BOLOGNA

Messa & ideologia: la coperta termica all'offertorio

Iniziativa ideologica della Caritas diocesana di Bologna che per la Giornata dei migranti invita i preti a portare all'offertorio una coperta termica come simbolo per i migranti. Una "ribalderia" liturgica che snatura il senso dell'offerta per il sacrificio e dimostra come la Messa sia diventato ormai un luogo politico. 

Ecclesia 20_09_2019

Siamo a settembre. Per fortuna mancano ancora tre mesi a Natale. Nulla di avverso alla solennità liturgica del 25 dicembre, ci mancherebbe. Ma con il Natale sarebbero arrivati inevitabilmente anche quest’anno i presepi ideologici, quelli con la plastica riciclata e quelli con la Sacra Famiglia sul gommone. E invece niente. Certi “soggetti ecclesiali” non ci lasciano in pace nemmeno nel Tempo Ordinario (o post Pentecosten, per gli amici tridentini). 

Un lettore ci ha girato una lettera, firmata “Area Mondialità della Caritas diocesana di Bologna”, indirizzata a tutti i parroci della diocesi felsinea, con la proposta di un’iniziativa “liturgica” (le virgolette sono d’obbligo) per domenica 29 settembre, giornata mondiale del migrante. La proposta geniale è la seguente: «vi inviamo insieme alla presente lettera un testo che potete leggere durante la celebrazione eucaristica e una coperta termica con l’invito a utilizzarla (portarla all’offertorio o porla sull’altare) nel corso della Messa della domenica 29 settembre». 

Commento liturgico: gran ribalderia (ovvero boiata). Primo, perché sull’altare, stando alle rubriche vigenti (anche nella diocesi di Bologna), «sopra la mensa dell’altare possono disporsi solo le cose richieste per la celebrazione della Messa»; ossia, «l’Evangeliario dall’inizio della celebrazione fino alla proclamazione del Vangelo; il calice con la patena, la pisside, se è necessaria, il corporale, il purificatoio, la palla e il Messale» (Ordinamento Generale del Messale Romano, § 306). Persino per l’ornamento floreale, viene fatto notare che «piuttosto che sopra la mensa dell’altare, si disponga attorno ad esso» (§ 305). Il senso di queste disposizioni è piuttosto ovvio: si intende corrispondere al significato dell’altare come luogo del sacrificio. E invece la Caritas vuole che ci mettiamo la copertina. 

Per quanto riguarda l’offerta della coperta termica durante la presentazione dei doni, facciamo notare che anche in questo caso la proposta appare distonica rispetto al senso liturgico di questa azione. Anzitutto, l’Ordinamento prevede che si possano «anche fare offerte in denaro, o presentare altri doni per i poveri o per la Chiesa, portati dai fedeli o raccolti in chiesa. Essi vengono deposti in luogo adatto, fuori della mensa eucaristica” (§ 73). Dunque, per ribadire il concetto, non sull’altare, sebbene la nostra lettera, poco dopo, torni a rilanciare l’abuso: «Porlo sull’altare [il simbolo della coperta] può diventare in questa domenica, il modo per sensibilizzare tutti i cristiani all’urgenza di questa cura». Inoltre deve trattarsi di qualcosa che dev’essere effettivamente offerto, donato a Dio, per essere utilizzato nella celebrazione eucaristica o per il sostegno della Chiesa e dei poveri, come avviene per le raccolte di denaro. Ora, dubitiamo fortemente che la coperta termica possa essere, nella maggior parte dei casi, effettivamente donata ad un bisognoso: semmai finirà alla prossima pesca di beneficienza! 

E così anche la legittima offerta di un aiuto per i poveri, membra bisognose del Corpo mistico di Cristo, viene svuotata del suo significato di effettiva donazione a Dio, per diventare una «sensibilizzazione». I simboli liturgici, però, non sono fatti per sensibilizzare le persone a dei valori, fossero anche condivisibili; non sono allegorie di sentimenti o di situazioni sociali. E neppure è lecito ad alcuno aggiungere di proprio arbitrio dei presunti segni liturgici. Presunti, perché il simbolo liturgico, per dirla con Guardini, «possiede contemporaneamente una validità generale non di rado assai ampia, a tutti comprensibile e piena di significato ma insieme, come l’opera d’arte, deve innalzarsi al di sopra del puramente individuale». Si pensi all’acqua, o al bacio, o all’incenso. Pretendere che «oggi come oggi, questa coperta rappresenta una categoria di persone, che sono quelle che viaggiano per emigrare dai loro paesi», come afferma la lettera in questione, significa non aver capito nulla dei santi segni della liturgia. Un simbolo liturgico non può valere «oggi come oggi», e non può rappresentare allegoricamente una categoria di persone, fossero anche bisognose. Se un giorno dovessero esserci migliaia di disoccupati, ingiustamente licenziati da aziende che si occupano di biancheria intima, cosa porteremo all’offertorio? Mutande e reggiseno?

La coperta termica presentata durante la processione offertoriale, dunque, non è né un’effettiva offerta per i bisognosi né un simbolo liturgico.

L’intenzione ideologica di questo gesto è evidente. L’excusatio non petita presente nella lettera è piuttosto eloquente: «Sappiamo benissimo che questo simbolo, volenti o nolenti, rischia di avere un’accezione ideologica o purtroppo addirittura politica, ma vorremmo per una volta usare i simboli per quello che sono». Siamo noi che pensiamo male? Può darsi. Ma quando si va a vedere la preghiera allegata alla lettera, che si dovrebbe leggere durante la celebrazione eucaristica (sic!), troviamo scritto: «Fa’ che coloro che vivono nel benessere aprano i loro cuori e accolgano i rifugiati, i migranti e quanti, scampati alla guerra e all’oppressione, alla miseria e alla fame, cercano in ogni modo di raggiungere l’altra riva di quel mare che, nonostante la perigliosità del viaggio, rappresenta l’unica possibilità di salvezza». Strano che la preghiera per i migranti si focalizzi esplicitamente su una categoria precisa, che è stata – e rimane - al centro dell’attuale infuocato dibattito politico... Di tutti i migranti che ci sono al mondo, bisognava esplicitamente menzionare quelli che cercano di raggiungere «l’altra riva», decidendo, oltretutto, che questa sarebbe la loro unica possibilità di salvezza.

A questo punto, permetteteci almeno un sospetto: la lettera viene dalla Caritas diocesana di Bologna o dalla Caritas PDiocesana?