2010 - CHIESA
L'anno di grazia di Papa Ratzinger
Qualcuno l’ha definito “l’annus horribilis” di Benedetto XVI, ma in realtà è stato un anno di grazia...
Culture
31_12_2010
Qualcuno l’ha definito “l’annus horribilis” di Benedetto XVI, a causa del deflagrare dello scandalo pedofilia. Ma per il Papa, nonostante le difficoltà scatenate dal “nemico”, il diavolo, è stato in realtà un anno di grazia, di penitenza, di purificazione, il cui evento culminante è stato il viaggio in Gran Bretagna, una trasferta che era stata presentata come ad alto rischio e che si è invece rivelata un successo.
Il 2010 si è aperto con un gesto significativo, la visita alla Sinagoga di Roma. C’è soltanto un chilometro che separa il Vaticano dal Tempio Maggiore, cuore dell’antichissima comunità ebraica nella capitale della cristianità. Ed è un chilometro che negli ultimi tempi è sembrato talvolta dilatarsi. Benedetto XVI lo percorre accorciando nuovamente le distanze. Si presenta in Sinagoga come l’umile successore dell’ebreo Pietro, nel giorno in cui si commemora il «Mo’èd di Piombo», l’acquazzone che spense le fiamme appiccate alle porte del ghetto nel 1793 dal popolino romano convinto che tutti gli ebrei proteggeresseo i sostenitori delle idee rivoluzionarie francesi. Assicura di voler «confermare e rafforzare» il cammino da lui tracciato e manifestando la «stima e l’affetto» della Chiesa per gli ebrei. E invita a lavorare insieme a partire dalle radici comuni dei Dieci Comandamenti.
Il 19 marzo, viene reso noto un importante documento, la Lettera ai cattolici d’Irlanda, con la quale il Papa, che alcune settimane prima aveva presieduto una riunione dei vescovi irlandesi in Vaticano, affronta il doloroso tema dello scandalo degli abusi sessuali sui minori. «Non posso che condividere lo sgomento e il senso di tradimento che molti di voi hanno sperimentato al venire a conoscenza di questi atti peccaminosi e criminali e del modo in cui le autorità della Chiesa in Irlanda li hanno affrontati».
La lettera rappresenta un’iniziativa inedita, con la quale il vescovo di Roma rilegge con umiltà quanto accaduto, esprime vicinanza alle vittime, chiede ai preti responsabili degli abusi di assumersi le loro responsabilità «davanti a Dio» e «davanti ai tribunali», non risparmia critiche severe ai vescovi che hanno sottovalutato o coperto i colpevoli. Ma indica anche una via d’uscita, un cammino di riparazione e rinnovamento, non dimenticando il contesto nel quale il fenomeno si è verificato: la secolarizzazione della società, il venir meno di «pratiche sacramentali e devozionali», come ad esempio la confessione e la preghiera quotidiana; la tendenza anche da parte di preti e religiosi «di adottare modi di pensiero e di giudizio secolari», senza sufficiente riferimento al Vangelo, come pure un fraintendimento del «programma di rinnovamento» conciliare.
La lettera si conclude con alcune indicazioni concrete. Ratzinger chiede a tutti di offrire le penitenze del venerdì, per un anno, in riparazione dei peccati di abuso, raccomanda di riscoprire la confessione e l’adorazione eucaristica. Annuncia che invierà una visita apostolica di alcune diocesi, congregazioni religiose e seminari; propone una missione nazionale per i vescovi, i sacerdoti e i religiosi in Irlanda. Se si legge con serenità e attenzione il documento papale, non si può fare a meno di notare come sia imbevuto di umiltà dalla prima all’ultima riga.
Ratzinger non si è difeso trincerandosi dietro le statistiche, non ha minimizzato con sottili distinzioni in base all’età della vittime, non ha fatto neanche minimamente balenare l’idea di una Chiesa sotto assedio a causa di complotti. Non ha rilanciato responsabilità verso altre istituzioni o confessioni religiose, limitandosi soltando a consentire con quanti osservano che «il problema dell’abuso dei minori non è specifico né dell’Irlanda né della Chiesa».
