DIPLOMAZIA

Ucraina, quale futuro dopo Ginevra

Ai colloqui di Ginevra fra Russia, Usa, Ucraina e Ue, si discute sul futuro della nazione ucraina, sulla sua indipendenza e sul suo assetto futuro. Solo rivedendo l'assetto costituzionale e territoriale si può arginare una crisi che rischia di portare alla guerra.

Editoriali 18_04_2014
Kerry e Lavrov

A Ginevra si sono tenuti i primi colloqui a quattro (Ucraina, Russia, Usa e Ue) per cercare uno sbocco pacifico alla crisi in Ucraina orientale, prima che degeneri in una guerra civile vera e propria. Si tratta di un passo avanti della diplomazia, perché per la prima volta c’è un contatto ufficiale fra il governo russo e quello ucraino, tuttora non riconosciuto da Mosca. E un accordo è stato raggiunto. Sia il segretario di Stato statunitense John Kerry che il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, concordano nel volere una de-escalation della crisi. I punti per uscire dall’impasse sono essenzialmente tre: disarmo delle milizie irregolari, evacuazione delle sedi istituzionali nella regione del Donetsk occupate da russi e milizie filo-russe e amnistia per i manifestanti anti-governativi. Queste misure saranno monitorate da osservatori internazionali dell’Osce.

Per il futuro assetto del Paese, il governo provvisorio di Kiev (a cui subentrerà un governo eletto, dopo il voto del prossimo 25 maggio) si è impegnato a un maggiore “decentramento”, concedendo una più ampia autonomia alle regioni orientali russofone. Tuttavia, come fa notare Sergej Lavrov, manca ancora un impegno per una “federalizzazione” dell’Ucraina, cosa che implicherebbe una riforma costituzionale vera e propria. Non è dato sapere, tuttavia, quale sia l’assetto previsto da Mosca per la Crimea, che è ancora, formalmente, parte dell’Ucraina, ma di fatto è già stata annessa dalla Federazione Russa, incluso fuso orario e valuta corrente. John Kerry mira maggiormente alla difesa dell’integrità territoriale ucraina, denunciano le ingerenze russe, la loro partecipazione segreta alla secessione della regione di Donetsk, la loro occupazione della Crimea e la deriva antisemita nell’Est. Quest’ultimo argomento è stato suggerito dalla notizia della diffusione di un ordine di registrazione degli ebrei, a Donetsk, pena la loro espulsione forzata e la confisca delle loro proprietà. Si tratta di una notizia diffusa dal quotidiano israeliano Ynet News, provata da alcune foto, ma sulla cui autenticità la Anti Defamation League (l’associazione che monitora l’anti-semitismo nel mondo) invita ancora alla prudenza.

Il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, nella sua conferenza stampa annuale, ha risposto alle domande, non solo dei cittadini russi, ma anche di quelli della Crimea, lanciando un chiaro segnale: è ormai da considerarsi una regione russa, annessa a tutti gli effetti. Ha anche ammesso, nel corso della stessa conferenza, come i militari russi abbiano preso parte alla secessione della Crimea dall’Ucraina e alla successiva annessione alla Federazione, cosa, questa, che il Cremlino aveva sempre smentito. Putin ha negato di voler impiegare la forza militare, ma ha ribadito il suo rifiuto di riconoscere la legittimità del governo di Kiev e il fatto che l’uso della forza sia stato votato dal Consiglio Federale (Senato) di Mosca. Sull’Ucraina, l’inquilino del Cremlino ha ricordato come le regioni orientali e meridionali fossero sempre state una “Piccola Russia” e ha definito un “errore” quello commesso dai bolscevichi quando decisero di annetterle alla Repubblica Socialista Sovietica Ucraina.

I russi hanno dunque alternato in una sola giornata toni vagamente distensivi (Lavrov) e velatamente bellicosi (Putin), senza mai affermare nulla di preciso proprio per lasciarsi aperte tutte le porte. Sarà dunque la situazione sul campo a determinare l’esito della crisi e il rispetto dell’accordo raggiunto a Ginevra. E lo scenario che si sta determinando è quello di un’Ucraina ancora più divisa. Putin ha sicuramente poche speranze di riconquistare Kiev, tantomeno l’Ucraina occidentale, dove ormai è odiato come se fosse un nuovo Stalin. Allo stesso tempo, però, l’Est ucraino, per non parlare della Crimea, sono diventati una realtà separata rispetto al resto del Paese. Benché siano soldati professionisti e forze speciali russe ad aver condotto l’occupazione delle due regioni, le popolazioni locali stanno dimostrando di essere fedeli al nuovo ordine e di non voler tornare sotto Kiev. Chi è filo-ucraino, come minimo, resta a casa. E l’esercito regolare, composto da giovani coscritti e guidato da ufficiali di formazione sovietica, sta dimostrando, con episodi di fraternizzazione o rifiuto di obbedire agli ordini, di non essere in grado di riprendere il controllo di quelle regioni. La soluzione più immediata passa certamente dal disarmo delle milizie pro-russe, dallo sgombero delle sedi istituzionali nella regione di Donetsk e dalla fine della minaccia di Mosca, che continua a mantenere almeno 40mila uomini, ben armati ed equipaggiati, ai confini del Paese. Ma è ormai pressoché inevitabile una revisione dell’assetto costituzionale di Kiev.

Se un forte decentramento non fosse più percorribile, diverrebbe più realistica la soluzione federalizzazione vera e propria. Non dovrebbe esserci alcun tabù in merito: meglio una riforma costituzionale di una guerra civile. Nessuna soluzione sarà possibile senza aver definito uno statuto particolare per la Crimea. Accettare la sua annessione alla Russia sarebbe una legittimazione di un’occupazione militare nel cuore dell’Europa, un precedente pericolosissimo, ma la sua riannessione all’Ucraina è ormai irrealistica. La storia recente presenta alcuni esempi di “due sistemi, una nazione”, come Hong Kong e Taiwan. Potrebbe essere un modello? Rivedere i confini, anche quelli amministrativi all’interno di uno Stato, così come riformare un assetto costituzionale, è sempre un percorso difficile e doloroso. Ma l’importante è evitare che in Ucraina si vengano a creare dei nuovi buchi neri post-sovietici, indipendenti de-facto, inesistenti de jure, controllati dall’esercito russo, ma abbandonati da Mosca, come vediamo in Transnistria, Abkhazia, Ossezia del Sud, regioni isolate, instabili, terra di conquista (soprattutto nel caso della Transnistria) per mafie e trafficanti d’armi. Solo una seria revisione dello Stato ucraino permetterà di evitare che si ripeta quell’incubo.