IL CASO STARANZANO

Capo scout gay, parroco scrive, Avvenire pubblica a modo suo

Facile dire "lettere al direttore". Avvenire ad esempio ha pubblicato una lettera del parroco che ha sollevato il caso del capo scout gay. Ma tra la versione originale e quella effettivamente pubblicata ci sono molte differenze. Confrontare per credere.

Ecclesia 12_11_2017
L'unione civile di Di Just e il suo compagno

Si fa presto a dire Lettere al direttore. Ad Avvenire infatti sembrano esistere lettere e lettere. Ad esempio quelle “poco gradite” vengono pubblicate sì, ma addomesticate per fini editoriali. E’ quanto è successo al parroco di Staranzano don Francesco Maria Fragiacomo, il parroco che ha sollevato il caso del capo scout unito civilmente con il suo compagno. Don Francesco ha provato più volte a entrare in contatto con la redazione di Avvenire per spiegare le sue ragioni. E finalmente, dopo un po’ di anticamera anche lui ha potuto vedere pubblicata la sua missiva. Ma con alcuni aggiustamenti alla bisogna e alcuni tagli, ovviamente sempre giustificati per ragioni di spazio. Il tutto ovviamente studiato per far fare a don Francesco la figura del cane sciolto, dell’ultimo giapponese in lotta contro un nemico che non esiste più. 

E’ il 7 di settembre e Avvenire pubblica la sua lettera. Ma nel leggerla il parroco si accorge che è successo qualcosa. Ad esempio laddove il parroco si riferisce all’unione civile e parla dei baci tra gli “sposi”. Evidentemente al giornale dei vescovi deve essere andato qualche cosa di traverso, chissà se le virgolette o proprio la parola sposi. Fatto sta che nel testo pubblicato sul giornale il capo scout e il suo compagno vengono chiamati con una perifrasi più politicamente corretta “i due protagonisti dell’unione”. Oppure quando il don dice che “il messaggio ormai è già passato: il matrimonio tra un uomo e una donna o l'unione civile tra due persone dello stesso sesso, agli occhi degli uomini e di Dio, sono la stessa cosa”. Ad Avvenire basta anteporre un “la mia idea è che" a il "il messaggio è già passato” per rafforzare il concetto che questa sia proprio soltanto l’opinione di un parroco di provincia e nulla più. 

Più avanti don Francesco dice: “Scusate, ma qui o si tratta di convertirsi o di cambiare fede”. Ma in pagina ci finisce un più enigmatico “insomma, qui non si tratta più di discernimento, ma di fede” dove alla parola convertirsi viene sostituito il discernimento, non si sa se come sinonimo o succedaneo. 

Ma è con il passaggio successivo che si raggiungono vette altissime di maquillage editoriale. Don Francesco dice: “Riguardo la situazione concreta poi, se il discernimento dell'AGESCI sulla valutazione e il percorso da farsi, non coincide con il discernimento del parroco, come si procede?”. Avvenire non fa altro che inserire prima di Agesci un “nella Chiesa locale” per stravolgere completamente il senso delle sue parole. In questo caso, come si può verificare confrontando le due versioni, il parroco sembra restare col cerino in mano. Ed è questo il passaggio che più ha amareggiato don Francesco: «L’aggiunta di Chiesa locale, che nel mio testo non c’era, travisa completamente le mie parole: perché Chiesa locale vuol dire vescovo, così sembra che io non accetti il discernimento del vescovo, invece io volevo solo dire che se il discernimento del capo scout è diverso da quello del vescovo, è compito del vescovo dal canone 305 (“tutte le associazioni dei fedeli sono soggette alla vigilanza dell’autorità competente e vigilare che non ci siano abusi nella disciplina ecclesiastica”) intervenire. Invece aggiungendo in maniera scorretta quella parola si è fatta un’operazione vigliacca, come se io fossi una testa calda, isolata da tutti», ha detto alla Nuova BQ

A conferma di questo c’è la chicca finale: l’ultima parte della lettera, un breve paragrafo in cui il sacerdote invitava il vescovo, tutti i vescovi ad esercitare il loro ruolo di guida, è stata completamente cancellata. Ovviamente per le solite ragioni di spazio. Confrontare per credere. Ecco di seguito la lettera originale del parroco e subito dopo la versione "addomesticata" di Avvenire. Buna lettura. 

VERSIONE ORIGINALE

Caro direttore, 

è la seconda volta che il suo giornale (Avvenire di domenica 20 agosto), tratta ampiamente del caso dell'unione civile celebrata nel nostro paese, tra il capo gruppo scout AGESCI, operante nella nostra parrocchia e il suo compagno omosessuale, avvenuta il 3 giugno scorso. 

Certamente il caso riguarda ormai la comunità ecclesiale più ampia e implica una riflessione generale sul tema educativo nel campo affettivo, ma nel frattempo? 