Umiltà, vergogna, dolore per il tradimento. Tutto il contesto della lettera trasuda contrizione. Benedetto XVI mostra di compredere e di abbracciare la sofferenza delle vittime, arrivando a descrivere l’orrore per la sensazione di chi è stato abusato nei collegi e non poteva fuggire. La vera notizia della lettera sta in quello sguardo profondamente evangelico del vescovo di Roma.
Il 17 e 18 aprile, Benedetto XVI compie il primo viaggio internazionale del 2010, una visita di due giorni a Malta. Le antiche fortificazioni dell’isola «parlano» delle lotte combattute per difendere la cristianità, ma oggi Malta deve continuare a combattere in modo diverso, per difendere l’identità, il matrimonio indissolubile, la vera natura della famiglia, la sacralità della vita in un’Europa che rischia di smarrire i suoi valori. Benedetto XVI riconosce al governo maltese «l’impegno nei progetti umanitari ad ampio raggio, specialmente in Africa». E suggerisce: «La vostra nazione dovrebbe continuare a difendere l’indissolubilità del matrimonio quale istituzione naturale e sacramentale, come pure la vera natura della famiglia, come già sta facendo nei confronti della sacralità della vita umana dal concepimento sino alla morte naturale».
Questa è per il Papa la grande sfida dell’oggi in Europa, che con queste parole indirettamente ricorda come Malta non sia permesso l’aborto. Nel secondo e ultimo giorno del viaggio, domenica 18 aprile, nella cappella della nunziatura apostolica di Rabat, il Papa otto vittime di abusi sessuali perpetrati da sacerdoti, assicurando l’impegno della Chiesa per consegnare alla giustizia i colpevoli.
Il 2 maggio, Benedetto XVI torna pellegrino sulle strade d’Italia e si reca a Torino, dov’è in corso un’ostensione straordinaria della Sindone, per venerarla. La Sindone, dice, letta con gli occhi della fede, fa percepire la luce della resurrezione: «Io penso che se migliaia e migliaia di persone vengono a venerarla – senza contare quanti la contemplano mediante le immagini – è perché in essa non vedono solo il buio, ma anche la luce; non tanto la sconfitta della vita e dell’amore, ma piuttosto la vittoria, la vittoria della vita sulla morte, dell’amore sull’odio».
Tra l’11 e il 14 maggio, il Pontefice compie il secondo importante viaggio internazionale del 2010, recandosi a Lisbona e a Fatima, in occasione del decennale della visita di Giovanni Paolo II. Sull’aereo che lo porta a Lisbona, rispondendo alla domanda di un giornalista, Benedetto XVI collega la profezia di Fatima e il suo significato che non si esaurisce nel passato, alle sofferenze che la Chiesa sta vivendo a causa degli scandali degli abusi sessuali perpetrati da esponenti del clero: «Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire in questo messaggio, vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si è sempre saputo, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa e che la Chiesa quindi ha profondo bisogno di ri-imparare la penitenza, di accettare la purificazione, di imparare da una parte il perdono, ma anche la necessità della giustizia. Il perdono non sostituisce la giustizia».
Tra i passaggi che più colpiscono nelle omelie portoghesi, c’è questo, pronunciato nel pomeriggio dell’11 maggio, al Terreiro do Paço, la piazza del Commercio: «Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista. Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e di funzioni; ma che cosa accadrà se il sale diventa insipido?». Il giorno successivo, Benedetto XVI si trasferisce a Fatima. Il Papa s’inginocchia davanti alla statua della Vergine, davanti alla cappellina delle apparizioni nella Cova da Iria, dove ricorda il predecessore Giovanni Paolo II e l’attentato da lui subito il 13 maggio 1981. E il 13 maggio, durante la messa afferma che la profezia di Fatima non è chiusa e che l’uomo «non riesce a interrompere» il ciclo di morte e terrore che ha scatenato.
