Belgio filo islamico, dava la caccia solo ai cattolici
Anni fa, in pieno scandalo pedofilia, la magistratura belga in cerca di prove contro il clero cattolico profanò persino la tomba del cardinal Suenens. Oggi, le stesse istituzioni ritengono impossibile lo stato d'emergenza. L’odio anticattolico rende ciechi e stolti proprio come lo spirito democratico filoislamico.
Vi ricordate del cardinal Suenens? Léon-Joseph Suenens (1904-1996), cardinale progressista, la persona che forse ha dato un contributo decisivo al passaggio dal Belgio cattolico al Belgio nichilista. Bene, quel cardinale ha subito da morto un’onta vergognosa: qualche anno fa la polizia e la magistratura belghe in cerca di prove contro il clero cattolico, di professione pedofilo, sono scese nella cripta di Saint Rombout a Mechelen muniti di martelli pneumatici e hanno profanato la sua tomba nella convinzione che i preti avessero nascosto proprio lì le prove dei loro vergognosi trascorsi.
Oggi, pur di fronte all’evidenza che polizia e magistratura belga sono responsabili di mancata sorveglianza nei confronti del terrorismo di matrice islamica, il ministro degli interni Jan Jambon ritiene impossibile evocare lo stato di emergenza – come successo in Francia - per la buona ragione che si deve conservare il sangue freddo: “Penso che dobbiamo restare cool, non lasciarci trascinare dalla situazione”, perché contrario “alla nostra democrazia”.
L’odio anticattolico che rende ciechi e stolti proprio come il pregiudiziale spirito democratico filoislamico rende ciechi e stolti, mi fa venire in mente un divertente episodio del risorgimento, naturalmente sconosciuto, raccontato nei particolari dal prete giornalista e storico Giacomo Margotti, naturalmente quasi sconosciuto. Siamo nel 1848 in pieno trionfo dello spirito liberale. A quell’epoca la persecuzione inizia dalla soppressione della Compagnia di Gesù e ordini affini.
Cacciati i gesuiti dalle loro case destinate a miglior uso, rimane da scovare dove i padri abbiano nascosto i loro tesori. Questo il contesto in cui viene scambiato per gesuita un uomo che nulla ha a che fare con la Compagnia. Una folla “indignata” gli intima di svelare il nascondiglio del tesoro e costui (un “giovialone” lo definisce Margotti) svela un particolare rilevante delle abitudini dei padri: “il tesoriere e i superiori” entravano ed uscivano di continuo da una certa stanza. L’indizio viene preso come testimonianza certa della presenza dell’oro e i liberali iniziano a tastare i muri per scovare il nascondiglio. Trovato un punto che “risuonava”, certi di aver finalmente trovato, picconano con foga e fanno progetti sulla spartizione del bottino. Alla fine il muro cede e si comincia a “sentire una certa fragranza, che non era né di rosa, né di gelsomino”. Il tanfo aumenta al punto da diventare insopportabile anche per gli “eroi d’Italia”, commenta Margotti.
Nel 1854 la speranza di trovare l’oro si fa nuovamente certezza. Il ministro delle finanze riceve una lettera che rivela l’ubicazione del denaro: il tesoro è custodito nel collegio dei Santi Martiri di Torino, in cantina, “sotto tanti palmi di terra”. La lettera è dettagliata e pertanto, così si pensa, le informazioni non possono che essere vere. Uno stuolo di funzionari si reca ai Santi Martiri perché la scoperta di tanta ricchezza va documentata: “Si scassinano porte, si scava nel luogo indicato, e circa un metro più in là, due metri più in giù, e il tesoro non comparisce”.
Non c’è due senza tre e si dà credito a una nuova soffiata che rivela l’ubicazione di una grande quantità di denaro a Genova, a palazzo Tursi. Margotti così racconta: il cavalier Barnato (la persona incaricata dal governo di trovare e portare a Torino i sacchi d’oro) “chiama a sé due architetti, e il sindaco, e l’intendente generale di Genova, e sul pomeriggio del 17 aprile, tutti e cinque s’incamminano processionalmente a palazzo Tursi, per ritirare il tesoro dei Gesuiti. Tastano, rompono, guastano il pavimento, e non trovano il becco d’un quattrino. Si consultano, rileggono le istruzioni, tornano a ricercare, a rompere, a guastare, e il tesoro non c’è”. Commento: “che cime d’uomini sono i nostri ministri, che si lasciano così raggirare! O poveri noi, in che brutti panni siamo dopo tanta libertà e tanto libero scambio!”.
Dicono che in Belgio comandi la più anticattolica e laicista massoneria del mondo, chissà se è vero.