grimaldello sinodale

Alle "domande nuove" del Sinodo la Chiesa ha già risposto

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Dal fine vita alla poligamia: sulle questioni presentate come "controverse" gettano luce la legge naturale, la Scrittura e il Magistero. A meno di non usarle per forzare nuove aperture.

Editoriali 03_11_2023

Torniamo a parlare della Relazione di sintesi del Sinodo appena concluso. In un passo di questa relazione possiamo leggere: «Alcune questioni, come quelle relative all’identità di genere e all’orientamento sessuale, al fine vita, alle situazioni matrimoniali difficili, alle problematiche etiche connesse all’intelligenza artificiale, risultano controverse non solo nella società, ma anche nella Chiesa, perché pongono domande nuove».

Concordiamo sul fatto che la tematica dell’intelligenza artificiale possa porre domande nuove rispetto al passato, ma le altre tematiche sono vecchie come Adamo ed Eva. La cosiddetta identità di genere – espressione ideologica alla quale bisognerebbe preferire l’espressione “identità psicologica sessuale” – è questione che trova la sua soluzione in Genesi: «Maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). L’omosessualità viene condannata da tutto l’Antico Testamento e per il Nuovo bastano le parole di San Paolo: «Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; infatti le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura. Egualmente anche i maschi, lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi, ricevendo così in se stessi la retribuzione dovuta al loro traviamento. E poiché non ritennero di dover conoscere Dio adeguatamente, Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata ed essi hanno commesso azioni indegne» (Rm 1,26-28).

Sul fine vita ricordiamo il divieto di non uccidere presente nel quinto comandamento (cfr. Es 20,13). In merito alle situazioni matrimoniali difficili, di certo si allude al divorzio e all’adulterio. Per il primo argomento rammentiamo queste parole di Gesù: «ciò che Dio ha congiunto l’uomo non separi» (Mt 19,5-6) e quelle di San Paolo: «ai coniugati, ordino, non io, ma il Signore, che la moglie non si separi dal marito, e qualora si sia separata, rimanga senza rimaritarsi, o si ricongiunga con suo marito» (1Cor 7,10-11). Se poi il divorziato si risposa: «Chiunque ripudia la propria moglie e ne prende un’altra, commette adulterio; e chiunque, prende quella che è stata ripudiata dal marito, commette adulterio» (Lc 16, 18). Sull’adulterio ricordiamo: «Non commettere adulterio» (Es 20,14). E poi le parole di Gesù: «Avete inteso che fu detto: "Non commettere adulterio"; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5,27-28).

Sono tutte condotte o condizioni disciplinate addirittura dal diritto divino positivo, ossia argomenti su cui Dio è stato chiarissimo. Dunque queste tematiche saranno pur controverse anche all’interno della Chiesa, ma quest’ultima da tempo si è pronunciata in modo definitivo sulle stesse e quindi sono questioni chiuse per sempre e non questioni aperte come c’è scritto nella Relazione. Da qui una domanda: quali sarebbero allora le domande nuove che non troverebbero già risposta nella Parola di Dio, nella Tradizione e nel Magistero che ha interpretato queste due fonti?

Non si può che concludere che il passaggio della Relazione di sintesi prima citato è pretestuoso perché fa finta di non sapere che tali materie non presentano più zone oscure sotto il profilo dottrinale. La vera finalità, dunque, è quella di volere riesaminarle con il chiaro intento di permettere delle eccezioni agli assoluti morali.

Ed infatti la Relazione così prosegue: «Proponiamo di promuovere iniziative che consentano un discernimento condiviso su questioni dottrinali, pastorali ed etiche che sono controverse, alla luce della Parola di Dio, dell’insegnamento della Chiesa, della riflessione teologica e, valorizzando l’esperienza sinodale. Ciò può essere realizzato attraverso approfondimenti tra esperti di diverse competenze e provenienze in un contesto istituzionale che tuteli la riservatezza del dibattito e promuova la schiettezza del confronto, dando spazio, quando appropriato, anche alla voce delle persone direttamente toccate dalle controversie menzionate. Tale percorso dovrà essere avviato in vista della prossima Sessione sinodale». Tradotto: facciamo una bella riunione a porte chiuse con esperti, affinché non trapeli nulla evitando così inutili polemiche, e poi tentiamo di aprire una crepa nella dottrina di sempre della Chiesa.

