Saint Stephen by Ermes Dovico
REGNO UNITO

Sì, vale la pena lottare per la vita di Indi Gregory

Malgrado la speranza generata dalla concessione della cittadinanza italiana, la strada resta in salita per salvare la bambina inglese di 8 mesi che medici e giudici vogliono lasciar morire. Ma la dignità della persona esige che la battaglia per la vita sia portata fino in fondo.

Editoriali 07_11_2023 English
Indi Gregory

Il 24 aprile 2018 il Consiglio dei ministri, guidato dal presidente Paolo Gentiloni, concesse la cittadinanza italiana ad Alfie Evans, nel tentativo estremo di salvare la vita al bambino gravemente malato a cui medici e giudici inglesi avevano deciso di togliere i sostegni vitali. La settimana prima, il 18 aprile, il papà di Alfie, Thomas, fu ricevuto in udienza privata da papa Francesco che poi lanciò un appello per il piccolo e, come conseguenza, l’Ospedale pediatrico vaticano Bambin Gesù si offrì di accogliere Alfie. La disponibilità dell’ospedale e la mossa del governo italiano furono comunque ignorate dalle autorità britanniche e Alfie morì senza neanche poter uscire dall’ospedale il successivo 28 aprile.

In questi giorni – e dopo altri clamorosi casi britannici di vite interrotte perché ritenute non degne di valore – si sta ripetendo qualcosa di analogo. Nessuna visita dal Papa stavolta, ma il governo italiano – ora guidato da Giorgia Meloni – ha ieri, 6 novembre, concesso d’urgenza la cittadinanza a Indi Gregory, bambina di otto mesi affetta da una malattia genetica rara e che ha bisogno dei supporti vitali per vivere. Decisione arrivata dopo che ancora una volta il Bambin Gesù ha dato la sua disponibilità al ricovero della piccola paziente.
Suo padre, Dean, ha raccontato ieri in esclusiva alla Bussola, il calvario di Indi e dei suoi genitori in ospedale e in tribunale per difendere il diritto della piccola a vivere fino alla morte naturale.

Pur sperando e lottando fino in fondo per un epilogo diverso, ci sono realisticamente poche probabilità che la vicenda di Indi non finisca come quella di Alfie. La disponibilità del Bambin Gesù e la cittadinanza italiana – ottenute grazie alla mediazione dell’avvocato ed ex senatore Simone Pillon a cui gli avvocati britannici di Indi hanno chiesto di curarne gli interessi in Italia – sono solo il primo passo di un iter difficoltoso e pieno di insidie. E se anche questa generosità italiana ha ridato nuovo coraggio e forza al papà di Indi – come lui stesso ha testimoniato nel messaggio consegnato alla Bussola – lui stesso si rende conto che la corsa in atto contro il tempo gioca a favore dei medici dell’ospedale di Nottingham che ieri erano già pronti a staccare i supporti vitali di Indi.

Mentre in Italia infatti il prossimo passo prevede la sentenza di un giudice che ritenga nel “migliore interesse” di Indi essere ricoverata al Bambin Gesù, in Inghilterra si sta combattendo una battaglia in tribunale tra genitori e medici sul luogo in cui Indi dovrà morire. I genitori Dean e Claire vorrebbero infatti portare a casa Indi, forti di un precedente pronunciamento del giudice che lasciava aperta la possibilità di portarla a morire in casa o in un hospice. Alla soluzione casalinga si oppongono però con forza i medici, che la ritengono inadeguata e vogliono che Indi lasci l’ospedale solo dentro una bara. Ieri pomeriggio le due parti si sono di nuovo scontrate davanti al giudice e la sentenza è attesa per questa mattina, 7 novembre.

Se sarà favorevole ai medici, diventerà ancora più complicato per l’Italia arrivare in tempo per convincere le autorità sanitarie e politiche britanniche a lasciar partire Indi alla volta di Roma. Al riguardo bisogna ricordare che il Regno Unito non solo si oppose al trasferimento di Alfie, ma anche nel caso del 2021 di RS, un cittadino polacco tenuto anche lui ostaggio in un ospedale britannico, fu il governo di Londra a dire no a quello di Varsavia. Questione di sovranità e orgoglio nazionale.

Visti i precedenti e il poco tempo a disposizione ci si potrebbe dunque chiedere se valga la pena impegnarsi in questa successione di appelli e ricorsi per strappare qualche giorno a questa macchina infernale che alla fine comunque raggiunge l’obiettivo prefissato della morte.

La risposta è certamente sì, e per diversi motivi. Il primo e fondamentale è che la battaglia per la verità, e quindi per la vita, va sempre combattuta a prescindere dall’esito. La vera vittoria è l’affermazione della dignità dell’uomo, che ha un valore sacro, irriducibile, dipendente solo da Dio; e la cui vita e morte perciò non può essere delegata allo Stato. E colpisce il fatto che la maggior parte di coloro che ingaggiano questo corpo a corpo contro il Sistema siano persone semplici, spesso lontane dalla religione, ma capaci di riconoscere e vivere la legge naturale; coraggiosi nel battersi per la giustizia. Quando invece anche tanti cattolici “istruiti” si nascondono dietro a sofismi e distinguo per assecondare il Potere.

Un secondo motivo è che grazie a queste battaglie sempre più persone diventano consapevoli di quanto sta accadendo e di come lo Stato tenda a farsi padrone delle vite di tutti i cittadini. Non è solo un problema di Regno Unito, in modi diversi c’è una tendenza totalitaria che attraversa tutto l’Occidente. E sul fronte del fine vita c’è quasi da rallegrarsi per il fatto che nel Regno Unito ci sia almeno la possibilità di uno scontro pubblico con le autorità sanitarie: c’è da chiedersi se in Italia, ad esempio, non si proceda “d’ufficio”, discretamente, o attraverso un uso disinvolto delle cure palliative.

Terzo motivo: abbiamo visto come battaglie di questo genere costringano molte persone a farsi domande sul senso della vita e a scoprire, anche attraverso la testimonianza degli avvocati la cui attività è dedicata a questi casi, la fede cristiana. Le parole di Dean Gregory alla Bussola sono da questo punto di vista esemplari: Indi è stata battezzata perché suo padre in tribunale ha avuto la percezione dell’esistenza dell’inferno e ha voluto perciò garantire il paradiso a sua figlia. E così ora vuole fare lui con l’altra figlia. Forse non si riuscirà a salvare il corpo di Indi, ma la salvezza della sua anima è un traguardo ancora più importante.



INTERVISTA / DEAN GREGORY

«Mia figlia Indi messa a morte da un Sistema diabolico»

Si è riaccesa una piccola speranza per Indi Gregory, la bambina di 8 mesi gravemente malata a cui oggi i medici potrebbero togliere i supporti vitali: il governo italiano le ha concesso la cittadinanza italiana così da facilitare un eventuale trasferimento al Bambin Gesù di Roma. Alla Bussola il papà di Indi, Dean Gregory, consegna un messaggio di gratitudine per tutto quanto sta facendo l'Italia. E sulla sua vicenda dice: «In tribunale ho visto l’inferno, per questo ho fatto battezzare mia figlia».

NOTTINGHAM

Indi Gregory, otto mesi, l’ultima vittima del “fine vita” inglese

Affetta da rara malattia genetica degenerativa, sarà fatta morire oggi, 30 ottobre, a meno che venga accolto l’estremo ricorso per farla trasferire in Italia, al Bambin Gesù di Roma.