L'ANALISI

La crisi del Maghreb, un compito per l'Italia

La distanza che ci separa da Tunisia, Algeria e Marocco è poca geograficamente, ma enorme quanto a ricchezza. Dobbiamo intervenire per aiutare la trasformazione di questi paesi.

Attualità 17_01_2011

Già da diversi giorni le città algerine e tunisine erano sconvolte da manifestazioni popolari di protesta contro il rincaro di generi di prima necessità come pane, farina e olio. Ma mentre in Algeria, dove l’ordine costituito è più forte, per il momento il governo tiene, in Tunisia la crisi ha dato il colpo finale a un regime già da tempo in declino.

In attesa di conoscere gli sviluppi è il caso di guardare all’orizzonte complessivo del Maghreb
entro cui questa crisi si inscrive. La prima cosa da osservare è che la Tunisia, l’Algeria e anche il Marocco sono dei nostri vicini di casa, più vicini a noi, e tanto più alla Sicilia e alla Sardegna, della maggior parte degli altri Stati membri dell’Unione Europea. L’Algeria è uno dei nostri principali fornitori di idrocarburi tramite oleodotti e gasdotti che prima di procedere sul fondo del mare attraversano il territorio della Tunisia, dove peraltro ha sede un numero assai consistente di aziende e di stabilimenti italiani.

La distanza che è minima dal punto di vista geografico è però enorme dal punto di vista della ricchezza. Al nostro reddito pro capite pari a quasi 32 mila dollari annui fanno in riscontro i 3825 dollari dell’Algeria e i circa 3.400 della Tunisia. Mentre poi da noi il grosso della popolazione è adulta o anziana, in questi Paesi i giovani sono in maggioranza (nel caso dell’Algeria si calcola siano circa il 70 per cento); e si tratta di persone per lo più disoccupate. Anche grazie ai pittoreschi comportamenti del colonnello Gheddafi in Italia si parla molto della Libia. Questa però ha solo circa 5 milioni e mezzo di abitanti, enormi risorse petrolifere in rapporto alla popolazione e un reddito pro capite di quasi 9.400 dollari. Con un reddito pari a meno della metà di quello libico l’Algeria ha 34 milioni e mezzo di abitanti e la Tunisia oltre 10 milioni.

Al di là degli sviluppi della crisi politica che in Tunisia ha portato alla caduta di Ben Alì, e augurandosi beninteso che non siano catastrofici, c’è comunque un problema del quale il nostro Paese deve farsi carico: il Maghreb non è di per sé una bomba a orologeria, ma potrebbe diventarlo se le sue masse oggi giovanili giungeranno  all’età adulta senza speranze di un dignitoso futuro. Essendo la seconda economia manifatturiera d’Europa, l’Italia potrebbe e dovrebbe investire ampiamente in questi Paesi per aiutarli a trasformarsi, con comune profitto, in fornitori di manufatti per quei mercati dell’emisfero Sud, innanzitutto l’Africa sub-sahariana, che non possono reggere i nostri prezzi e non sempre hanno davvero bisogno della nostra qualità.