STRATEGIE DI MORTE

Il caso Lambert? Il fine è una legge estrema sull'eutanasia

I fautori della cultura della morte, massoni inclusi, usano la vicenda di Vincent come trampolino di lancio per arrivare a una legge espressamente favorevole all’eutanasia, già autorizzata in modo implicito dal testo della Claeys-Leonetti. Che permette di interrompere alimentazione e idratazione, cioè sostegni vitali. C’è il rischio di un effetto domino su tutti i più fragili. Per esempio, si chiede preoccupato il presidente della Fondazione Lejeune, Le Méné: “Che diremo dei malati di Alzheimer? Sono in una situazione peggiore di quella di Vincent”.
-E L’ITALIA STA PEGGIO DELLA FRANCIA. “GRAZIE” ALLE DAT di Tommaso Scandroglio

Life and Bioethics 22_05_2019

La decisione presa lunedì sera dalla Corte d’appello di Parigi ha momentaneamente fermato il processo di morte contro Vincent Lambert, in attesa della risposta del Comitato dell’Onu per i diritti delle persone disabili.

David, uno dei fratelli di Vincent, ieri mattina ha espresso il sollievo suo e dei genitori e ha dichiarato il prossimo obiettivo: “Francamente, non si può più rimanere dentro questa struttura [l’ospedale CHU di Reims, nda]. C’è bisogno di ritrovare serenità. Bisogna che Vincent sia veramente preso in carico in strutture specializzate”. David ha raccontato che, lunedì sera, la prima persona a cui ha pensato dopo la richiesta della Corte di Parigi, è stata Rachel, la moglie di Vincent; e a lei desidera lanciare un accorato appello: “Rachel, tutti assieme possiamo accompagnare Vincent. È necessario che abbiamo tutti insieme un progetto di vita per Vincent, che ci stringiamo attorno a lui e ci prendiamo cura di lui. Noi siamo qui. Se non è possibile per te, noi ci siamo. Noi saremo con lui e ti aiuteremo, come tu desideri”.

Si tratta sicuramente di un sollievo. Rimane però non solo l’incertezza su quanto potrà dichiarare il Comitato, ma anche il dubbio se si riuscirà ad attendere effettivamente quella decisione, visto che il nipote di Vincent Lambert, François, ha avuto parole molto dure contro la decisione giudiziaria e contro i genitori di Vincent, dichiarando che “il CHU è determinato ad andare fino in fondo”. Avremo modo di capire in cosa consisterà questa determinazione.

C’è poi un altro grande punto interrogativo: qualora il Comitato dell’Onu dovesse dichiarare che l’idratazione e l’alimentazione non costituiscono un accanimento terapeutico nelle condizioni in cui versa Vincent e dovesse difendere il suo diritto di essere trasferito in un centro specializzato, la Francia intenderà recepire l’indicazione? Perché è un fatto che le sentenze del Consiglio di Stato costituiscono un’interpretazione autentica della legge Claeys-Leonetti e queste sentenze hanno dichiarato che la decisione presa dai medici del CHU di Reims è conforme a tale legge.

Anche i due firmatari della legge del 2016 sono di questo parere. Al senatore Leonetti, di cui avevamo riportato un’intervista, si è aggiunto anche Alain Claeys: “Il caso Vincent Lambert entra pienamente nel quadro della legge. C’è un comitato medico collegiale, ci sono state delle perizie, il Consiglio di Stato ha deciso. E tutti ritengono che ci siano tutte le condizioni per dire che Vincent Lambert è mantenuto in vita artificialmente ed è in uno stato vegetativo. Non ha redatto delle direttive anticipate, ma la moglie me l’ha dichiarato più volte: se avesse potuto esprimersi, avrebbe chiesto l’interruzione dei trattamenti”. Ora, nella follia di queste affermazioni, c’è una cosa vera: il Consiglio di Stato ha ritenuto che l’alimentazione enterale sia un mantenimento artificiale della vita che può essere interrotto; e che la semplice presunzione da parte della moglie di quello che Vincent avrebbe voluto sia sufficiente per dirimere la questione.

Cosa succederà, dunque, se una richiesta internazionale dovesse confliggere con la legge attuale e con l’interpretazione autentica che di questa legge è stata data? Appare piuttosto inutile, per non dire dannoso, il tentativo di personaggi pubblici, come per esempio Marine Le Pen, di “salvare” Vincent, invocando una corretta interpretazione della legge, a suo avviso, travisata nel suo spirito di fondo. Il problema è che proprio la legge ha uno dei suoi punti deboli nell’articolo 2, che definisce l’alimentazione e l’idratazione come dei trattamenti (primo problema) e che permette che possano essere interrotti “quando appaiono inutili, sproporzionati o non abbiano altro effetto che il solo mantenimento artificiale della vita” (secondo problema). Bisogna invece esigere che questi sostegni vitali, insieme alla ventilazione, non siano interrotti, a meno che l’organismo non sia più in grado di assorbirli. È questa la vera questione di fondo, che purtroppo non sta emergendo nel dibattito suscitato dalla vicenda di Vincent Lambert.

