L'incontro ecumenico: testimoniare assieme senza annacquare la fede
In Germania il Papa incontra i non cattolici. Ai musulmani ripete la lezione del Bundestag: le fedi difendano assieme il diritto naturale. Ai protestanti ricorda che i cattolici possono anche condividere le drammatiche domande di Martin Lutero, ma mai le sue risposte.
La seconda giornata del viaggio in Germania di Benedetto XVI - che si conclude, in modo simbolicamente significativo, con un omaggio alla Madonna, i vespri mariani nella Wallfahrtskapelle di Etzelsbach, testimonianza delle radici mariane cui la Chiesa non vuole e non può rinunciare - è stata dedicata al dialogo ecumenico e interreligioso.
Il contesto è sempre quello di una società dove Dio è diventato per molti irrilevante. Che senso ha che le religioni, in un simile contesto, dialoghino tra loro? Benedetto XVI ha sottolineato tre diversi aspetti. Anzitutto - ha detto il Papa nella celebrazione ecumenica nella cappella del Convento degli Agostiniani di Erfurt - i credenti possono rispondere insieme alla domanda: «L’uomo ha bisogno di Dio, oppure le cose vanno abbastanza bene anche senza di Lui? Quando, in una prima fase dell’assenza di Dio, la sua luce continua ancora a mandare i suoi riflessi e tiene insieme l’ordine dell’esistenza umana, si ha l’impressione che le cose funzionino anche senza Dio. Ma quanto più il mondo si allontana da Dio, tanto più diventa chiaro che l’uomo, nell’hybris del potere, nel vuoto del cuore e nella brama di soddisfazione e di felicità, “perde” sempre di più la vita. La sete di infinito è presente nell’uomo in modo inestirpabile. L’uomo è stato creato per la relazione con Dio e ha bisogno di Lui».
A Berlino, il Papa ha incontrato i rappresentanti musulmani. Il Pontefice ha riconosciuto che «molti musulmani attribuiscono grande importanza alla dimensione religiosa» e che questo «a volte, è interpretato come una provocazione in una società che tende ad emarginare questo aspetto o ad ammetterlo tutt’al più nella sfera delle scelte individuali dei singoli». Questa testimonianza pubblica dell’importanza della religione in una società secolarizzata che danno i musulmani è positiva. «La Chiesa cattolica si impegna fermamente perché venga dato il giusto riconoscimento alla dimensione pubblica dell’appartenenza religiosa. Si tratta di un’esigenza che non diventa irrilevante nel contesto di una società maggiormente pluralista». E tuttavia non tutto quello che si presenta come dimensione pubblica della religione è accettabile. «Va fatta, però, attenzione che il rispetto verso l’altro sia sempre mantenuto».
In secondo luogo, le religioni possono e devono testimoniare insieme per i valori del diritto naturale, oggetto della magnifica lezione di giovedì al Parlamento Federale, che in quanto fondati sulla natura e riconosciuti dalla ragione non sono né cattolici, né protestanti né musulmani, ma sono per tutti e s’impongono a tutti. Riprendendo ancora una volta il tema centrale del discorso di Ratisbona del 2006, Benedetto XVI ha ripetuto ai musulmani che - tra religioni che professano credenze evidentemente inconciliabili sul piano teologico - il dialogo più urgente è quello sulla ragione, sul diritto naturale sui valori comuni che non derivano dalle rispettive Sacre Scritture ma dalla natura umana. «Il rispetto reciproco cresce solo sulla base dell’intesa su alcuni valori inalienabili, propri della natura umana, soprattutto l’inviolabile dignità di ogni persona. Tale intesa non limita l’espressione delle singole religioni; al contrario, permette a ciascuno di testimoniare in modo propositivo ciò in cui crede, non sottraendosi al confronto con l’altro».
In Germania, ha ricordato il Pontefice, «tale quadro di riferimento comune è rappresentato dalla Costituzione, il cui contenuto giuridico è vincolante per ogni cittadino, che sia appartenente o meno ad una confessione religiosa. Naturalmente il dibattito sulla migliore formulazione di principi come la libertà di culto pubblico, è vasto e sempre aperto, tuttavia è significativo il fatto che la Legge Fondamentale li esprima in un modo ancora oggi valido, a distanza di più di 60 anni (cfr art. 4, 2). In essa troviamo espresso prima di tutto quell’ethos comune che è alla base della convivenza civile e che in qualche modo segna anche le regole apparentemente solo formali del funzionamento degli organi istituzionali e della vita democratica».
