«Iraq, non ci resta che intervenire»
L'ex vicario apostolico di Aleppo a sostegno degli appelli dei vescovi iracheni: i miliziani dell'Isis non sono disposti a ragionare, la violenza contro chiunque non sia dei loro è inaudita. Ma anche l'Occidente deve fare il mea culpa.
Il patriarca caldeo di Babilonia Louis Sako ha scritto una lettera, datata 10 agosto, in cui definisce la situazione in Iraq un «disastro estremo». Le ultime notizie parlano anche di un possibile colpo di stato a Baghdad, mentre tutte le minoranze vengono violentemente eliminate e costrette alla fuga dall'avanzare dei miliziani dell'Isis. Abbiamo contattato monsignor Giuseppe Nazzaro, vescovo dell’ordine dei francescani, che è stato vicario apostolico di Aleppo dal 2002 fino a metà del 2013.
Cosa pensa delle parole del patriarca Sako che ha descritto una situazione di vero e proprio genocidio?
Credo completamente alle sue parole, per mia esperienza posso solo dire che bisogna ascoltare chi sta sul posto e tocca la situazione con mano.
Il vescovo caldeo di Mosul, Amel Nona, ha usato parole fortissime di monito all'Occidente. Ha ricordato che i nostri princìpi liberali e democratici là non valgono nulla e che è necessario capirlo in tempo...
Sì, parole fortissime, ma che rispecchiano una situazione reale. Non credono ai nostri princìpi, effettivamente se il mondo occidentale riflettesse di più sulle posizioni di quell'islam si renderebbe conto che non c'è alcuna logicità: o si accettano i loro “valori”, o si deve andare fuori. Il cosiddetto islam moderato esiste, o esisteva, e tutto va fatto per cercare un dialogo, ma ricordando sempre che in quella cultura gli uomini, che ho conosciuto da vicino, sono facilmente vulnerabili, nel senso che basta una scintilla e quel mondo esplode.
Papa Francesco ha ricordato che non si può compiere alcuna violenza in nome di Dio, pensa che qualcuno possa accogliere questo grido di pace?
Credo che in questo momento sia molto difficile che qualcuno possa effettivamente accogliere questo appello meraviglioso. Ci troviamo davanti, lo ripeto, ad una realtà come l'Isis in cui è difficilissimo trovare qualcuno disposto a ragionare. Mettono in campo una guerra nei confronti di chiunque non la pensi come loro, tant'è che mi risulta abbiano crocifisso anche musulmani. La violenza che stanno compiendo è inaudita: donne, vecchi, bambini. Non si fermano davanti a niente.
Come si è arrivati a questa situazione?
Per comprenderne le ragioni di fondo dobbiamo guardare in casa nostra, in Occidente. Innanzitutto dobbiamo riflettere molto su tutte le guerre che siamo andati a combattere dal 1990 in poi. Cosa abbiamo lasciato? Una situazione disastrosa. La democrazia non la si esporta facilmente, soprattutto non la si esporta prescindendo dalla situazione oggettiva dei territori in cui la si vorrebbe esportare. Con questa scusa noi più che altro abbiamo portato guerra e odio in una popolazione già profondamente divisa in etnie. Siamo sicuri che il re, il sultano, o il dittatore perfino, fossero una soluzione così terribile per quei popoli? Con quegli interventi di fatto non abbiamo fatto altro che fomentare odio, li abbiamo messi l'uno contro l'altro senza riuscire a risolvere alcunché. Mi pare che proprio il caso dell'Iraq, ma potrei dire anche l'Afghanistan e, più recentemente, l'Egitto possano insegnare molto. Anzi devono insegnare qualcosa.
Quale soluzione si potrebbe percorrere per rispondere a questa emergenza umanitaria?
Ci vorrebbe innanzitutto il coraggio da parte dell'Occidente di ammettere laddove si è sbagliato. E bisognerebbe farlo pubblicamente. Poi occorre intervenire. Di fronte alla violenza terribile che i miliziani dell'Isis stanno compiendo, credo che non si possa far altro che intervenire, così come chiedono i vescovi presenti sul territorio. Infine, ma non per ultimo, pregare.