FRATELLI TUTTI

La fraternità cristiana non è la massoneria

Nell’ultima enciclica di Francesco è palpabile il relativismo religioso. Si ripropone un tentativo di unificazione, da cui come tale è nata anche la Framassoneria e che richiama una Onu delle religioni. In realtà, la fratellanza umana è un evento dello Spirito Santo che accade solo grazie alla conversione a Cristo, “primogenito tra molti fratelli” (Rm 8,29). Solo la fratellanza con Lui genera, come già spiegava Ratzinger, fraternità cristiana

Ecclesia 22_10_2020

Ci saremmo aspettati che l’anelito alla fratellanza universale che ha mosso papa Francesco a scrivere l’enciclica Fratelli tutti, partisse dalle parole di Gesù: “Uno solo è il vostro Maestro, e voi siete tutti fratelli” (Mt 23,8). Parole pronunciate nel contesto dell’invettiva agli scribi e farisei che avevano stravolto gli insegnamenti di Mosè.

Invece si ripropone un tentativo di unificazione, da cui come tale anche la Framassoneria è nata. Proprio questo tentativo è alla sua origine: il perseguimento di un controllo degli stati, un potere al di sopra delle parti - che nel XVIII secolo erano la Chiesa, l’aristocrazia… - basato sul riconoscimento della scienza come il luogo infallibile a cui appartenere, la dea Ragione dell’Illuminismo, salvo poi interrogarsi sul come governare la scienza, visti certi suoi esiti. Senonché, nel momento in cui ci si pensa e organizza come “luogo” - per stare insieme - che senso ha appartenere anche ad un altro luogo, cioè la Chiesa, che fa della comunione fraterna la sua forma di vita? O è un’imitazione, o è un’infiltrazione: in un caso o nell’altro bisogna misurarsi con quella richiesta assolutamente ineludibile per Gesù Cristo: la conversione; ma proprio questa non serve alla Framassoneria, ecco la differenza.

Né si risolve il problema, accennando al Vangelo quale sorgente di fraternità (Fratelli tutti, 277). Ci domandiamo se un cristiano possa rincorrere progetti di unificazione del mondo, una Onu delle religioni, quando nostro Signore ha detto: hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. Si può essere di più del nostro Maestro?  

Secondo la carne e il sangue, non siamo tutti fratelli, ma cugini, parenti e via discorrendo. Secondo lo spirito, possiamo diventare fratelli in Cristo, perché la fratellanza è un evento dello Spirito Santo, che accade solo a causa della fede in Lui: “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,5-6). La rinascita battesimale ci fa essere figli. La fratellanza umana è conseguenza della figliolanza divina: così siamo figli nel Figlio; quindi, si può diventare fratelli in Cristo, con la conversione alla parola del Vangelo, non a quella del Corano o della Framassoneria. Inequivocabili le parole di Gesù: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? […] Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre” (cfr. Mc 3,33-35). La volontà di Dio è credere nel Figlio (Gv 6,40). La conversione è il metodo.

Nella mostra nel chiostro di San Francesco ad Assisi, illustrante l’“economia” del Santo, si accenna proprio alla conversione come metodo per giungere a formare le coscienze e la fraternità universale. La conversione a Gesù di Francesco era la condizione necessaria della sua nuova fraternità - infatti, i suoi seguaci li chiamò “frati” - e diede il mandato stesso che Cristo ha dato alla Chiesa: evangelizzare e predicare la conversione, perché da questa nasce conseguentemente anche una pratica evangelica dello strumento economico.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che col battesimo si diventa figli di Dio (Gv 1,12) e quindi, in Gesù Cristo “primogenito tra molti fratelli” (Rm 8,29), si viene eletti ad essere conformi all’immagine del suo Figlio. Da questa elezione scaturisce la vera fratellanza, che non può essere che quella dei cristiani. Infatti, il Signore ha posto la conversione, che conduce poi al battesimo, come condizione per la fratellanza universale.