Qualcuno potrebbe chiedersi, a proposito della Costituzione, «come possa un tale testo, elaborato in un’epoca storica radicalmente diversa, in una situazione culturale quasi uniformemente cristiana, essere adatto alla Germania di oggi, che vive nel contesto di un mondo globalizzato ed è segnata da un notevole pluralismo in materia di convinzioni religiose». La risposta è che, elaborata in gran parte da cristiani, la Costituzione volle porsi sul terreno comune - ai cattolici, ai protestanti, agli ebrei, ai non credenti e oggi anche ai musulmani - di valori e principi che la ragione può riconoscere come naturali e inalienabili. «La ragione di ciò, mi pare – ha detto il Papa –, si trova nel fatto che i padri della Legge Fondamentale ebbero la piena consapevolezza, in quel momento importante, di dover cercare un solido terreno, nel quale tutti i cittadini potessero riconoscersi. Nel fare ciò essi non prescindevano dalla propria appartenenza religiosa; per molti di loro, anzi, la visione cristiana dell’uomo era la vera forza ispiratrice. Tuttavia sapevano di doversi confrontare con uomini con una base confessionale diversa o addirittura non religiosa: il terreno comune fu trovato nel riconoscimento di alcuni diritti inalienabili, che sono propri della natura umana e che precedono ogni formulazione positiva».
Il Papa ha così ribadito ai musulmani la nozione esposta nel memorabile discorso al Parlamento Federale: è la legge naturale «il fondamento che oggi riconosciamo valido per un mondo segnato dal pluralismo. Fondamento che, in realtà, indica anche degli evidenti confini a tale pluralismo: non è pensabile, infatti, che una società possa sostenersi nel lungo termine senza un consenso sui valori etici fondamentali».
Così, il Papa ha richiamato i musulmani a una testimonianza comune - che ciascuno dà animato dalla sua fede, diversa per il cristiano e per il musulmano, ma consapevole di proporre qualcosa che, in quanto riconoscibile dalla ragione, vale per tutti - proprio per i valori della legge naturale, oltre che per la rilevanza pubblica della religione. «In quanto uomini religiosi, a partire dalle rispettive convinzioni possiamo dare una testimonianza importante in molti settori cruciali della vita sociale. Penso, ad esempio, alla tutela della famiglia fondata sul matrimonio, al rispetto della vita in ogni fase del suo naturale decorso o alla promozione di una più ampia giustizia sociale». Così, il Papa fissa anche l’agenda del prossimo incontro di Assisi: «per questo ritengo importante celebrare una Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia del mondo; e vogliamo fare questo il prossimo 27 ottobre, a 25 anni dallo storico incontro di Assisi guidato dal mio Predecessore, il Beato Giovanni Paolo II [1920-2005]».
Anche ai protestanti, tra le cui fila - è inutile negarlo - si levano voci favorevoli all’aborto, all’eutanasia o al matrimonio omosessuali, il Papa ha chiesto di collaborare alla testimonianza comune che le persone di fede offrono al mondo per i principi non negoziabili del diritto naturale. Nella cappella del Convento di Erfurt, Benedetto XVI ha ricordato che l’impegno per Dio non può non tradursi «nell’impegno per quella creatura che Egli volle a sua immagine, per l’uomo. Viviamo in un tempo in cui i criteri dell’essere uomini sono diventati incerti. L’etica viene sostituita con il calcolo delle conseguenze. Di fronte a ciò noi come cristiani dobbiamo difendere la dignità inviolabile dell’uomo, dal concepimento fino alla morte - nelle questioni della diagnosi pre-impiantatoria fino all’eutanasia». E questo non riguarda solo la vita privata ma la politica e le leggi: deve attuarsi non solo nella chiese ma «nella comunità di un popolo e di uno Stato».
C’è un terzo aspetto. Oltre all’importanza della religione - in una società dove molti la giudicano irrilevante - e ai valori del diritto naturale, che la Chiesa Cattolica testimonia insieme a uomini di qualunque fede, la testimonianza comune con i protestanti include molto di più. Cattolici e protestanti possono proclamare insieme non solo che Dio c’è, ma che la Sacra Scrittura è la sua Parola e che Gesù Cristo è Dio. Possono anche condividere - ha voluto aggiungere il Papa -, se non tutte le risposte, almeno le domande drammatiche che Martin Lutero (1483-1546) si pose all’alba dell’epoca moderna.
Da anni raffinato studioso di Lutero, Benedetto XVI ha definito «momento emozionante» la sua visita al convento agostiniano di Erfurt, dove ha incontrato i rappresentanti dei luterani tedeschi. «Qui Lutero ha studiato teologia. Qui è stato ordinato sacerdote nel 1507. Contro il desiderio del padre, egli non continuò gli studi di giurisprudenza, ma studiò teologia e si incamminò verso il sacerdozio nell’Ordine di sant’Agostino [354-430]». L’esperienza di Lutero, già moderna e insieme di reazione alla modernità che nasce, si presenta come un insieme di domande pressanti. «In questo cammino non gli interessava questo o quello. Ciò che non gli dava pace era la questione su Dio, che fu la passione profonda e la molla della sua vita e dell’intero suo cammino. “Come posso avere un Dio misericordioso?”: questa domanda gli penetrava nel cuore e stava dietro ogni sua ricerca teologica e ogni lotta interiore». Per Lutero «la teologia non era una questione accademica, ma la lotta interiore con se stesso, e questo, poi, era una lotta riguardo a Dio e con Dio».
