LA MORTE DEL PAPA EMERITO

La musica sacra sulle note degli angeli

Passione coltivata sin dall'infanzia, per Joseph Ratzinger la musica è un grande amore in grado di veicolare grandi verità. In particolare nella liturgia, dove il criterio di fondo – alla scuola dei monaci – consiste nel sintonizzarsi con il canto delle schiere celesti che adesso lo hanno accolto insieme a loro.

Ecclesia 02_01_2023

Tra i molti aspetti che riguardano la lunga vita di Benedetto XVI, non penso sia possibile dimenticare il suo amore per la musica, un amore che aveva spesso manifestato in varie occasioni. Egli si dilettava a suonare il pianoforte ed aveva un interesse particolare per la musica di Wolfgang Amadeus Mozart, autore prediletto da molti teologi che nella sua musica hanno intuito l’impronta di Dio. Così è stato anche per Joseph Ratzinger, che in occasione del suo ottantanovesimo compleanno ricevette come "dono" un concerto con la musica dell'amato compositore.

Naturalmente il Papa emerito non era appassionato soltanto di musica strumentale ma anche di musica sacra e suo fratello Georg era uno stimato direttore di coro. Ricevendo l’Associazione Italiana Santa Cecilia nel 2012, affermò che «la Costituzione Sacrosanctum Concilium, in linea con la tradizione della Chiesa, insegna che "il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia solenne" (n. 112). Perché "necessaria ed integrante"? Non certo per motivi puramente estetici, in un senso superficiale, ma perché coopera, proprio per la sua bellezza, a nutrire ed esprimere la fede, e quindi alla gloria di Dio e alla santificazione dei fedeli, che sono il fine della musica sacra».

Nella raccolta delle sue opere sulla liturgia, ci sono numerosi riferimenti alla musica sacra, con riflessioni davvero illuminanti sulla situazione in cui oggi ci troviamo. Per esempio, quando contesta il fatto che certa musica che si ascolta oggi in Chiesa sia da considerare positivamente perché destinata ai giovani; egli osserva, in realtà, e giustamente che quella musica non esprime la cultura giovanile, ma quella delle grandi corporation della musica pop. 

Una bella meditazione del 2008 al Collège des Bernardins a Parigi, che prende le mosse da san Benedetto, ci offre lo sguardo teologico sulla musica sacra di Benedetto XVI: «In Benedetto, per la preghiera e per il canto dei monaci vale come regola determinante la parola del Salmo: Coram angelis psallam Tibi, Domine – davanti agli angeli voglio cantare a Te, Signore (cfr 138,1). Qui si esprime la consapevolezza di cantare nella preghiera comunitaria in presenza di tutta la corte celeste e di essere quindi esposti al criterio supremo: di pregare e di cantare in maniera da potersi unire alla musica degli Spiriti sublimi, che erano considerati gli autori dell’armonia del cosmo, della musica delle sfere. Partendo da ciò, si può capire la serietà di una meditazione di san Bernardo di Chiaravalle, che usa una parola di tradizione platonica trasmessa da Agostino per giudicare il canto brutto dei monaci, che ovviamente per lui non era affatto un piccolo incidente, in fondo secondario. Egli qualifica la confusione di un canto mal eseguito come un precipitare nella “zona della dissimilitudine” – nella regio dissimilitudinis. Agostino aveva preso questa parola dalla filosofia platonica per caratterizzare il suo stato interiore prima della conversione (cfr. Confess. VII, 10.16): l’uomo, che è creato a somiglianza di Dio, precipita in conseguenza del suo abbandono di Dio nella “zona della dissimilitudine” – in una lontananza da Dio nella quale non Lo rispecchia più e così diventa dissimile non solo da Dio, ma anche da se stesso, dal vero essere uomo. È certamente drastico se Bernardo, per qualificare i canti mal eseguiti dei monaci, usa questa parola, che indica la caduta dell’uomo lontano da se stesso. Ma dimostra anche come egli prenda la cosa sul serio. Dimostra che la cultura del canto è anche cultura dell’essere e che i monaci con il loro pregare e cantare devono corrispondere alla grandezza della Parola loro affidata, alla sua esigenza di vera bellezza». Parole davvero illuminanti che aprono grandi prospettive teologiche.

Purtroppo non fu in grado di fare moltissimo per la musica sacra negli otto anni in cui fu Papa regnante, in quanto il suo carattere molto delicato e la situazione generale di assoluta decadenza non gli permisero di adottare quelle decisioni, forti e impopolari, che forse sarebbero necessarie e che lui sicuramente avrebbe desiderato.

Vorrei chiudere con alcuni ricordi personali. Uno è riferito al tempo in cui era cardinale e mi fece convocare in sagrestia nella Basilica di san Pietro al termine di una Messa celebrata da lui per un gruppo di pellegrini tedeschi, in cui avevo suonato. Mi ringraziò e mi fece presente il suo grande amore per la musica sacra.  Inoltre, ricordo quando da pontefice esprimeva la sua vicinanza alla Cappella Musicale Pontificia detta Sistina, con gesti di grande delicatezza e sensibilità. Un’attenzione alla musica che manifestò nominando cardinale il maestro Domenico Bartolucci che stimava molto per la sua vita spesa al servizio della musica sacra.

Ora Benedetto XVI sta ascoltando la musica degli angeli e potrà vedere con i suoi occhi quello che per tutta la vita ha anelato e sperato.