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le reazioni

Benedizioni arcobaleno: africani e ucraini non ci stanno

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Aumentano le conferenze episcopali in dissenso da "Fiducia supplicans": non si può benedire ciò che Dio non approva. In prima linea i presuli del Continente Nero, seguiti a ruota dagli ucraini. Anche questa è sinodalità.

Ecclesia 27_12_2023

Il Dicastero per la Dottrina della Fede esiste per chiarire, confermare, approfondire. L’esatto opposto di quanto ha fatto il suo Prefetto, il cardinale Victor M. Fernández, con la Dichiarazione Fiducia supplicans (FS). E non si tratta di pregiudizi discutibili di chi scrive, ma dell’evidenza dei fatti. Sono sempre di più, infatti, i vescovi ed intere conferenze episcopali che emettono dichiarazioni o pubblicano comunicati ufficiali per bandire le “benedizioni pastorali” inaugurate da FS dal proprio territorio di competenza.

E la ragione è semplice (ed anche prevedibile): queste “benedizioni pastorali” hanno scandalizzato i fedeli, indotti a pensare che, con questo colpo di genio di Tucho, le relazioni sessuali al di fuori del matrimonio siano approvate dalla Chiesa. Inutile stracciarsi le vesti per dire che FS afferma proprio il contrario. I fedeli hanno percepito un netto contrasto tra le parole fumose del documento e i gesti concreti che permette; e, come è facile comprendere, i gesti sono più forti delle parole. Se un prete benedice una coppia che si caratterizza per il fatto di vivere la propria sessualità al di fuori del matrimonio, significa che approva o almeno permette quella convivenza.

I cattolici del continente africano sono stati i primi e i più numerosi a far giungere il loro dissenso alle orecchie dei propri pastori. I quali hanno fatto realmente i pastori, preoccupandosi di non permettere che la fede, giovane ma battagliera, delle proprie comunità, restasse infiacchita, disorientata o incrinata dal documento di Tucho, approvato da papa Francesco. I cattolici africani hanno dovuto combattere, e non poco, contro le follie dell’Occidente decaduto e anticristiano, che ha voluto e vuole imporre la propria agenda nel continente nero. Per questo non ci stanno a recepire una Dichiarazione che, al di là di tante parole, si mette al servizio di questa agenda, permettendo benedizioni di relazioni sessuali al di fuori del matrimonio e perfino contronatura.

Dopo che numerose conferenze episcopali dell’Africa hanno sostanzialmente fatto presente che, nelle proprie diocesi, per un totale di circa 70 milioni di cattolici, non si permetteranno benedizioni di nessun tipo alle coppie omosessuali (Ruanda, Zimbabwe, Benin, Togo, Malawi, Nigeria, Zambia, Ghana, Camerun), il cardinale Fridolin Ambongo, arcivescovo di Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo) e presidente del SCEAM (Simposio delle Conferenze Episcopali d’Africa e del Madagascar), ha inviato una lettera a tutti i presidenti delle Conferenze Episcopali d’Africa perché inviino, entro la metà di gennaio, valutazioni sulla dichiarazione FS, con il fine di poter emettere «una dichiarazione pastorale sulla questione, che servirà da linea guida generale per tutte le Chiese locali del nostro continente». Secondo il cardinale, l’iniziativa risponderebbe alla tanto declamata sinodalità, con particolare riferimento al capitolo 19 del documento di sintesi del Sinodo in corso, «per evitare il rischio dell’uniformità e del centralismo», ha spiegato Ambongo.

Alle intere conferenze episcopali africane, si è unita nelle ultime ore la voce dell’arcivescovo di Nairobi (Kenya), mons. Philip Anyolo; una posizione particolare, perché è proprio in nome dell’insegnamento della Dichiarazione sul matrimonio che Anyolo ha deciso di proibire le benedizioni alle coppie che vivono la sessualità al di fuori del matrimonio: «Per garantire il rispetto delle posizioni dottrinali fondamentali affermate nella Dichiarazione e degli insegnamenti perenni della Chiesa sul matrimonio, a tutto il clero che risiede e esercita nell'arcidiocesi di Nairobi è vietato benedire relazioni irregolari, unioni o coppie omosessuali. Qualsiasi forma di benedizione delle unioni e delle attività omosessuali andrebbe contro la parola di Dio, l'insegnamento della Chiesa, le tradizioni culturali africane, le leggi delle nostre nazioni e sarebbe scandalosa per i fedeli», ha concluso il presule.