Anzi, la battaglia medico-giudiziaria di questi dieci anni non è ancora terminata e già viene abbondantemente strumentalizzata dai sostenitori dell’eutanasia. C’è chi difende la legge vigente e ritiene che il problema stia nel fatto che in Francia troppe poche persone scrivano le proprie direttive anticipate. Come Jean Leonetti, pronto subito a volgere a proprio vantaggio il ping-pong giudiziario: «Dobbiamo imparare da Vincent Lambert a “pensare alla morte”, scrivere le nostre direttive anticipate e designare una persona di fiducia per evitare che situazioni del genere si ripetano». Secondo Le Figaro, “solo il 60% dei francesi sanno in cosa consiste questa legge, solo il 40% è a conoscenza della possibilità delle direttive anticipate e solo il 13%” le hanno scritte.

Questa apparente via d’uscita trova il suo punto di forza nella mentalità dominante per la quale ciascuno decide per sé. Ma le dichiarazioni anticipate non fanno altro che acuire il problema, perché nessuno di noi è in grado di prevedere tutte le situazioni future, né che cosa vorremo effettivamente quando dovremo lottare tra la vita e la morte; e probabilmente, proprio allora, non saremo in grado di dire che non siamo più d’accordo con quanto avevamo lasciato scritto. C’è anche il problema che noi, che siamo esortati a scrivere queste dichiarazioni anticipate, perlopiù non abbiamo un linguaggio appropriato, né dal punto di vista medico, né da quello giuridico; il che darà ampio margine interpretativo delle nostre dichiarazioni.

E poi c’è il problema dei problemi: nessun uomo può rivendicare un “diritto” a morire, se non altro per il fatto che, di fronte a un mio presunto diritto, dovrà allora esserci un “dovere” da parte di terzi di darmi la morte, cioè di effettuare l’eutanasia o collaborare con essa. È inutile che i difensori della legge Claeys-Leonetti si agitino tanto per dire che questa legge è un punto di equilibrio che permetterebbe di non cadere né nell’accanimento terapeutico né nell’eutanasia. Omettere o interrompere i sostegni vitali e dei trattamenti vitali proporzionati a una persona che ne ha bisogno è omicidio, tanto quanto quello di iniettare una sostanza letale.

E questo l’hanno capito bene i sostenitori dell’eutanasia “attiva” e del suicidio assistito, come Jean-Luc Romero, noto attivista pro-eutanasia ed ex presidente dell’Association pour le droit à mourir dans la dignité, il quale, piuttosto irritato per il salvagente gettato dalla Corte d’appello, si è subito precipitato a dire che “in Belgio tutto questo non sarebbe accaduto”. In quel paradiso della morte, “i genitori di Vincent Lambert non avrebbero potuto opporsi alla scelta della moglie e non si sarebbero passati undici anni dentro questa faccenda estremamente dolorosa”.

Jean-Marie Le Méné, presidente della Fondazione Jérôme Lejeune, ha fatto una lucidissima analisi del quadro che abbiamo davanti. Da una parte, «la legge Leonetti, di fatto, rifiuta la parola “eutanasia”»; tuttavia, «non utilizza il termine, ma autorizza la cosa. È una legge iniqua». C’è oggi la tentazione sul piano sociale, politico, religioso di pensare che il problema sia di “attuare una corretta applicazione di questa legge iniqua. Ma non funziona. Una buona applicazione di questa legge è il caso Vincent Lambert”, cioè la legittimazione della sua uccisione da parte degli organi giudiziari. Ma non è tutto. Molti diranno che la vicenda di Vincent Lambert è andata troppo per le lunghe, che la giustizia è stata fluttuante, che i medici sono troppo esposti a rischi penali; “l’opinione è dunque matura per fare una legge chiara e netta favorevole all’eutanasia, perché l’opinione pubblica è pronta. Penso che il caso Vincent Lambert servirà, è triste dirlo, come trampolino di lancio per una legge sull’eutanasia”, che provocherà un effetto domino su tutte le persone in condizioni analoghe a quelle di Vincent. “E che diremo poi dei malati di Alzheimer? Sono in una situazione peggiore di quella di Vincent Lambert”.

Le Méné non sta fantasticando: sta spiegando una logica intrinseca a questo processo, scientemente avviato da personaggi come Jean-Louis Touraine, massone del Grande Oriente di Francia, deputato di La Republique en marche e oggi presidente del gruppo di studio dell’Assemblea nazionale Fin de vie, cui toccherà appunto proporre una nuova legge sul fine vita/eutanasia. Lui, Touraine, il 28 febbraio 2018, aveva presentato su Le Monde un appello firmato da 156 deputati per ottenere, entro il 2019, una legge per “permettere ai malati in fin di vita di disporre liberamente del proprio corpo”. L’affaire Lambert, presentato come “in fin di vita” senza esserlo, casca proprio a pennello.