C’è un altro passaggio della Relazione su una questione morale particolare che è degno di nota: «Si incoraggia il SECAM (Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar) a promuovere un discernimento teologico e pastorale sul tema della poligamia e sull’accompagnamento delle persone in unioni poligamiche che si avvicinano alla fede». L’invito è rivolto al Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar perché soprattutto in Africa i cattolici sono a forte contatto con l’islam che consente la poligamia.

Questo stralcio può essere interpretato in due modi. Con ottimismo: occorre trovare nuove soluzioni pastorali per coloro che come islamici hanno contratto una unione poligamica e vogliono convertirsi al cattolicesimo. Da qui anche l’esigenza di conoscere bene la dottrina teologica morale che vieta la poligamia. Il secondo modo è connotato da maggior realismo: con la scusa dell’accompagnamento delle persone che vivono una relazione poligamica tentiamo di giustificare la poligamia anche all’interno del cattolicesimo. È lo stesso processo che sta avvenendo da anni per l’omosessualità: con il pretesto di accogliere le persone omosessuali, accogliamo anche l’omosessualità.

Per quale motivo si vorrebbe osare tanto? Accenniamo ad una possibile ragione: se il poligamo in terra africana vuole convertirsi a Cristo senza abbandonare la poligamia dobbiamo trovare un modo per soddisfare questa sua esigenza. E come fare? Forse un puntello è dato dal pertugio lasciato aperto all’adulterio istituzionalizzato presente in Amoris laetitia. Nell’ottobre scorso furono pubblicate le risposte del Dicastero per la Dottrina della Fede a dubia del cardinal Dominik Duka. La terza risposta, per quello che a noi interessa, così recita, facendo esplicito riferimento nelle note ad Amoris laetitia: «Francesco mantiene la proposta [sic] della piena continenza per i divorziati e i risposati in una nuova unione, ma ammette che vi possano essere difficoltà nel praticarla e quindi permette in certi casi, dopo un adeguato discernimento, l'amministrazione del sacramento della Riconciliazione anche quando non si riesca a essere fedeli alla continenza proposta dalla Chiesa».

Dunque expressis verbis si dichiara che un divorziato risposato può avere leciti rapporti sessuali fuori dal proprio matrimonio. Quindi si legittima l’adulterio e l’adulterio istituzionalizzato, ossia le seconde nozze civili perché – ed è questo il punto – secondo la legge naturale e secondo la Rivelazione, solo nel matrimonio è lecito avere rapporti sessuali. Se quel rapporto sessuale è lecito allora vuol dire che anche quel matrimonio civile è un autentico matrimonio agli occhi di Dio. Ma allora avremo due matrimoni: un primo sacramentale indissolubile e un secondo civile, entrambi contemporaneamente validi. Chiamasi poligamia.

Dunque, nella prospettiva indicata dalle risposte ai dubia, il divorziato risposato civilmente è poligamo, perché ha un coniuge – reso tale dal matrimonio sacramentale – ed un secondo, quello reso tale dalle nozze civili. In altri termini, se Tizio, legato in modo indissolubile alla propria moglie per diritto naturale e per vincolo sacramentale, ne può prendere un’altra solo in ambito civile, ciò vuol dire che è poligamo: sposato con una donna con vincolo sacramentale indissolubile e con una seconda con vincolo solo civile. Andrebbe in soffitta quindi non tanto la proprietà dell’indissolubilità matrimoniale, ma quella dell’unità, ossia dell’esclusività del vincolo: un coniuge non può che essere legato ad un altro solo coniuge.

In sintesi: Francesco, benedicendo i rapporti fuori dal matrimonio sacramentale, benedice implicitamente le seconde nozze e quindi la poligamia. Allora viene da pensare che l’apertura della Relazione alla poligamia trovi la sua giustificazione nell’apertura di Amoris laetitia alle seconde nozze, quindi alla liceità di avere una seconda moglie stante il perdurare del rapporto indissolubile delle prime nozze.



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