APPUNTI PER LA MATURITÀ/4

Esercitazione su D’Annunzio

Proponiamo un confronto tra La pioggia nel pineto di D’Annunzio e la parodia Piove, scritta molti anni dopo da Montale.
Leggi la scheda su D’Annunzio

Culture 14_04_2020

PRIMA PROVA SCRITTA. ESEMPIO DI TIPOLOGIA A

ANALISI E INTERPRETAZIONE DI UN TESTO LETTERARIO ITALIANO

Già sin dalla giovinezza D’Annunzio aveva mostrato interesse per la poesia pubblicando le raccolte Primo vere, Canto novo e Intermezzo di rime. Vent’anni più tardi, realizzati i cicli della rosa, del giglio e del melograno, composte opere teatrali per la compagna Eleonora Duse, l’artista concepisce Le laudi del cielo, della terra, del mare e degli eroi, un progetto titanico composto da sette sillogi, una per ciascuna delle sette stelle delle Pleiadi: Maia, Elettra, Alcyone, Merope, Asterope, Taigete, Celeno. L’opera sarà incompleta fermandosi alle cinque prime raccolte.

La suggestione francescana appare chiara già dal titolo mutuato dal testo Laudes creaturarum o Cantico delle creature. Tra l’altro il poeta è stato in vacanza, una sorta di luna di miele, con l’amata Eleonora Duse proprio ad Assisi e in altre città umbre nel 1897.

I versi delle prime tre raccolte sono scritti in un arco temporale di sette anni, dal 1896 al 1903, ma le tre sillogi vengono tutte pubblicate con la data 1903. Merope (1912) e Asterope (1912) saranno più tardive.

Maia ha il sottotitolo laus vitae ovvero esaltazione della vita. D’Annunzio definirà la raccolta come l’opera italiana più vitale dopo la Divina Commedia. Risentendo del recente viaggio del poeta in Grecia, i versi raccontano di un ritorno all’antichità sui luoghi di un’Ellade tanto grande quanto piccola appare l’Italia contemporanea decaduta.

Divisa in due parti, Elettra è dedicata agli eroi e alle città. D’Annunzio presenta i personaggi più importanti dell’età contemporanea, mentre le città descritte sono quelle del «silenzio», un tempo prestigiose e centri di cultura in Italia, ora solo luoghi di ricordo e di memoria dell’antico splendore, perché non pulsano più di vita attiva, ma sono coperte delle ceneri di un passato che più non ritornerà.

La terza raccolta, Alcyone, racconta del viaggio in Versilia del poeta con l’amata Duse durante l’estate. Si respira il passaggio del tempo, da giugno a settembre, secondo la cadenza della stagione. Sono probabilmente i versi meno decadenti, se con l’aggettivo indichiamo il senso della crisi, ma più decadenti se vogliamo sottolineare uno dei caratteri preminenti dell’epoca, ovvero il gusto e la passione per la musicalità. Un esempio su tutti è La pioggia nel pineto.

Alcuni decenni più tardi, nella poesia Piove, tratta dalla sezione Satura II (1971), con tono sarcastico e parodistico Montale farà memoria della Pioggia nel pineto. Riportiamo di seguito la poesia dannunziana Pioggia nel pineto e la parodia Piove per condurre l’analisi di testo e il confronto tra i due testi.

 

GABRIELE D'ANNUNZIO, La pioggia nel pineto 

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.

Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.

Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell'aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.

E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.

Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.

Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.

Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.

Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alvèoli
con come mandorle acerbe.

E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.

 

EUGENIO MONTALE, Piove

Piove. È uno stillicidio
senza tonfi
di motorette o strilli
di bambini.

Piove
da un cielo che non ha
nuvole.
Piove
sul nulla che si fa
in queste ore di sciopero
generale.

Piove
sulla tua tomba
a San Felice
a Ema
e la terra non trema
perché non c'è terremoto
né guerra.

Piove
non sulla favola bella
di lontane stagioni,
ma sulla cartella
esattoriale,
piove sugli ossi di seppia
e sulla greppia nazionale.

Piove
sulla Gazzetta Ufficiale
qui dal balcone aperto,
piove sul Parlamento,
piove su via Solferino,
piove senza che il vento
smuova le carte.