Qui vi è stata una celebrazione pubblica, con la partecipazione di gran parte del gruppo di educatori, di famiglie, di giovani, con tanto di musica, "predica" del presbitero assistente, festa collettiva, scambio di anelli e di baci tra gli "sposi". Il capo scout (capo gruppo e capo clan) sta continuando ad esercitare il suo servizio e ricevere pubblicamente la comunione nelle S. Messe quando vi partecipa. 

Il messaggio ormai è già passato: il matrimonio tra un uomo e una donna o l'unione civile tra due persone dello stesso sesso, agli occhi degli uomini e di Dio, sono la stessa cosa. Scusate, ma qui o si tratta di convertirsi o di cambiare fede.

Il "discernimento pastorale" richiede anzitutto la conoscenza e valutazione della situazione concreta in oggetto. Per fare una analogia nel campo medico: una buona cura inizia da una buona diagnosi. Maggiore è la conoscenza della malattia, le sue cause, gli effetti, l'origine, più efficace sarà la scelta della medicina giusta e del percorso di guarigione. Così, nella vita di fede, dobbiamo avere la chiarezza del peccato se vogliamo salvare il peccatore. Ma il bene e il male non lo decidono gli uomini a maggioranza o a son di discussioni, ma Dio, e sul tema in questione c'è la Scrittura, la Tradizione, il Magistero, il buon senso cristiano e direi "naturale", che ci illuminano. Nel nostro caso, finché non chiameremo le cose con il loro nome sarà difficile ogni percorso di bene affidato alla grazia di Dio.

Riguardo la situazione concreta poi, se il discernimento dell'AGESCI sulla valutazione e il percorso da farsi, non coincide con il discernimento del parroco, come si procede? Non crede che finalmente l'autorità ecclesiastica competente sia chiamata in causa non solo per indicare una teoria, ma per esercitare il suo dovere di guida, insegnante e padre? Nella Scrittura vediamo continuamente Gesù insegnare e i primi discepoli "assidui nell'insegnamento degli Apostoli"

Oggi abbiamo tutti, soprattutto i giovani, tanta nostalgia di maestri illuminati e veritieri, di padri autorevoli e vicini che ci indichino ideali alti e belli, più grandi della nostre umanità ferite.

Caro direttore, sono sicuro mi darà l'opportunità di fare sentire la mia voce, di un pastore in sofferenza per la sua comunità. 

Don Francesco Maria Fragiacomo

VERSIONE DI AVVENIRE

Caro direttore, 

Avvenire” ha trattato ampiamente e per due volte (il 12 luglio e il 20 agosto scorsi) il caso suscitato dall’unione civile celebrata nel nostro Paese, tra il capo gruppo scout Agesci, operante nella nostra parrocchia e il suo compagno omosessuale, avvenuta il 3 giugno scorso. 

Certamente il caso riguarda, come scritto, la comunità ecclesiale più ampia e implica una riflessione generale sul tema educativo nel campo affettivo, ma nel frattempo? Qui vi è stata una celebrazione pubblica, con la partecipazione di gran parte del gruppo di educatori, di famiglie, di giovani, con tanto di musica, “predica” del presbitero assistente, festa collettiva, scambio di anelli e di baci tra i due protagonisti dell’unione. Il capo scout (capo gruppo e capo clan) sta continuando a esercitare il suo servizio e a ricevere pubblicamente la Comunione nelle sante Messe quando vi partecipa. La mia idea è che il messaggio ormai sia già passato: il matrimonio tra un uomo e una donna o l’unione civile tra due persone dello stesso sesso, agli occhi degli uomini e di Dio, sono più o meno la stessa cosa. Insomma, qui non si tratta più di discernimento, ma di fede.

Il “discernimento pastorale”, infatti, richiede anzitutto la conoscenza e valutazione della situazione concreta in oggetto. Per fare un’analogia nel campo medico: una buona cura inizia da una buona diagnosi. Maggiore è la conoscenza della malattia, le sue cause, gli effetti, l’origine, più efficace sarà la scelta della medicina giusta e del percorso di guarigione. Così, nella vita di fede, dobbiamo avere la chiarezza del peccato se vogliamo salvare il peccatore. Ma il bene e il male non lo decidono gli uomini a maggioranza o a suon di discussioni, ma Dio, e sul tema in questione c’è la Scrittura, la Tradizione, il Magistero, il buon senso cristiano e direi “naturale”, che ci illuminano. Nel nostro caso, finché non chiameremo le cose con il loro nome sarà difficile ogni percorso di bene affidato alla grazia di Dio. 

Riguardo la situazione concreta poi, se il discernimento nella Chiesa locale e nell’Agesci sulla valutazione e il percorso da farsi, non coincide con il discernimento del parroco, che facciamo? (...Omissis...) La mia, caro direttore, è la voce di un pastore in sofferenza per la sua comunità.

Don Francesco Maria Fragiacomo