Invece, nell’enciclica Fratelli tutti è palpabile il relativismo religioso. Da più parti, è stato subito osservato che la dimensione soprannaturale è totalmente assente; che non v’è alcun riferimento alla necessità dell’appartenenza alla Chiesa per conseguire la salvezza eterna, anzi, la funzione della Chiesa viene attribuita all’Onu (173); inoltre, la condizione incompiuta dell’umanità non è ritenuta conseguenza del peccato originale; manca la Redenzione, la vocazione alla santità, l’azione della grazia e soprattutto il mistero pasquale del Signore; sembra che la fratellanza si realizzi per il solo fatto di appartenere all’umanità. È una rivoluzione della teologia morale cattolica - si direbbe un ennesimo “cambio di paradigma”, ossia un’apostasia - con l’omissione, a partire dall’esordio dell’enciclica, della questione di fondo: perché Dio si è fatto uomo in Gesù Cristo?

La menzione nell’enciclica delle Reducciones gesuitiche - che erano esperimenti di evangelizzazione e promozione umana - non riscatta il testo da tale clamorosa omissione, sì da far dire che questa enciclica costituisce un manifesto ideologico.

Romano Guardini affermava che senza l’incarnazione di Gesù Cristo non è possibile comprendere il mondo: perciò, è intorno ad essa che si fa l’unità del pensiero. Questo è il contenuto essenziale da proporre nel clima attuale di generale relativismo gnoseologico, ma anche la via per superare il sincretismo e uscire dallo snaturamento mistico del cristianesimo, cioè la sua riduzione teista e spiritualista, in opposizione alla ragione. Così si può anche tentare un’alleanza con la moderna razionalità laica, come Ratzinger ha cominciato a fare e Ruini ad attuare.

Sono i tempi in cui la Chiesa è castigata. Perché quando i termini con cui la Chiesa deve essere proposta non sono usati nel loro vero senso, e quindi non è facile distinguerla dal mondo, la Chiesa è castigata. Quando non pochi laici e vescovi, organizzati e non, che dovrebbero difenderla, permettono che si distrugga la concezione e l’amore ad essa, la Chiesa è castigata, anche se mai sconfitta.

A questo punto va chiarito il termine fraternità nell’insegnamento cattolico. Ricorriamo a un testo plurieditato di Joseph Ratzinger, La fraternità cristiana, risalente al 1960, ancora in circolazione, che raccomandiamo (attuale edizione: Queriniana 2005). Ecco alcune spigolature:

- «La fratellanza cristiana è universale, ma oscilla tra uno che è scelto e uno che non è scelto. Nella Bibbia spesso, tra due fratelli, uno è scelto e l’altro è lasciato. L’elezione di uno e la non elezione dell’altro, fa sì che il primo debba farsi carico del secondo in maniera vicaria. La fraternità cristiana è creata dalla scelta di Dio, ma ha sempre davanti a sé colui che non è chiamato. È una fraternità in missione. I fratelli di fuori sono chiamati ad entrare dentro la Chiesa».

- «Sotto il profilo dogmatico, quindi, la fraternità cristiana nasce da una scelta degli uni verso gli altri; dalla scelta di pochi che devono poi badare alla salvezza di molti, come Cristo ha fatto con i discepoli poi inviati quali Apostoli».

- «Gesù Cristo è il Figlio del Padre: perciò è la fratellanza con lui che fonda la fraternità cristiana, il cui culmine è la partecipazione all’Eucaristia, mediante la quale si è incorporati perfettamente a Cristo, si diventa membra del suo corpo e si fa parte della fratellanza vera e propria dei cristiani».

- «In realtà la delimitazione cristiana, la comunità cristiana fraterna, è distinta dal mondo esterno, ma non è un gruppo esoterico. Tuttavia i credenti in Cristo devono essere il più possibile indipendenti dagli altri».

- «Il cristianesimo in partenza è cancellazione dei confini ma crea un confine, per cui si è fratello del cristiano e non del non cristiano».

- «Diversamente dallo Stoicismo e dall’Illuminismo, il cristianesimo chiama col nome proprio di fratello solo il correligioso».

- «L’affermazione di una “fraternità universale” senza Cristo, stronca la missione».

Dunque, quale risultato ci si può aspettare dalla Fratelli tutti? Una considerazione apparentemente marginale: essa, forse preoccupata di non disturbare taluni destinatari, omette l’invocazione a Maria nella preghiera finale - come i papi facevano finora a conclusione delle encicliche - e così si preclude ogni efficacia, perché “che qual vuol grazia e a te non ricorre, sua disïanza vuol volar senz’ali” (Dante Alighieri, Inno alla Vergine, Paradiso XXXIII).