Chi di sinodalità ferisce, di sinodalità perisce? C’è da augurarselo. Certo è che non devono essere stati molti i pontefici, nel corso della storia della Chiesa, ad essere riusciti a contraddirsi ufficialmente nel giro di due anni e ad aver suscitato una reazione del genere da parte di numerose  conferenze episcopali e singoli vescovi. Perché agli africani hanno risposto i vescovi dell’est europeo, polacchi e ucraini. Particolarmente interessante è apparsa la replica dell’arcivescovo maggiore di Kiev-Halič degli ucraini e presidente del Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina, Sviatoslav Shevchuk. Con un comunicato del 22 dicembre, nato «in risposta ai numerosi appelli di vescovi, clero, monaci, movimenti ecclesiali e singoli laici della Chiesa greco-cattolica ucraina riguardo alla Dichiarazione», l’arcivescovo ha fatto leva sul can. 1492 del Codice delle Chiese orientali. Il canone, in sostanza, prevede che le Chiese orientali siano vincolate alle leggi della suprema autorità, solo quando riguardano questioni di fede, di morale o che attengono alla legge divina. Invece, FS «interpreta il significato pastorale delle benedizioni nella Chiesa latina, non nelle Chiese orientali cattoliche. Non affronta questioni di fede o di morale cattolica, non fa riferimento ad alcuna prescrizione del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali e non menziona i cristiani orientali», ha spiegato Shevchuk. Di conseguenza, la Dichiarazione «non ha valore giuridico per i fedeli della Chiesa greco-cattolica ucraina».

Interessante far notare che l’arcivescovo di Kiev ha tentato poi di spiegare una presunta differenza tra il senso delle benedizioni nella Chiesa ucraina e in quella latina; in particolare, laddove egli afferma che, «secondo le tradizioni del rito bizantino, il concetto di “benedizione” significa approvazione, permesso o anche ordine per un certo tipo di azioni, preghiere e pratiche ascetiche (...). Ovviamente, la benedizione del sacerdote ha sempre una dimensione evangelizzatrice e catechetica, e quindi non può in alcun modo contraddire l'insegnamento della Chiesa cattolica sulla famiglia come unione fedele, indissolubile e feconda di amore tra un uomo e una donna, che Nostro Signore Gesù Cristo ha elevato alla dignità del Santissimo Sacramento del Matrimonio». Pertanto, proprio in virtù del significato delle benedizioni, «il discernimento pastorale ci spinge a evitare gesti, espressioni e concetti ambigui che distorcerebbero o traviserebbero la parola di Dio e l'insegnamento della Chiesa».
Tutto vero. Il problema però è che questo concetto di “benedizione” è esattamente lo stesso della Chiesa latina; tant’è vero che il Responsum del 2021 respingeva le benedizioni delle coppie irregolari e omosessuali per le medesime ragioni che Shevchuk ha spiegato.

Allo stesso modo, nemmeno per la Chiesa latina esistono benedizioni che non siano, secondo le parole di Shevchuk, «un gesto liturgico che non può essere separato dal resto del contenuto dei riti liturgici e ridotto alle circostanze e alle esigenze della pietà privata», perché la benedizione è sempre un sacramentale, che, in quanto tale, è profondamente legato ai sacramenti e alla santificazione dei fedeli. È infatti il Catechismo della Chiesa Cattolica ad insegnare: «Si chiamano sacramentali i sacri segni istituiti dalla Chiesa il cui scopo è di preparare gli uomini a ricevere il frutto dei sacramenti e di santificare le varie circostanze della vita» (n. 1677). Le “benedizioni pastorali aliturgiche” sono infatti un’invenzione di Tucho, che non ha saputo trovare nemmeno una pezza d’appoggio per giustificare questa stramberia.



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