IL CASO

Rupnik, lo scandalo degli abusi bussa a Santa Marta

I gravi abusi sessuali commessi da padre Rupnik ai danni delle suore che erano sotto la sua cura spirituale e il grave crimine di assoluzione del complice che gli ha procurato la scomunica sono fatti ormai appurati. Ma la potente rete di complicità e protezione, che tuttora lo vede impunito, arriva ora a toccare anche il Santo Padre: solo lui infatti aveva il potere di rimettere la scomunica. Cosa dunque è accaduto? Si attendono ancora risposte adeguate dal Vaticano.

Ecclesia 22_12_2022 English Español
Padre Rupnik in udienza da papa Francesco

Il caso Rupnik sta assumendo, giorno dopo giorno, una connotazione sempre più grave e preoccupante (qui l’ottima ricostruzione cronologica di Edward Pentin, tradotta da Messainlatino). Non si è trattato di un momento di debolezza, ma di una serie di abusi premeditati, posti in atto con giustificazioni “teologiche”, infida manipolazione psicologica e intimidazione alle vittime di non rivelare nulla, con una stucchevole sicurezza di essere coperto. È quello che è emerso nell’intervista alla ex-suora della tormentata Comunità Loyola, fondata negli anni ‘80 da padre Marko Rupnik e da suor Ivanka Hosta.  apparsa su Domani il 18 dicembre scorso; fatti e dettagli che la donna aveva testimoniato il 10 dicembre 2021 al Dicastero della Dottrina della Fede e che ha poi messo nuovamente nero su bianco in una lettera indirizzata direttamente al generale dei Gesuiti, Padre Arturo Sosa, e in copia al suo delegato, il gesuita Johan Verschueren, al Prefetto del medesimo Dicastero, il Cardinal Ladaria, al Cardinale vicario di Roma, Angelo De Donatis, a Padre Hans Zollner, anch’egli gesuita ed esperto nella lotta contro gli abusi, e alla direttrice del Centro Aletti, fondato e diretto da Rupnik, Maria Campatelli.

Lunedì scorso, mons. Daniele Libanori, anch’egli gesuita, Vicario episcopale della Diocesi di Roma e incaricato di indagare sugli scandali avvenuti nella Comunità Loyola, ha confermato le notizie trapelate in queste ultime settimane: «Sembra che le notizie riportate dai giornali corrispondano al vero», ha scritto in una lettera indirizzata ai sacerdoti della propria zona di competenza della diocesi di Roma, sottolineando come le persone «ferite e offese, che hanno visto la loro vita rovinata dal male patito e dal silenzio complice», abbiano il «diritto di essere risarcite anche pubblicamente nella loro dignità, ora che tutto è venuto alla luce». Ed ha incalzato: «Mi sforzo di fare tacere i sentimenti che provo dinanzi a testimonianze sconvolgenti, provocate da silenzi arroganti, che spiattellano davanti al mondo il putridume di cui sono impastate talune scuole spirituali». Toni forti, che sembrano l’esito di uno scontro avvenuto con il cardinale Angelo De Donatis, vicario generale di Roma, il quale, secondo una ricostruzione (vedi qui), avrebbe liquidato come calunnie tutte le circostanziate accuse mosse contro Rupnik. In un incontro riservato ai vescovi della diocesi capitolina, tenutosi venerdì 16 dicembre, dopo le esternazioni di De Donatis, mons. Libanori avrebbe alzato i tacchi e se ne sarebbe andato. Poi la decisione di scrivere la lettera.

La conferma da parte di Mons. Libanori segue l’ammissione dei Gesuiti (vedi qui) della duplice vicenda (per ora) che coinvolge il gesuita sloveno. Appurato dunque che non si tratta di indiscrezioni non verificate, bisogna iniziare a tirare qualche conclusione.

Anzitutto, più di un dubbio sulle sanzioni comminate a padre Rupnik. A un sacerdote, religioso, che si è servito della sua autorità sacerdotale e del suo ascendente spirituale per compiere quello che ha commesso su delle novizie e giovani suore, e che dimostra di avere delle gravi turbe legate alla sfera della sessualità, dal momento che si è rivelato anche un habitué della pornografia, è stato semplicemente proibito di confessare, di predicare Esercizi spirituali e di compiere la direzione spirituale.

