VACANZE LETTERARIE/5

Romanticismo e misticismo tra i Colli Euganei

Da Foscolo, che vi ambienta l'inizio e la fine dell'Ortis a Fogazzaro, che ha descritto l'abbazia di Praglia, viaggio in una zona che è quasi un'isola, secondo una felice intuizione di Paolo Castelnuovi. 

Culture 01_08_2022

Al visitatore i Colli Euganei si presentano come un’isola in mezzo alla pianura. «Dell’isola» annota Paolo Castelnuovi «i Colli non hanno solo lo straordinario elevarsi da un ambiente geometricamente e geograficamente omogeneo, come il mare, ma presentano anche una eccezionale serie di elementi complementari. […] Sono riconoscibili i fiordi, i golfi, i promontori, gli arcipelaghi, le isole minori e soprattutto si è orientati ad orientare la fruizione dalla piana secondo un comportamento "marinaro"».

Nato nell’isola greca di Zacinto, trasferitosi prima a Spalato e poi a Venezia, Foscolo rimase colpito dal fascino dell’insularità dei Colli Euganei e vi passò alcuni mesi nel 1796 nella Villa Cittadella Vigodarzene, in località Feriole di Abano Terme. Aveva solo diciotto anni. Su uno dei pilastri del cancello d’ingresso, dal 1978 è possibile leggere un’epigrafe che ricorda la permanenza in villa di Foscolo.

In quei mesi, probabilmente, sorse in lui l’ispirazione per la stesura del primo romanzo della letteratura italiana, che si apre e si chiude sui Colli Euganei: Le ultime lettere di Jacopo Ortis.

In fuga da Venezia in seguito al Trattato di Campoformio, Ortis si trasferisce in una località distante quattro miglia da Arquà Petrarca.

Lo stesso protagonista lo scrive in una lettera indirizzata all’amico Lorenzo Alderani nella lettera del 20 novembre 1798. Ivi, Ortis descrive anche una bella sera d’autunno:
S’apriva appena il più bel giorno d’autunno. […] Le nuvole dorate e dipinte a mille colori salivano sulla volta del cielo che tutto sereno mostrava quasi di schiudersi per diffondere sovra i mortali le cure della Divinità. Io salutava ad ogni passo la famiglia de’ fiori e dell’erbe che a poco a poco alzavano il capo chinato dalla brina.

Ortis compiange poi lo sciagurato che guarda muto e freddo tali benefici donati all’uomo senza avere gli occhi madidi dal pianto per la gratitudine. Se da un lato le parole del protagonista mostrano l’animo romantico, passionale ed entusiasta, dall’altro rivelano anche la stupefacente meraviglia che la bellezza dei Colli Euganei provocava in lui.

Ai piedi del borgo di Arquà Petrarca si trova il Lago della Costa, noto come lago delle sette fontane, per la presenza delle numerose fonti fredde e calde che lo alimentano. Si tratta quasi sicuramente del lago dei cinque fonti, presso il quale Ortis passeggia con l’amata Teresa nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis.

Non solo la natura e la particolare conformazione dei Colli affascinano il visitatore. Le lusinghe della cultura non sono inferiori: ville, castelli, giardini all’italiana gemmano il territorio dei Colli Euganei.

Presso Battaglia Terme si può visitare la gigantesca mole del Catajo, che ha le caratteristiche del castello più che della villa veneta. Quasi sicuramente il nome deriva dal dialetto e significa «Ca’ del taglio», ad indicare gli scavi realizzati nel monte per permettere il deflusso delle acque. Si pensava un tempo che il nome alludesse al Catai, termine col quale Marco Polo indica la Cina ne Il milione. Il complesso, formatosi a partire dalla villa della famiglia Obizzi (famosi capitani di ventura), nel corso dei secoli si è ampliato, divenendo nel Cinquecento sede del salotto letterario di Beatrice Pia degli Obizzi, frequentato da letterati come Ludovico Ariosto (autore dell’Orlando furioso) e da Sperone Speroni (che qui scrive Alle Laudi del Catajo). Anche se una gran parte della mole venne costruita tra il 1570 e il 1573, gli ampliamenti proseguirono fino alla seconda metà del XIX secolo, quando il castello-villa non era ormai più proprietà degli Obizzi, che si erano estinti nel 1803. Quando il Catajo divenne proprietà dell’erede al trono d’Austria Francesco Ferdinando D’Asburgo, purtroppo perse tutte le preziose collezioni che furono trasferite a Vienna e a Praga. Il complesso, fornito di trecentocinquanta stanze, gode di un magnifico giardino con un laghetto con le ninfee. Nel cortile principale, riempito d’acqua, si poteva assistere un tempo alle nauromachie. Oggi, una parte del castello è stata restaurata ed è visitabile offrendo la vista di magnifici affreschi che ricordano la storia, il prestigio e le vicende militari della famiglia Obizzi, distinguendosi dagli affreschi delle altre ville venete improntate a temi mitologici e edonistici.

