IL PROTOCOLLO c'è E FUNZIONA

Coi malati a casa i ricoveri scendono: il caso Piemonte

Da due giorni in Piemonte il saldo tra ricoveri e dimissioni è negativo: merito anche del protocollo regionale per le cure a domicilio: «È il più completo che c'è, condiviso da medici di base e ospedalieri con dirigenti e siglato dal Prefetto», spiega alla Bussola l'assessore alla Sanità, Icardi. E risolve la grana sindacale: «Per ogni pratica Covid, riconosciuto al medico un integrativo». Eparina, cortisone, antibiotici e ossigeno, ecco quando e come: «Anche a domicilio, mio suocero ha l'ossigeno a casa». Testato sul territorio, ora dà i primi frutti: «Ospedali alleggeriti». 
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Attualità 21_11_2020
L'assessore Luigi Icardi

Curare e guarire a casa il covid e far scendere il numero dei ricoveri si può. Mentre il Paese s’infila nel gorgo del vaccino con tanto di caccia all’untore al virologo Crisanti, ex gloria nazionale, caduto in disgrazia in poche ore perché “reo” di aver espresso la sua motivata opinione sul vaccino che non sarà una panacea, i dati che arrivano dal Piemonte dimostrano che bisogna investire tutti gli sforzi sul covid at home.

Da giovedì infatti, e per la prima volta dall’inizio di questa cosiddetta seconda ondata, o per meglio dire recrudescenza, il saldo negativo dei ricoveri da covid è sceso a -62. La notizia, comunicata alla Bussola dallo staff dell’assessore alla Sanità della Regione Piemonte Luigi Icardi, è di quelle che fanno ben sperare perché è la prova che funziona insistere sulla terapia domiciliare per tutta quella fetta di pazienti anche di media gravità, la maggioranza, che senza cure andrebbero ad intasare gli ospedali come sta avvenendo in gran parte d’Italia.

Il saldo tra gli ingressi e i dimessi giornalieri, dunque, è negativo e si è invertito per la prima volta soltanto l’altro ieri mentre nelle 4 settimane precedenti in Piemonte si è viaggiato con un trend di 200/250 ricoveri al giorno per scendere poi negli ultimi dieci giorni a circa 150 e nell’ultima settimana una 50ina di ricoveri al giorno.

Il merito è da ascrivere anche al potenziamento delle terapie domiciliari, affidate prima di tutto ai Medici di famiglia e pediatri e in seconda battuta alle USCA, che il 13 di novembre hanno siglato con la Regione un protocollo tra i più precisi e dettagliati di quelli finora visti sparsi qua e là, in assenza di un protocollo ufficiale emanato dal Ministero del quale si è persa ogni traccia dopo gli annunci.

L’esperienza di Torino non è l’unica infatti, ma è quella dove si è riusciti maggiormente nel coinvolgimento di tutti i soggetti in campo. «E i risultati stanno arrivando», spiega Icardi alla Bussola in questa intervista. (Leggi QUI il protocollo)

Assessore, un protocollo regionale per il covid at home, intanto il Ministero che fa?
Lasciamo perdere il Ministero, per favore. Questo protocollo non nasce adesso, ma ha una storia lunga. Già ad aprile avevamo messo a punto un Protocollo Farmacologico e l’avevamo inviato a tutti, successivamente abbiamo messo a punto un Protocollo Covid a casa che nasce dalle linee guida della dottoressa Paola Varese, primario di Medicina oncologica dell’Ospedale di Ovada.

Era domiciliare?
Sì, e aveva funzionato benissimo: ha abbassato la mortalità e ridotto del 50% i ricoveri.

Ma questo era con la prima ondata.
Infatti, si trattava di estendere quel protocollo su tutta la Regione, a quel punto sono iniziati gli intoppi.

Cioé?
Perché chi doveva applicarlo non lo faceva.

Perché?
Non mi faccia entrare in questo argomento, sta di fatto che i soggetti che avrebbero dovuto applicarlo non lo facevano.

Che cosa avete fatto?
Abbiamo ricominciato da zero e ci siamo seduti attorno a un tavolo per scrivere linee guida complete e chiare per tutti. Per far questo abbiamo dovuto chiamare a raccolta tutti.

Tutti chi?
Tutti gli interessati: medici di base, Usca, direttori di distretto, medici ospedalieri, perché il protocollo deve essere chiaro anche sulle modalità di ricovero. Ognuno deve fare la sua parte perché il meccanismo giri e dia benefici. Ci abbiamo messo più di 20 giorni. E poi abbiamo fatto parallelamente la trattativa per il trattamento integrativo dei medici con i sindacati.

Che consiste?
In un corrispettivo economico importante. È stata fatta una trattativa con le rappresentanza a tutti gli effetti.

A quanto ammonta l’integrativo covid?
Si innesta sul contratto collettivo nazionale e vorrei ribadire che è stato fatto in un clima di condivisione tra la Regione e i medici.

Ma a gettone o generalizzato?
No, io di generalizzato non faccio niente: tu mi fai la prestazione e io ti pago. Ti do le protezioni e se non te le do te le rimborso. 

Possiamo parlare di cifre?
E’ tutto in delibera. L’integrativo prevede per ogni prestazione varie voci: l’apertura dell’Assistenza Covid è di 70 euro, 20 per la visita e 18 per il tampone.

Quanti pazienti ha mediamente un medico di base?
Su 70mila contagiati, diciamo che ogni medico di famiglia ha mediamente 20 assisiti.

Il protocollo affronta chiaramente il tema delle cure anche per casi sintomatici non necessariamente gravi: eparina, cortisonici e antibiotici, non solo azitromicina.
È tutto regolato e non troverà niente in giro di così completo. È uno strumento ottimo per aiutare ogni medico a districarsi nelle casistiche e nelle possibilità. Compresa l’ossigenoterapia.

Ossigeno a casa? Allora si può?
Certo che si può. Anzi, si deve, le parlo per esperienza personale: mio suocero è a casa col covid e ha l’ossigeno. Abbiamo semplificato l’iter di erogazione con le Asl e le farmacie, è tutto molto semplice.

Quindi anche le forme gravi possono essere curate a casa?
Assolutamente sì, con efficacia, i medici che abbiamo messo attorno al tavolo sono tutti d’accordo. Del resto, il protocollo farmacologico è lo stesso dei medici ospedalieri, solo che così non si intasano i reparti e si evitano sovrainfezioni virali o batteriche ulteriori.

Che cosa differenzia il vostro protocollo dagli altri?
Guardi, credo che il nostro sia il migliore in assoluto perché anzitutto è già stato testato sul territorio e poi perché è corale. Non nasce da un solo ospedale con una sola amministrazione sanitaria. Ma credo che il valore aggiunto sia la decisione politica di coinvolgere il prefetto.

Il prefetto di Torino?
Sì, agisce in nome e per conto degli altri prefetti piemontesi.

Che cosa ha fatto?
Dopo aver concordato il testo ho chiesto aiuto alle prefetture perché mettessero il sigilli del Governo.

E come è andata?
Il Prefetto ha convocato tutte le parti e abbiamo firmato un verbale di intesa in cui tutte le parti si sono assunte la propria parte di impegno e di responsabilità per la sua applicazione al meglio. D’ora in avanti nessuno scaricabarile, nessuna rivendicazione. Ognuno sa che cosa deve fare per tamponi, diagnosi e cure: medici, Usca, dirigenti e medici ospedalieri. E i risultati infatti si iniziano a vedere.