dichiarano abusate in coscienza, spiritualmente, psicologicamente o molestate sessualmente durante personali esperienze di relazione con padre Rupnik, persone che hanno fatto parte del Centro Aletti». Queste testimonianze provengono da persone non legate tra loro, riguardano periodi differenti nell’arco temporale che va dalla metà degli anni ‘80 al 2018 e il cui grado di credibilità «sembra essere molto alto». Il Team Referente, che ha seguito questa nuova indagine, «ha proposto a p. Rupnik di poterlo incontrare al riguardo senza successo».

Questo comportamento “non collaborativo” di Rupnik non appare propriamente un’espressione di pentimento e volontà di riparazione. Insomma, Rupnik si è sicuramente pentito, forse, anzi no. È questo il tenore della gestione, da parte dei Gesuiti, della vicenda legata al loro confratello. Eppure il peggio comunicativo deve ancora venire.

P. Verschueren, sulla base del dossier realizzato dal Team Referente e «dopo aver consultato i documenti presenti nei diversi archivi della Compagnia [...] dichiara che è sua ferma intenzione procedere con delle misure che assicurino che situazioni analoghe a quelle riferite non abbiano a verificarsi». In particolare, riferisce di voler avviare un procedimento interno alla Compagnia, nel quale Rupnik «potrà fornire la propria versione dei fatti». Nel frattempo, in forma cautelare, Rupnik non potrà più svolgere alcun «esercizio artistico pubblico, in modo particolare nei confronti di strutture religiose», in aggiunta al già vigente divieto di svolgere attività ministeriale, sacramentale e comunicativa pubblica e di uscire dalla Regione Lazio. 

Singolare la scelta dei vertici dei Gesuiti di emanare una dichiarazione, con il chiaro scopo di evitare le domande scomode dei giornalisti, magari proprio sulla contraddizione del pentimento fantasma di Pp Rupnik o sulla caliginosa vicenda della remissione della scomunica. Curiosa anche la volontà di interloquire solo con Repubblica e The Associated Press, evidentemente nella sicurezza di non avere a che fare con giornalisti “ostili”. Eppure p.  Verschueren, pur navigando tra acque amiche, riesce comunque a combinare danni.

In un articolo di AP “blindato”, dove compaiono qua e là pochi virgolettati, emergono tre passaggi piuttosto imbarazzanti.

Il primo: il gesuita belga «è a conoscenza del fatto che vi sono alcuni che vorrebbero che Rupnik venga rimosso dal sacerdozio». Ma Verschueren «ha fatto notare che cacciare Rupnik dai Gesuiti significherebbe rimuovere ogni controllo su di lui, aumentando la possibilità che egli possa continuare ad essere un pericolo». Già, perché in questi trent’anni i vertici dei Gesuiti hanno dimostrato di saper tenere sotto controllo uno dei loro confratelli più noti al mondo. Imbarazzante la dichiarazione e non meno imbarazzante la logica sottesa. Rupnik ha infatti commesso quel che ha commesso proprio servendosi della sua autorità e del suo “ascendente” sacerdotale; eppure p. Verschueren viene a raccontarci che sarebbe più sicuro lasciare a un serial killer la propria arma regolarmente denunciata, per evitare che se ne procuri altre di contrabbando.

C’è poi un secondo passaggio dell’articolo quasi comico. Veniamo infatti rassicurati che le nuove quindici segnalazioni «non riguardano abusi sacramentali che giustificherebbero l’inoltro del caso» al Dicastero per la Dottrina della Fede. «Verschueren – prosegue l’articolo – si è detto “sollevato” del fatto che il Dicastero non sarebbe stato coinvolto, data la sua precedente decisione di non rinunciare alla prescrizione del caso». Al Delegato della Compagnia non poteva andare peggio di così: scivola sulla buccia di banana e cade su una tagliola. Prima conferma sostanzialmente l’enorme errore del Papa di non derogare alla caduta in prescrizione degli abusi degli anni Novanta, decisione che ha contribuito a far esplodere il caso Rupnik a livello mediatico; poi confonde il caso di abuso del sacramento della Penitenza del 2015 con quelli degli anni Novanta lasciati cadere in prescrizione. Un disastro.

Alla fine, p.  Verschueren rende noto che era stato affidato ad un teologo il compito di prendere in esame gli scritti di Rupnik; ed effettivamente è emerso che vi sono «alcuni problemi potenzialmente “trasgressivi” nelle conferenze che Rupnik ha tenuto sulla sessualità negli anni '80 e '90». In particolare, «il teologo che ho consultato non voleva chiamarla eresia, ma ha detto che ha dato un’apertura per legittimare certe azioni che non sono corrette». In sostanza, una legittimazione teologica al peccato. Esattamente quanto Rupnik ha fatto con le sue vittime, abusando del suo status clericale. Sotto il naso dei vertici dei Gesuiti.

Però possiamo stare tranquilli: Rupnik non verrà dismesso dallo stato clericale per non uscire dall’ordine. Adesso ci sentiamo tutti più tranquilli.