Dal 4 al 6 giugno si svolge un altro importante viaggio internazionale, questa volta a Cipro, da dove Benedetto XVI parla al Medio Oriente, alla vigilia del Sinodo dedicato alle Chiese di quella regione martoriata, che si sarebbe aperto nell’ottobre successivo. Due giorni prima della partenza del Pontefice, viene assassinato in Turchia il vescovo Luigi Padovese, Vicario apostolico dell’Anatolia. A Cipro, Papa Ratzinger consegna l’Instrumentum laboris, testo base per i lavori del Sinodo sul Medio Oriente che inizierà in ottobre. E ricorda le «grandi prove» che alcune comunità cristiane soffrono in queste regioni e il prezioso contributo al bene comune portato dai cristiani, definiti «artigiani della pace».
Il Papa chiede alla comunità internazionale di non dimenticare ai cristiani che soffrono «a causa della loro fede», auspicando «soluzioni giuste e durature ai conflitti» esistenti. E ripete il suo «appello personale» per «uno sforzo internazionale urgente e concertato al fine di risolvere le tensioni che continuano nel Medio Oriente, specie in Terra Santa, prima che tali conflitti conducano a uno spargimento maggiore di sangue». Nell’Instrumentum laboris del Sinodo è contenuta una notevole preoccupazione per l’islam politico che si è imposto con la violenza nelle società arabe, e per l’islamizzazione forzata dei cristiani, e la denuncia di violenze e ingiustizie che finiscono soltanto per essere sfruttate dal terrorismo.
L’11 giugno 2010, il Papa chiude l’Anno Sacerdotale con una messa in una piazza San Pietro gremita di quindicimila preti venuti da tutto il mondo per concludere le celebrazioni per i 150 anni della morte del santo Curato d’Ars. Un anno denso di iniziative per riscoprire il volto autentico del prete, che è stato però segnato dagli scandali degli abusi sui minori. Nell’omelia, il Papa dice: «Era da aspettarsi che al “nemico” questo nuovo brillare del sacerdozio non sarebbe piaciuto; egli avrebbe preferito vederlo scomparire». Così è successo che, «proprio in questo anno di gioia per il sacramento del sacerdozio, siano venuti alla luce i peccati di sacerdoti, soprattutto l’abuso nei confronti dei piccoli».
Ancora una volta, Benedetto XVI legge queste vicende con la serenità e l’umiltà dello sguardo di fede: «Se l’Anno Sacerdotale avesse dovuto essere una glorificazione della nostra personale prestazione umana, sarebbe stato distrutto da queste vicende. Ma si trattava per noi proprio del contrario: il diventare grati per il dono di Dio, dono che si nasconde “in vasi di creta” e che sempre di nuovo, attraverso tutta la debolezza umana, rende concreto in questo mondo il suo amore». Quanto è avvenuto può essere considerato, spiega il Papa, come «compito di purificazione», che «ci fa riconoscere ed amare il grande dono di Dio». Ratzinger parla quindi del bastone del pastore, che la Chiesa «deve usare» per proteggere «la fede contro i falsificatori, contro gli orientamenti che sono, in realtà, disorientamenti. Proprio l’uso del bastone può essere un servizio di amore. Oggi vediamo che non si tratta di amore, quando si tollerano comportamenti indegni della vita sacerdotale. Come pure non si tratta di amore se si lascia proliferare l’eresia, il travisamento e il disfacimento della fede, come se noi autonomamente inventassimo la fede».
Il viaggio più atteso dell’anno è quello che dal 16 al 19 settembre porta Benedetto XVI in Scozia e Inghilterra. Trasferta difficile, preceduta da polemiche e da contestazioni, che si rivela, invece, un grande successo. L’occasione della visita, che arriva dopo quella compiuta nel 1982 da Giovanni Paolo II, ma che, a differenza di quella, è una visita ufficiale di Stato, è la beatificazione del cardinale John Henry Newman. Il 17 settembre è la giornata più lunga e densa di impegni, che culmina con il discorso nella Westminster Hall, la sala più antica del palazzo di Westminster dove venne condannato a morte Tommaso Moro, il santo patrono dei politici che scelse di essere fedele alla propria coscienza e fu giustiziato per non aver accettato la supremazia del re sulla Chiesa. Qui Benedetto XVI parla alle istituzioni e alla società civile britannica, spiegando che per i legislatori «la religione non è un problema da risolvere» ma un fattore vitale.
