Asia Bibi, la speranza si riaccende a ottobre
Il Presidente della Corte suprema del Pakistan ha disposto che il caso di Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte per blasfemia, venga riesaminato nella seconda settimana di ottobre. E' la sua ultima possibilità di salvarsi, poi resta solo la grazia presidenziale. In ogni caso dovrà vivere da fuggitiva o da esule.
Il Presidente della Corte suprema del Pakistan ha disposto che il caso di Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte per blasfemia, venga riesaminato nella seconda settimana di ottobre. La notizia è stata accolta con gioia e al tempo stesso ansia dalla minoranza cristiana: con gioia perché Asia Bibi è in carcere ormai da sette anni in attesa di conoscere la propria sorte, dal giugno del 2009 quando è stata denunciata e arrestata con l’accusa di aver offeso il Profeta Maometto; e con ansia perché la condanna a morte pronunciata nel 2010 è già stata confermata in secondo grado nel 2014 e potrebbe esserlo di nuovo, definitivamente.
Nel luglio del 2015 la Corte Suprema aveva ordinato la sospensione della condanna e fissato a marzo di quest’anno il riesame del caso. Se non ché il 29 febbraio è stato impiccato Mumtaz Qadri, l’uomo che nel 2011 ha ucciso Salmaan Taseer, il governatore del Punjab che si batteva per una riforma della severissima legge sulla blasfemia e per la liberazione di Asia Bibi. Nelle settimane successive i fondamentalisti, che vedono in Qadri un eroe, difensore dell’onore del Profeta e della shari’a, hanno organizzato manifestazioni di protesta in molte città e un sit in con 100.000 partecipanti nella capitale Islamabad, davanti ai palazzi governativi, per chiedere la morte di Asia Bibi e la rinuncia a riformare la legge sulla blasfemia. In attesa che la tensione si allentasse, il riesame è stato quindi rinviato. Da allora la situazione di Asia Bibi è peggiorata. Si teme che possa essere uccisa in prigione, raggiunta da sicari con la complicità del personale carcerario. Per evitare che venga avvelenata, deve mangiare solo cibo da lei cucinato o portato dal marito ed è tenuta in isolamento per proteggerla dai maltrattamenti degli altri detenuti.
Il riesame di ottobre è la sua ultima possibilità di essere prosciolta e liberata. Se la condanna capitale sarà confermata, per evitare la morte potrà sperare solo nella grazia presidenziale, secondo quanto prevede la costituzione pakistana. Peraltro non è da escludere che l’udienza venga rinviata, come è successo più volte per il giudizio di secondo grado affidato all’Alta corte di Lahore nel 2014. Dipenderà dall’intensità e dalla violenza delle proteste e delle manifestazioni contro di lei. Sicuramente la situazione diventerà critica nei giorni di udienza. Come spesso succede durante i processi per blasfemia, è molto probabile che scoppino tumulti all’esterno del palazzo che ospita la Corte Suprema. Si temono inoltre ripercussioni negative per le comunità cristiane: attentati e attacchi potrebbero verificarsi in tutto il paese.
Il presidente della British Pakistani Christian Association, Wilson Chowdhry, ha pertanto chiesto al governo di tenere sotto controllo i leader estremisti nelle prossime settimane, intervenire tempestivamente in caso di disordini, prevenire gli attacchi ai cristiani ordinando alle forze dell'ordine di adottare misure straordinarie per garantirne la sicurezza. Ma gli estremisti in Pakistan, dove i musulmani sono il 97% della popolazione, sono tanti, potenti e temuti. Oltre al governatore del Punjab, nel 2011 sono riusciti a uccidere anche il ministro federale per le minoranze religiose Shabbaz Bhatti, un cattolico. L’ultimo grave attentato contro i cristiani risale al 27 marzo, giorno di Pasqua. Un attentatore suicida del gruppo talebano Jamaat-ul-Ahrar si è fatto esplodere a Lahore nel parco Gulshan-i- Iqbal gremito di famiglie in vacanza uccidendo decine di persone. Era la prima volta che il governo decretava giorni festivi la domenica di Pasqua e il lunedì dell’Angelo: per i fondamentalisti, un affronto che andava punito. Il loro potere si estende ai giudici di cui influenzano le sentenze minacciando di morte loro e i loro famigliari; e ne hanno paura gli accusati di blasfemia assolti, non di rado costretti a lasciare il paese per salvarsi dalla loro vendetta.
Nella classifica 2016 degli stati in cui i cristiani sono più perseguitati, compilata dall’organizzazione non governativa OpenDoors, il Pakistan figura al sesto posto, tra la Siria e la Somalia, ed è uno dei nove stati in cui la persecuzione è talmente grave da essere definita “estrema”.
In realtà Asia Bibi ormai in Pakistan non ha scampo. La rilevanza mondiale assunta dal suo caso, le pressioni internazionali sul governo pakistano affinché ne risparmi la vita agli occhi dei fondamentalisti sono intollerabili. Se prosciolta e libera, non vivrebbe un giorno senza la protezione della polizia. L’unica sua speranza di salvezza è l’assoluzione e quindi un accordo tra governi, stipulato senza clamore, che le consenta di lasciare il paese con il marito e i figli per destinazione ignota, accolti da uno stato in quanto rifugiati, vittime di persecuzione, esuli per sempre.
La sua colpa, ricordiamolo, è di aver attinto e bevuto acqua a una fontana riservata ai musulmani mentre era al lavoro. Le operaie sue compagne per questo l’avevano picchiata brutalmente insultando lei, Gesù e la sua fede. Non potendone più, Asia si era limitata a replicare: “il mio Cristo è morto per me. Maometto per voi che cosa ha fatto?”.