Saint Bibiana by Ermes Dovico
TERRORISMO

Ankara, Sinai, Beirut, Parigi: l'offensiva del Califfato

E’ stata una bomba a distruggere in volo l’aereo charter russo A321 sui cieli del Sinai. Tutti e 224 uomini, donne e bambini a bordo sono morti, erano quasi tutti turisti russi che tornavano dalle vacanze a Sharm el Sheikh. E così si delinea il filo rosso che unisce gli ultimi fatti di sangue targati Isis: Ankara, Sinai, Beirut, Parigi. Perchè?

World 18_11_2015
Pietroburgo, il lutto dei parenti delle vittime

E’ stata una bomba a distruggere in volo l’aereo charter russo A321 sui cieli del Sinai. Tutti e 224 uomini, donne e bambini a bordo sono morti, erano quasi tutti turisti russi che tornavano dalle vacanze a Sharm el Sheikh. L’Isis aveva immediatamente rivendicato l’azione, ma sono occorse tre settimane di ricerche prima che giungesse anche la conferma dal servizio segreto russo, il famigerato Fsb, sulla natura terroristica dell’accaduto.

E’ lecito chiedersi come mai sia occorso così tanto tempo prima di avere anche una conferma dalla Russia, nonostante altri servizi segreti (britannico e statunitense, in primo luogo) fossero già giunti alla stessa conclusione. Escluse le piste del guasto tecnico e del missile, l’analisi dei resti, della scatola nera e dei dati satellitari davano risultati abbastanza chiari: un’esplosione, l’interruzione immediata di tutte le comunicazioni, la distruzione in volo dell’aereo. In assenza di schegge e di difetti strutturali, non restava che l’ipotesi della bomba, se non altro per esclusione. L’Egitto ha negato fino all’ultimo, ma sta già subendo un danno economico considerevole a causa del crollo delle prenotazioni turistiche. Da Mosca, l’iniziale silenzio del presidente Putin (la prima dichiarazione in merito risale a più di due giorni dopo l’attentato) e la prudenza con cui sono state rilasciate dichiarazioni nelle settimane successive, indica un certo imbarazzo, misto a timore. L’imbarazzo di dover ammettere una breccia nella sicurezza, il timore di veder dilagare una guerra lontana (in Siria) anche in casa propria, con quasi due milioni di cittadini musulmani nella sola Mosca.

Ieri il direttore dell’Fsb, Aleksandr Bortnikov, ha dichiarato che la bomba consisteva in un ordigno di almeno 1 kg di tritolo ed è stata piazzata all’interno del Metrojet. La bomba è esplosa quando l’aereo era a 9000 metri di quota, il che spiega anche la “grande dispersione dei pezzi di fusoliera”. “Li cercheremo dappertutto, ovunque si nascondano. Li troveremo in ogni angolo del pianeta e li puniremo”, ha dichiarato Vladimir Putin con un discorso che ricorda quello dell’inizio della Seconda Guerra Cecena (1999). In questo caso, la Russia, è già in guerra in Siria, anche con l’Isis che ha rivendicato l’attentato. I raid di Mosca “non solo continueranno, ma saranno intensificati così che i criminali capiscano che la punizione è inevitabile”. La reazione è simile a quella della Francia, anch’essa già impegnata in Siria contro l’Isis prima dell’attacco subito nella sua capitale. Anche Hollande ha intensificato i raid aerei e promette una risposta “spietata”.

Oltre alle reazioni delle nazioni colpite, però, quella che appare ormai in tutta la sua evidenza è l’offensiva dell’Isis contro tutti i suoi nemici. Se fino all’anno scorso era ritenuto un gruppo tendenzialmente “territoriale”, il cui scopo è prevalentemente quello di costruire “il Califfato in un solo paese”, ad oggi la mappa dei suoi attentati all’estero, è sempre più vasta: Tunisia, Egitto, Arabia Saudita, Yemen, Libano, Turchia, Francia, sono tutte nazioni colpite da azioni molto sanguinose rivendicate dall’Isis. L’ultimo periodo è particolarmente intenso: bombe ad Ankara il 10 ottobre, aereo russo abbattuto il 31 ottobre, bombe a Beirut il 12 novembre, raid su Parigi il 13 novembre. I nostri media sono ora tutti focalizzati su Parigi, sia perché è il cuore dell’Europa, sia perché si è trattato dell’attacco più impressionante nelle sue modalità, una vera e propria guerriglia urbana, simile a quelle di Mumbai e Kabul, ma a due passi da casa nostra, con vittime europee, che potevamo essere anche noi. Tuttavia non deve far dimenticare il singolo fatto di sangue più letale, l’aereo russo abbattuto (224 morti) e nemmeno l’attentato ad Ankara, attribuito all’Isis, anche se mai rivendicato: con i suoi 102 morti (128 secondo fonti curde) è il più grave in assoluto della storia recente della Turchia. Non sbiadisce, al confronto, neppure l’attentato a Beirut, alla vigilia del massacro di Parigi: con i suoi 43 morti è il più sanguinoso dalla fine della Guerra Civile Libanese (dunque dal 1990). A Beirut, i terroristi hanno colpito l’uscita dei fedeli dalla moschea sciita del sobborgo di Bourj el-Barajneh, un’area considerata roccaforte del movimento armato Hezbollah.

L’Isis usa tattiche sempre differenti. Ha infiltrato un corteo di manifestanti pacifisti ad Ankara facendo detonare al suo interno due potenti bombe, cercando la strage e la destabilizzazione politica alla vigilia delle elezioni. Ha infiltrato il personale dell’aeroporto di Sharm el Sheikh per far esplodere un aereo in volo, colpendo il turismo egiziano e compiendo una rappresaglia contro i russi al tempo stesso. A Beirut ha usato la classica tattica delle due bombe in rapida successione, azionate da terroristi suicidi: la prima per provocare strage e panico, la seconda per devastare l’area all’arrivo dei soccorsi. A Parigi, l’Isis ha impiegato un mix di tutte le sue tattiche: terroristi suicidi, attacchi con gruppi di fuoco, cattura e strage di ostaggi, ottenendo il massimo del caos e dell’impatto mediatico. Sicuramente è un movimento terrorista che dimostra un’estrema flessibilità, più multiforme ancora di Al Qaeda. Ma questo perché non è da considerarsi come un unico esercito: il Califfato è una sigla, un programma, uno slogan e una bandiera, a cui tutti i gruppi jihadisti, uno dopo l’altro, stanno aderendo. Ha un suo territorio, ma il suo progetto è universale: sono stati cittadini francesi e belgi a colpire i loro connazionali a Parigi. A Beirut sono stati poi catturati sospetti palestinesi e siriani. In Egitto ha agito, con tutta probabilità, una cellula locale. In Turchia sono stati arrestati a decine jihadisti turchi e residenti nel paese. Ciascuno agisce perseguendo obiettivi locali, in base alla propria “sensibilità” e con i metodi che conosce meglio.