Quanto alla proibizione di esercitare attività pubbliche senza il permesso del Superiore locale, risulta piuttosto ridicola e per il fatto che i religiosi sono già legati dal voto di obbedienza e per la modalità con cui questa restrizione viene esercitata. Perché, nel mentre, padre Rupnik continua ad esercitare pubblicamente il suo ministero. L’8 dicembre è stato infatti visto mentre predicava in una chiesa di Roma, vicino a Santa Maria Maggiore, “con il permesso dei superiori”, a detta dell’interessato. E nemmeno un mese fa, il 30 novembre, si trovava in Brasile per ricevere una laurea honoris causa. Se si avesse un minimo senso di giustizia nei confronti di quelle donne, la cui vita è stata lacerata e calpestata non solo dalle prestazioni del gesuita, dalle sue intimidazioni, ma anche dalla spavalderia con cui l’interessato per trent’anni ha predicato a destra e a manca sulla vita religiosa e la vita spirituale, oltre che portare per il mondo le sue realizzazioni artistiche, si dovrebbe come minimo convenire che queste “misure cautelative” risultano una presa in giro.

Ancor meno rispettosa della dignità delle persone coinvolte appare il tentativo di liquidare gli abusi commessi all’inizio degli anni ‘90 in quanto ormai caduti in prescrizione. Come è possibile che cadano in prescrizione nefandezze del genere, abusi seriali compiuti avvalendosi del ministero sacerdotale?  

Ma non c’è solo un problema con i Gesuiti ad intra, ma anche con quelli ad extra. La prima indagine, infatti, riguardava l’assoluzione del complice contro il sesto comandamento, assoluzione  - invalida, secondo il can. 977 del Codice di Diritto Canonico  - che Padre Rupnik aveva impartito nel 2015 ad una novizia italiana, con la quale aveva peccato de sexto. Nel gennaio del 2020 il processo si era concluso con una condanna unanime, che ha riconosciuto la credibilità dell’accusa. Al gesuita veniva così notificata, da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede, la scomunica nel maggio dello stesso anno, scomunica poi rimossa alla fine del mese.

Ora, questo reato canonico è uno dei sei che prevedono la scomunica latae sentientiae – cioè la scomunica “automatica” – riservata alla Sede Apostolica (gli altri riguardano la profanazione delle specie consacrate, la violenza fisica contro il Papa, la consacrazione di un vescovo senza mandato pontificio, la violazione del sigillo sacramentale e il tentativo di ordinare una donna). Questo significa che la scomunica poteva essere tolta solo dal Papa. Secondo quanto scritto dal Delegato del Generale dei Gesuiti, padre Johan Verschueren, sarebbe stata la medesima CDF a rimuovere in brevissimo tempo la scomunica.

I casi sono due: o si è trattata di un’iniziativa illegittima del cardinale gesuita Ladaria, oppure la richiesta è venuta dallo stesso Pontefice gesuita ed è stata poi notificata dalla Congregazione. Da notare inoltre che Papa Francesco, a marzo del 2020, cioè due mesi dopo che la Congregazione aveva condannato padre Rupnik per l’assoluzione del complice, aveva chiamato il gesuita sloveno a sostituire padre Raniero Cantalamessa per la predicazione quaresimale in Vaticano (vedi qui).

Da una parte la caduta in prescrizione, dall’altra l’assai probabile intervento del Pontefice per rimuovere la scomunica hanno reso irrisorie le sanzioni imposte a padre Rupnik; irrisorie oggettivamente, perché non corrispondenti alla gravità degli atti reiterati ed al danno provocato a tutte le persone finora coinvolte. Ma ancora più irritante è l’atteggiamento di chi, pur sapendo, ha cercato di insabbiare tutto, lasciando cadere nel vuoto il grido di chi ha dovuto subire i trattamenti di padre Rupnik, ritrovandoselo poi ovunque a pontificare. Non meno incredibile appare poi la remissione lampo della scomunica, che manda un messaggio inquietante di come sia possibile, nella Chiesa, cavarsela con poco, pur commettendo di tutto. Ovviamente se si hanno le amicizie giuste. Se il “papa nero” mostra di essere sempre più colpevolmente coinvolto nella vicenda, anche il “papa bianco” – in nome della trasparenza da lui tante volte invocata – non può sfuggire alla richiesta di dare adeguate giustificazioni.