L’occasione è storica. Solo Nelson Mandela e la regina Elisabetta avevano potuto rivolgersi al popolo britannico parlando da questo luogo denso di storia. Ratzinger, accolto da tutti gli altri ex primi ministri inglesi, è il primo Papa a farlo e ricorda che «se i principi morali che sostengono il processo democratico non si fondano, a loro volta, su nient’altro di più solido che sul consenso sociale, allora la fragilità del processo si mostra in tutta la sua evidenza». E qui sta, secondo il Papa, «la reale sfida per la democrazia».
Benedetto XVI sottolinea che il ruolo della religione nel dibattito pubblico non è quello di fornire le norme dell’agire, ma di aiutare la ragione «nella scoperta dei principi morali oggettivi». E se la religione ha bisogno della ragione per non cadere nel settarismo e nel fondamentalismo, la ragione, a sua volta, «può cadere preda di distorsioni», e senza «il correttivo fornito dalla religione» può portare, ad esempio, alle ideologie totalitarie del ventesimo secolo. Il Papa lamenta che proprio nazioni le quali «attribuiscono alla tolleranza un grande valore» vi sia una «crescente marginalizzazione della religione, specialmente del cristianesimo». «Segni preoccupanti», li definisce.
C'’è chi vuole «mettere a tacere» la voce della religione o al massimo relegarla «alla sfera puramente privata». C’è chi – ricorda Ratzinger – vorrebbe abolire la celebrazione del Natale quale pubblica festività per non offendere i fedeli di altre religione o i non credenti. «E vi sono altri – aggiunge – che paradossalmente con lo scopo di eliminare le discriminazioni – ritengono che i cristiani che rivestono cariche pubbliche dovrebbero, in determinati casi, agire contro la propria coscienza».
Il 21 settembre viene pubblicato il Motu proprio Ubicumque et semper, che istituisce il Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, un nuovo dicastero della Curia romana. Benedetto XVI, che aveva già annunciato la sua nascita nel giugno precedente, ha deciso di affidarne la guida all’arcivescovo Rino Fisichella. Tra le competenze del Pontificio consiglio, chiamato a rivitalizzare l’annuncio della fede cristiana soprattutto nell’Occidente secolarizzato, c’è anche quella di promuovere una migliore conoscenza del Catechismo della Chiesa cattolica. I
l 20 novembre Benedetto XVI tiene il suo terzo concistoro per la creazione di 24 nuovi cardinali, venti dei quali con meno di ottant’anni e dunque votanti in un eventuale conclave, più quattro ultraottantenni. Una creazione cardinalizia che accanto a un numero consistente di nuovi porporati italiani e curiali registra anche la sorpresa di una valorizzazione dell’Africa, alla quale vanno ben quattro berrette rosse. Tra gli italiani ci sono i Prefetti delle Congregazioni dei Santi e del Clero, Angelo Amato e Mauro Piacenza, come pure il «ministro della cultura» vaticano, Gianfranco Ravasi. Altri curiali votanti sono l’africano Robert Sarah, da pochi giorni presidente di Cor Unum e lo statunitense Raymond Leo Burke. Dieci invece i porporati arcivescovi delle diocesi del mondo, sei delle quali del Terzo mondo. Diventa cardinale anche l’arcivescovo di Colombo Malcom Ranjith, già segretario della Congregazione del culto.
Quattro giorni dopo, il 24 novembre, la Libreria Editrice Vaticana pubblica il libro intervista del Papa curato dal giornalista tedesco Peter Seewald, intitolato Luce del mondo. Il Natale e gli ultimi giorni dell’anno che si conclude, sono segnati dalle notizie delle persecuzioni e delle stragi di cristiani, dall’Iraq alle Filippine alla Nigeria. La voce del Papa, che ha dedicato proprio a questo tema il messaggio per la Giornata mondiale della Pace, si leva in difesa della libertà religiosa, definita via per la pace.