IL LEGAME

Senza Dio non c’è DSC, la lezione di Benedetto XVI

Ratzinger ha confermato tre fondamenti imprescindibili della Dottrina sociale della Chiesa, senza i quali non ha senso parlare di impegno sociale dei cattolici. Essi riguardano: la “questione teologica”, il recupero della legge morale naturale, l’impossibilità della neutralità rispetto a Dio.
- DOSSIER: IN MORTE DI UN PAPA

Editoriali 10_01_2023

Ci si può chiedere quale sia stato l’apporto di Benedetto XVI alla Dottrina sociale della Chiesa (DSC) e se dalle posizioni da lui espresse in proposito ci si debba allontanare o piuttosto attenersi ad esse e svilupparle. Benedetto si è occupato di molti temi particolari della vita sociale e politica, ha scritto anche una enciclica sociale, la Caritas in veritate (2009), ma il segno specifico del suo interesse per questo ambito della teologia consiste nell’averne confermato i fondamenti per renderla ancora viva. Questo nel quadro di una sua fondamentale preoccupazione, che segna tutto il suo pontificato e che egli espresse in modo particolarmente drammatico nella Lettera sui vescovi lefebvriani del 10 marzo 2009 e durante il viaggio in Portogallo del 13 maggio 2010: «Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio […]. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi si manifestano sempre di più».

Oggi la Chiesa si trova davanti a questa inedita urgenza: la ricostruzione dell’umano a partire dalla riproposta di Dio. Perché è “inedita” questa urgenza? Perché mai era capitato prima che la cultura umana si costruisse contro la religione e che la religione non potesse rivolgersi ad una natura umana capace di accoglierla. I primi cristiani sapevano di poter contare sull’esistenza della natura umana, che a loro modo anche i filosofi pagani avevano espresso e valorizzato. Oggi, mentre si spegne la fede sparisce anche l’umano dell’uomo.

Con queste motivazioni Benedetto ha indicato tre fondamenti imprescindibili sulla cui base si ergono, oggi come ieri, l’insegnamento sociale della Chiesa e l’impegno sociale dei cattolici. Chi dovesse rifiutarli non potrebbe più parlare di DSC, considerata un equivoco davanti al quale passare oltre.

Il primo fondamento sta nell’indicare che la “questione antropologica” in fondo altro non è che la “questione teologica”. Benedetto ha adoperato spesso la prima di queste due espressioni, sostenendo che la questione sociale è ormai diventata la questione dell’uomo. Ma sbaglierebbe chi si fermasse qui, annoverando questa affermazione nel contesto della “svolta antropologica” della teologia contemporanea. In verità, il vero e proprio carattere benedettiano di questo insegnamento sta nella seconda espressione: «Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi esso sia» (CV n. 78). Nella Caritas in veritate egli constata una «coscienza ormai incapace di conoscere l’umano» (n. 75) e, quanto alla causa, afferma: «L’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano» (n. 78). Riferimenti alla DSC che non abbiano come scopo primario riaprire un posto a Dio nel mondo sono insufficienti e devianti. Credo che Benedetto XVI volesse dire questo quando ci indicava la strada della “anamnesi”: l’incontro con Cristo mette in moto il ricordo e permette il recupero della dimensione naturale di cui ci si era scordati.

Il secondo fondamento è il pieno recupero della legge morale naturale, in una cultura che rifiuta il concetto stesso di natura. Egli ne parlava partendo dalla razionalità del creato e dalla constatazione che non siamo frutto del caso o del determinismo. La legge morale naturale, egli diceva, è come la lingua che esprime la realtà. La questione di fondo, a questo proposito, è se la visione della realtà come un tutto che ci parla sia recuperabile da parte della sola ragione naturale o no. Il venir meno della ragione metafisica ha certamente causato la secolarizzazione del cristianesimo in quanto l’accesso al trascendente è possibile concettualmente solo tramite la metafisica, però è vero anche il contrario, ossia che la secolarizzazione della fede ha permesso la rinuncia allo slancio della ragione metafisica. Siamo così di fronte ad una situazione nuova: dovrà essere la fede cristiana a porsi come obiettivo di rilanciare la ragione metafisica e l’unità del sapere. Spetta ai pensatori cristiani aprire questa strada ed è desolante constatare lo scarso impegno in questo senso dei centri accademici cattolici.

Il terzo fondamento consiste nell’affermare che quando le questioni mondane, che solitamente vengono affidate alla ragione, si staccano da Dio per conseguire la propria autonomia si pongono non già in un ambito di neutralità rispetto a Dio, ma di opposizione. Infatti, se la logica della costruzione non è in qualche modo riconducibile a Dio, pur nella sua legittima autonomia di metodi e linguaggio, essa di fatto espunge da sé la prospettiva di Dio e si costruisce come se Dio non fosse, che non è un modo neutro di costruirsi, ma un modo di costruirsi senza Dio. A Sidney, per la Giornata mondiale della Gioventù, il 17 luglio 2008, egli aveva detto: «Vi sono molti, oggi, i quali pretendono che Dio debba essere lasciato “in panchina” […]. Se Dio è irrilevante nella vita pubblica, allora la società potrà essere plasmata secondo un’immagine priva di Dio. Ma quando Dio viene eclissato, la nostra capacità di riconoscere l’ordine naturale, lo scopo e il “bene” comincia a svanire».

La “questione teologica”, il recupero della legge morale naturale, l’impossibilità della neutralità rispetto a Dio sono fondamenti in grado di illuminare tutti i principi della DSC e salvarli dalle deformazioni oggi in atto.