Le domande di Lutero sarebbero di grande attualità, ma il nuovo ateismo dell’indifferenza, che contagia anche tanti cristiani tiepidi, va oltre senza nemmeno più porsele. «“Come posso avere un Dio misericordioso?”. Che questa domanda sia stata la forza motrice di tutto il suo cammino mi colpisce sempre nuovamente. Chi, infatti, si preoccupa oggi di questo, anche tra i cristiani? Che cosa significa la questione su Dio nella nostra vita? Nel nostro annuncio? La maggior parte della gente, anche dei cristiani, oggi dà per scontato che Dio, in ultima analisi, non si interessa dei nostri peccati e delle nostre virtù. Egli sa, appunto, che tutti siamo soltanto carne. Se oggi si crede ancora in un al di là e in un giudizio di Dio, allora quasi tutti presupponiamo in pratica che Dio debba essere generoso e, alla fine, nella sua misericordia, ignorerà le nostre piccole mancanze».
Invece, la questione del peccato che tormentava Lutero non ha smesso di essere molto seria, anche se i peccati sono in parte cambiati. «Ma sono veramente così piccole le nostre mancanze? Non viene forse devastato il mondo a causa della corruzione dei grandi, ma anche dei piccoli, che pensano soltanto al proprio tornaconto? Non viene forse devastato a causa del potere della droga, che vive, da una parte, della brama di vita e di denaro e, dall’altra, dell’avidità di piacere delle persone dedite ad essa? Non è forse minacciato dalla crescente disposizione alla violenza che, non di rado, si maschera con l’apparenza della religiosità? La fame e la povertà potrebbero devastare a tal punto intere parti del mondo se in noi l’amore di Dio e, a partire da Lui, l’amore per il prossimo, per le creature di Dio, gli uomini, fosse più vivo? Le domande in questo senso potrebbero continuare. No, il male non è un’inezia».
Sembra, anzi, che il male sia oggi dominante: ma «esso non potrebbe essere così potente se noi mettessimo Dio veramente al centro della nostra vita». In questo senso è utile «l’incontro con Martin Lutero»: perché «la domanda: Qual è la posizione di Dio nei miei confronti, come mi trovo io davanti a Dio? – questa scottante domanda di Martin Lutero deve diventare di nuovo, e certamente in forma nuova, anche la nostra domanda».
La risposta di Lutero inizia in un senso che è comune a protestanti e cattolici. Di fronte alla modernità, Lutero ribadisce che «Dio, l’unico Dio, il Creatore del cielo e della terra, è qualcosa di diverso da un’ipotesi filosofica sull’origine del cosmo. Questo Dio ha un volto e ci ha parlato. Nell’uomo Gesù Cristo è diventato uno di noi – insieme vero Dio e vero uomo. Il pensiero di Lutero, l’intera sua spiritualità era del tutto cristocentrica: “Ciò che promuove la causa di Cristo” era per Lutero il criterio ermeneutico decisivo nell’interpretazione della Sacra Scrittura. Questo, però, presuppone che Cristo sia il centro della nostra spiritualità e che l’amore per Lui, il vivere insieme con Lui orienti la nostra vita».
Naturalmente, il Papa non si nasconde che la risposta di Lutero non finisce qui. Né finisce qui la storia del protestantesimo. Da Lutero inizia un processo di allontanamento protestante dalla Chiesa Cattolica che oggi si esprime in «due aspetti» nuovi, che il riformatore tedesco non aveva previsto. Il primo è che le comunità protestanti storiche oggi sono minoritarie rispetto a un nuovo protestantesimo, di tipo principalmente pentecostale, i cui numeri – il Papa non ha citato statistiche precise ma il grande esperto di statistica religiosa scomparso il mese scorso, David B. Barrett (1927-2011), parlava di mezzo miliardo di credenti – sono impressionanti. « Negli ultimi tempi – ha detto Benedetto XVI – la geografia del cristianesimo è profondamente cambiata e sta cambiando ulteriormente. Davanti ad una forma nuova di cristianesimo, che si diffonde con un immenso dinamismo missionario, a volte preoccupante nelle sue forme, le Chiese confessionali storiche restano spesso perplesse». Il giudizio della Chiesa Cattolica su queste nuove forme rimane anch’esso perplesso, ma non è soltanto negativo. « È un cristianesimo di scarsa densità istituzionale, con poco bagaglio razionale e ancora meno bagaglio dogmatico e anche con poca stabilità. Questo fenomeno mondiale ci pone tutti davanti alla domanda: che cosa ha da dire a noi di positivo e di negativo questa nuova forma di cristianesimo?».