A Luvigliano di Torreglia su un poggio si può ammirare la Villa dei Vescovi, residenza di campagna e di ristoro per i vescovi di Padova dal Cinquecento, di stampo rinascimentale. L’edificio oggi visitabile è figlio dei progetti dell’architetto veronese Falconetto e del suo allievo Andrea da Valle, dei contributi di Giulio Romano, che scelse tra l’altro il pittore fiammingo Lambert Sustris per la realizzazione di affreschi di stampo mitologico e naturalistico, che fondessero lo splendore della natura esterna con gli effetti artistici degli interni.

Nei secoli scorsi eremi e monasteri sono stati eretti in queste terre. L’eremo camaldolese del Monte Rua risale al 1334. Nel Cinquecento visse un periodo di crescita tanto che vi operò una piccola stamperia ad uso dei Camaldolesi. Nel Seicento l’eremo accolse l’ingente patrimonio librario del vescovo di Padova Marcantonio Cornaro. Il famoso latinista Concetto Marchesi scrive a proposito della vista dall’eremo del Monte Rua:
Dalla vetta l’occhio spazia in una vastità come di sommo valico alpino. […] E chi guarda di giù, nelle giornate piovose, ha un senso di altezza remota.    

A nord est dei Colli Euganei, alle falde del Monte Lonzino, nel comune di Teolo vicino ad Abano Terme nel 1080 sorse l’abbazia di Praglia (dal latino pratalia ovvero «prati»), ricostruita più tardi interamente a partire dal 1469. Soppressa più volte nel corso dell’Ottocento (con Napoleone, con l’annessione del Veneto all’Italia) e poi ripristinata, l’Abbazia benedettina è attualmente al primo posto in Italia per  numero di membri nella comunità: i monaci trascorrono le loro giornate equamente divise tra la preghiera, il lavoro manuale, l’attività intellettuale e il riposo notturno. I viandanti trovano quotidianamente ospitalità presso la foresteria dell’abbazia.

Centro molto vivo a livello culturale, sede del laboratorio di restauro del libro antico, dotata di un’antica farmacia e della vasta Biblioteca nazionale (contemplata tra i monumenti nazionali, anche se nei secoli scorsi è stata spogliata dei preziosissimi codici manoscritti che possedeva), l’abbazia appare nella sua grandezza solo quando vi si giunge, per il fatto che non è stata costruita in posizione elevata, ma si trova immersa nei vigneti.

Il romanziere Antonio Fogazzaro descrive l’arrivo all’abbazia di Piero Maironi, protagonista del romanzo  Piccolo mondo moderno (1901), uomo combattuto tra le passioni terrene e l’aspirazione ad offrire la vita a Dio e ai bisognosi:
La carrozzella seguì l’unghia, in principio, di umili collinette, passò un villaggio, un fiume, altri villaggi, corse una tortuosa stradicciuola vagabonda nel piano sino agli avamposti degli Euganei, piegò per il viale maestoso di platani che ne rade a settentrione il fianco deserto.
Dove questo svolta a guardar il levante e si allontana verso mezzodì,
si parte dalla via maestra e lo segue uno stradone che mette capo dopo cinque minuti alla fosca cintura del grande monastero abbandonato, alla torre merlata, al bel tempio possente del Quattrocento, assiso sur un enorme dado di pietre nere, onde irrompe, qua e là, congiurata con le ribellioni del pensiero, la ribellione dell’erba viva. Maironi fece l’intero viaggio senza guardar mai né a destra né a sinistra, assorto nel suo dramma interno, nelle visioni di villa Diedo, nel fantasma della Valsolda.

All’Abbazia di Praglia Maironi spera di poter trovare la strada buona, quella voluta da Dio («Ah però se Iddio lo aiutasse!», «Quando si vide a fronte la fosca cintura e la torre merlata di Praglia pensò che forse, chi sa, nel silenzio dell’antico monastero la voce divina gli si farebbe udire»).

Nel 1904, tre anni dopo la pubblicazione di Piccolo mondo moderno, l’Abbazia di Praglia venne restituita all’ordine benedettino.