Piove
in assenza di Ermione
se Dio vuole,
piove perché l’assenza
è universale
e se la terra non trema
è perché Arcetri a lei
non l'ha ordinato.

Piove sui nuovi epistemi
del primate a due piedi,
sull'uomo indiato, sul cielo
ominizzato, sul ceffo
dei teologi in tuta
o paludati,
piove sul progresso
della contestazione,
piove sui work in regress,
piove
sui cipressi malati
del cimitero, sgocciola
sulla pubblica opinione.

Piove ma dove appari
non è acqua né atmosfera,
piove perché se non sei
è solo la mancanza
e può affogare.

 

Rispondi alle domande

Comprensione e analisi

1.  Quali sono i temi principali della poesia dannunziana? Spiegali.

2. Presenta il contesto in cui è ambientata la poesia e soffermati sui personaggi, riconoscendone le caratteristiche e gli aspetti che richiamano la biografia dell’autore.

3.  Soffermati sulla metrica de La pioggia nel pineto.

4. Rileva gli aspetti musicali della poesia, sottolineandone le figure fonetiche e il ritmo. All’interno dei versi si tiene un concerto, composto dai suoni della pioggia (simili a corde pizzicate) e dalle voci soliste (la rana e la cicala). Descrivilo e commentalo.

5.  Riconosci nei versi le differenti fasi della metamorfosi di Ermione e del poeta.


Interpretazione

Proponi una tua interpretazione personale dei versi de La pioggia nel pineto. Confronta, poi, la poesia con la parodia Piove di Eugenio Montale. Quali allusioni trovi ai versi dannunziani nel componimento montaliano? Quale visione della realtà, della vita, della cultura e dell’Italia contemporanea emerge in Piove?

Dopo aver svolto l’analisi, leggi queste riflessioni sulla musicalità ne La pioggia nel pineto e sul confronto tra le due poesie.


La musicalità ne La pioggia nel pineto

La pioggia nel pineto è costruita sul ritmo dattilico (sillaba lunga, breve, breve) paragonabile al walzer viennese (passo lungo, breve, breve) che in quegli anni ha tanta eco. Non è solo il ritmo dei versi ad evocare la musica. La stessa pioggia è concepita come un concerto in cui si susseguono strumenti diversi. Le gocce producono un differente suono cadendo sulle foglie delle piante Piove su le tamerici/ salmastre ed arse,/ piove su i pini/scagliosi ed irti,/ piove su i mirti/divini,/su le ginestre fulgenti/di fiori accolti,/su i ginepri folti/ di coccole aulenti, […]/La pioggia cade/su la solitaria/verdura/con un crepitìo che dura/e varia nell’aria/secondo le fronde/più rade, men rade»).

Interviene poi la voce solista della cicala (la figlia dell’aria) e poi quella della rana (la figlia del fango): «L’accordo/delle aeree cicale/ a poco a poco/più sordo/ si fa sotto il pianto/ che cresce;/ ma un canto vi si mesce/ più roco/ che di laggiù sale,/ dall’umida ombra remota./Più sordo, e più fioco/ s’allenta, si spegne».

In questo concerto naturale compaiono due sole figure umane: D’Annunzio ed Eleonora Duse, indicata con Ermione, figlia di Menelao, e senhal qui dell’amata. Il poeta invita la donna al silenzio per ascoltare «parole più nuove»: gli imperativi «taci», «ascolta», «ascolta ascolta» sono accompagnati da altri verbi legati all’esperienza sensoriale («Odi?», «non s’ode», «s’ode», etc.).


Piove a confronto con La pioggia nel pineto

La pioggia nel pineto e Piove descrivono due modi diversi di stare di fronte alla realtà: il primo si sofferma solo sulla realtà sensibile cercando di goderla e di assaporarla; il secondo si fa provocare da quanto accade traducendosi in una domanda sulla vita e sul Mistero che genera ogni cosa.