Il secondo fenomeno nuovo è il cedimento di molte comunità cristiane al secolarismo. Ci sono comunità protestanti che si schierano su posizioni antitetiche a quelle della Chiesa Cattolica sui temi della vita e della famiglia, spesso peraltro perdendo di conseguenza fedeli che passano alle nuove forme di tipo pentecostale. «Più profonda e nel nostro Paese più scottante - ha detto il Pontefice - è la seconda sfida per l’intera cristianità», che riguarda la risposta da dare al «contesto secolarizzato». Adattarsi al contesto significa annacquare la fede cristiana. «L’assenza di Dio nella nostra società si fa più pesante, la storia della sua rivelazione, di cui ci parla la Scrittura, sembra collocata in un passato che si allontana sempre di più. Occorre forse cedere alla pressione della secolarizzazione, diventare moderni mediante un annacquamento della fede? Naturalmente, la fede deve essere ripensata e soprattutto rivissuta oggi in modo nuovo per diventare una cosa che appartiene al presente. Ma non è l’annacquamento della fede che aiuta, bensì solo il viverla interamente nel nostro oggi».
«Non saranno le tattiche a salvarci, a salvare il cristianesimo - ha ricordato in modo accorato il Papa ai dirigenti protestanti -, ma una fede ripensata e rivissuta in modo nuovo, mediante la quale Cristo, e con Lui il Dio vivente, entri in questo nostro mondo. Come i martiri dell’epoca nazista ci hanno condotti gli uni verso gli altri e hanno suscitato la prima grande apertura ecumenica, così anche oggi la fede, vissuta a partire dell’intimo di se stessi, in un mondo secolarizzato, è la forza ecumenica più forte che ci ricongiunge, guidandoci verso l’unità nell’unico Signore».
Nella cappella del Convento di Erfurt, e in un contesto di preghiera, il Pontefice ha ripetuto che «la cosa più necessaria per l’ecumenismo è innanzitutto che, sotto la pressione della secolarizzazione, non perdiamo quasi inavvertitamente le grandi cose che abbiamo in comune, che di per sé ci rendono cristiani e che ci sono restate come dono e compito. È stato l’errore dell’età confessionale aver visto per lo più soltanto ciò che separa, e non aver percepito in modo esistenziale ciò che abbiamo in comune nelle grandi direttive della Sacra Scrittura e nelle professioni di fede del cristianesimo antico. È questo il grande progresso ecumenico degli ultimi decenni». Ma di questa fede comune dobbiamo anche dire con franchezza che «il pericolo di perderla, purtroppo, non è irreale». Ci sono forme di «annacquamento» che non permettono neppure più di riconoscere la fede cristiana come tale.
Il discorso del Pontefice ai protestanti è stato molto franco, e ha coinvolto anche un certo cattolicesimo progressista che chiedeva al Papa un «dono ecumenico» che segnalasse ai luterani che la Chiesa Cattolica era pronta ad andare incontro alle critiche di taluni di loro su materie come la bioetica, il celibato dei sacerdoti o l’ordinazione delle donne. «Alla vigilia della visita del Papa - ha detto Benedetto XVI - si è parlato diverse volte di un dono ecumenico dell’ospite, che ci si aspettava da questa visita. Non c’è bisogno che io specifichi i doni menzionati in tale contesto». Il Pontefice ha risposto, senza giri di parole, «che questo costituisce un fraintendimento politico della fede e dell’ecumenismo. Quando un Capo di Stato visita un Paese amico, generalmente precedono contatti tra le istanze, che preparano la stipulazione di uno o anche di più accordi tra i due Stati: nella ponderazione dei vantaggi e degli svantaggi si arriva al compromesso che, alla fine, appare vantaggioso per ambedue le parti, così che poi il trattato può essere firmato». Immaginare così l’ecumenismo implica un completo fraintendimento della fede cristiana, che non è un’invenzione della Chiesa sottoposta a un continuo negoziato politico che tiene conto del contesto sociale, ma si fonda sull’insegnamento immutabile di Gesù Cristo. No, «la fede dei cristiani non si basa su una ponderazione dei nostri vantaggi e svantaggi. Una fede autocostruita è priva di valore. La fede non è una cosa che noi escogitiamo o concordiamo. È il fondamento su cui viviamo. L’unità cresce non mediante la ponderazione di vantaggi e svantaggi, bensì solo attraverso un sempre più profondo penetrare nella fede mediante il pensiero e la vita».