St. John the Evangelist by Ermes Dovico
CULTURA

Dante e l'esame della fede

Nella Commedia, per vedere Dio, Dante deve sostenere una prova, un vero e proprio esame di baccelliere. Le tre quaestiones che gli vengono proposte hanno per tema le virtù teologali. La prima domanda è sulla fede. Gliela fa san Pietro...

Culture 30_12_2012
Dante Alighieri

Nella Commedia Dante descrive il cammino della fede attraverso il quale l'uomo passa dall'insicurezza e dalla paura della selva oscura alla certezza e alla luce della fede nel Paradiso, in altri termini dall'infelicità e dal peccato alla felicità e alla beatitudine.

Questo percorso avviene attraverso l'incontro e la compagnia di figure molto concrete. Quando Dante si trova nella selva oscura e sta sprofondando là dove «il sol tace», grida «Miserere di me» di fronte ad una presenza, ombra o uomo che sia. Scoprirà poi che è l'anima di quel Virgilio da cui lui ha tratto ispirazione e da cui ha molto imparato. La Madonna è colei che si è mossa per prima, che ha visto le difficoltà in cui Dante si trovava e che ha chiesto l'intervento di santa Lucia, che a sua volta è andata da Beatrice. Quest'ultima, infine, si è rivolta a Virgilio. In sintesi, quando il poeta chiede aiuto, già il Cielo si è mosso per soccorrerlo. Nel canto secondo dell'Inferno Dante è chiamato a riconoscere la concretezza dell'intervento di Dio nella sua vita, quando Virgilio gli spiega le ragioni per cui lui non debba temere il viaggio nei tre mondi, che rappresenta, poi, il viaggio della vita.

Dante userà l'espressione di «trasumanar» per indicare l'esperienza di andare in Cielo e dirà che non è possibile descriverla a parole, «però l'esemplo basti/ a cui esperienza grazia serba». Deve, cioè, bastare l'esempio a chi poi potrà fare la stessa esperienza per grazia. Ricordiamoci che la fatica non è a nessuno, in alcun modo, risparmiata. Così, se nell'Inferno Dante ha rischiato di morire dinanzi alle mura della città di Dite, ora in Paradiso corre il pericolo di non vedere Dio. È stato investito della missione di raccontare tutto quanto ha visto dal trisavolo Cacciaguida e gli è stato profetizzato l'esilio (canto XVII), ha visto i santi che gli sono venuti incontro nei diversi cieli.

Tutto questo, però, non è ancora sufficiente. Per poter vedere Dio Dante dovrà sostenere una prova, un vero e proprio esame di baccelliere, quell'esame che si sosteneva nel Medioevo per conseguire la facoltà di insegnare ovunque. Il superamento dell'esame sarà per Dante un'ulteriore comprova del valore del suo lavoro e dell'insegnamento ivi presente. L'esame è complesso. Consta di tre parti ognuna delle quali è costituita da una quaestio che viene sottoposta al poeta. Di prassi, solo alla fine dell'argomentazione del discepolo, il maestro interveniva per integrarne eventualmente il discorso. Tanto più brevi erano gli interventi finali quanto più valido era da considerarsi l'esame sostenuto dal baccelliere.

Il primo maestro che interroga Dante è san Pietro. Il tema è la fede. Non a caso è proprio questo apostolo a proporre il tema della fede, colui che ha camminato sulle acque sprofondando poi per il dubbio, che ha detto a Gesù che non l'avrebbe mai rinnegato, ma che l'ha, in seguito, tradito per tre volte e per altrettante volte ha attestato di amarlo. Il Maestro gli affiderà la sua chiesa. San Pietro che non è, certo, un esempio di perfezione, testimonia, però, un indefesso amore e un'instancabile ripresa, dopo il peccato e le difficoltà. Le sue lacrime sono il segno di quell'amore che lo ha condotto a seguire Gesù per capire chi fosse. Ricordiamoci che quando Gesù chiese ai suoi discepoli chi pensassero che Lui fosse, solo Pietro arrivò a dire: «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente». San Pietro nella sua sequela iniziata per lo stupore di fronte a quell'uomo è giunto fino a riconoscere la straordinarietà di Gesù, la sua divinità. Ecco, proprio lui chiede a Dante: «Di', buon Cristiano, fatti manifesto:/ fede che è?». Prima di rispondere, Dante guarda Beatrice per trarre conforto dai suoi occhi. Rifacendosi allora a San Paolo, Dante attesta che «fede è sustanza di cose sperate/ e argomento de le non parventi;/ e questa pare a me sua quiditate». Ovvero, se da un lato «è il fondamento sostanziale delle nostre speranze», dall'altro la fede è «la premessa concettuale dalla quale dobbiamo dedurre ciò che non vediamo». Poi, Dante chiarisce meglio: «Le profonde cose/ che mi largiscon qui la lor parvenza,/ a li occhi di là giù son sì ascose,/ che l'esser loro v'è in sola credenza,/ sopra la qual si fonda l'alta spene;/ e però di sustanza prende intenza./ E da questa credenza ci convene/ silogizzar, sanz' avere altra vista:/ però intenza d'argomento tene». San Pietro allora domanda al sommo poeta se possieda la fede. Dante non ha dubbi al riguardo e rassicura l'apostolo.

San Pietro incalza chiedendo da dove gli provenga questo tesoro. Dante replica che il fondamento è costituito dalle Sacre Scritture, l'Antico e il Nuovo Testamento. «Chi ci assicura», chiede di nuovo San Pietro, «che esse siano parola di Dio». Dante replica: «La prova inoppugnabile della verità sovrannaturale delle Scritture sta in una serie di eventi, che sovrastano risorse e tecniche della natura: se la natura fosse un fabbro, diremmo che, per quel genere di eventi, non è in grado né di fondere il metallo né di batter l'incudine» (V. Sermonti). La prova che le Sacre Scritture sono Parola di Dio sta negli eventi incredibili ivi raccontati. Qual è la garanzia che quelle opere raccontate sono vere e autentiche? Il più grande miracolo che ne conferma la veridicità, replica Dante, è che San Pietro entrò «povero e digiuno/ in campo, a seminar la buona pianta/che fu già vite e ora è fatta pruno». Bellissima risposta. La prova più grande, il motivo più convincente, la ragione più profonda per cui Dante crede è l'esistenza della Chiesa, la sua testimonianza vivente: ragioni solo umane non possono spiegare come essa sia cresciuta fino a diventare pianta con fusto, da seme che era, se si considera anche la pochezza degli uomini che seminarono. Notiamo che San Pietro, il primo papa, è definito qui «povero e digiuno».

Ecco che a questo punto Dante può fare la sua professione di fede: «Io credo in uno Dio/ solo ed etterno, che tutto 'l ciel move,/ non moto, con amore e con disio;/ e a tal creder non ho io pur prove/ fisice e metafisice, ma dalmi/ anche la verità che quinci piove/ per Moïsè, per profeti e per salmi,/ per l'Evangelio e per voi che scriveste/ poi che l'ardente Spirto vi fé almi;/ e credo in tre persone etterne, e queste/ credo una essenza sì una e sì trina». La fede in un solo Dio, uno e trino, è fondata, come afferma Dante, su prove certe, non solo fisiche e metafisiche, ma anche sull'Antico e il Nuovo Testamento.

Superato l'esame sulla fede, Dante dovrà affrontare le prove sulla speranza e sulla carità, come a dire che queste virtù per l'uomo possono scaturire solo dalla fede in Gesù Cristo.