Nella poesia Piove, tratta dalla sezione Satura II, il tono dominante è quello parodistico e sarcastico. Il riferimento polemico di Montale è ancora una volta quel D’Annunzio che già cinquant’anni prima il poeta aveva attaccato ne I limoni. Ora, però, dopo tanti decenni, la polemica e il severo giudizio antidannunziano si sono smorzati (anche perché l’influenza dell’esteta pescarese sulla cultura e sulla società è ormai da tempo tramontata), lasciando spazio ad una cinica disillusione sulla realtà tutta.

La poesia Piove si compone di otto strofe diseguali di versi anisosillabici, con la presenza di rime sparse. La parola «piove» apre ogni stanza e compare in maniera quasi ossessiva e maniacale per ben quindici volte, sempre ad inizio di verso.

Se D’Annunzio ci descrive una pioggia reale che genera nell’uomo e nella donna una sensazione di coinvolgimento panico con la natura e un’esperienza edonistica e sensista, Montale, invece, moltiplica la presenza numerica dell’espressione «piove» ed elimina i verbi che invitano ad ascoltare proprio come se non ci fosse nulla di positivo da udire e da apprezzare. Montale non vuole tanto ricreare una situazione fisica o un’esperienza sensoriale quanto comunicare con un linguaggio metaforico. La pioggia ha una valenza negativa, non genera sensazioni uditive piacevoli come il concerto dannunziano, non cade dalle nubi, come sempre capita, ma si mescola all’inanità dello «sciopero generale» e delle altre attività umane.

Dalla terza strofa comprendiamo che il poeta sta dialogando con la moglie Drusilla Tanzi, scomparsa nel 1962 e sepolta a San Felice. Le apostrofi di D’Annunzio a Ermione sono qui sostituite dal rapido riferimento di Montale alla tomba di San Felice. Il poeta non accenna in altro modo all’amata moglie. Piove sulla tomba dell’amata, perché il tempo distacca dalle persone care, che non rimangono nemmeno nel ricordo. Tutto è effimero e caduco, la natura sembra immutata, sempre uguale a sé, insensibile e impassibile, perché la morte è un elemento naturale nella ciclicità del mondo.

Anche il passato letterario del poeta (quarta stanza), cui si allude con gli Ossi di seppia, sembra subire l’onta del tempo. Ma la pioggia cade anche sulla «cartella esattoriale» (eccessiva imposizione di tributi) e sulla «greppia nazionale» (la mangiatoia della politica italiana).

Nella strofa successiva il giudizio negativo coinvolge non solo il mondo politico («piove sul Parlamento»), ma anche l’ambito del diritto («Piove/ sulla Gazzetta ufficiale») e della propria esperienza lavorativa («Piove su via Solferino», sede del «Corriere della sera», di cui Montale diviene redattore negli anni Cinquanta. «Piove senza che il vento/ smuova le carte»: la pioggia non redime, nulla cambia, le carte rimangono nella medesima posizione. «L’assenza è universale»).

Nella penultima strofa Montale ironizza sulle vantate acquisizioni, scoperte e invenzioni scientifiche della propria epoca («Piove sui nuovi epistemi/ del primate a due piedi»), sulla tronfia e boriosa presunzione dell’uomo che ha eliminato il senso di dipendenza da Dio («sull’uomo indiato, sul cielo/ ominizzato»), sui partiti comunista («teologi in tuta») e democristiano («teologi paludati»), sulla contestazione giovanile del ’68 («sul progresso/ della contestazione»), sul modo di pensare comune («sgocciola/ sulla pubblica opinione»).

Nessuno sforzo umano sembra poter cambiare la realtà e risolvere la crisi. Che speranza ha allora l’uomo? Nell’ultima strofa lo capiamo. Il tu dialogico a cui si rivolge il poeta non è più la donna amata, ma un essere più elevato («Piove ma dove appari/ non è acqua né atmosfera,/ piove perché se non sei/ è solo la mancanza/ e può affogare»). Montale si sta qui rivolgendo al Mistero, a Dio, l’unico che può salvare l’uomo. Del resto, da sempre Montale aveva previsto che per l’uomo un imprevisto è la sola speranza.

La vera poesia rimanda sempre all’assoluto e a quel mistero che l’arte può solo suggerire. Il dolore e la sofferenza fanno parte della gioia, la pienezza può riempire il vuoto nell’anima solo quando noi ne abbiamo coscienza e mendichiamo.