Dupuis e il dolore che si fa accoglienza e cultura
Quanto accaduto a Mario Dupuis, fondatore dell'opera di accoglienza Ca' Edimar di Padova è simile a quanto avvenne quando i monaci benedettini furono spinti da una civiltà in crollo a ricercare l’essenziale creando una nuova forma di vita comune. La sua storia si rifarà carne domenica a Monza nel corso della Giornata della Nuova BQ. Tutto nasce dal sacrificio di sua figlia Anna, morta a 15 anni. "Lei metteva a nudo la necessità che abbiamo di essere salvati".
Non c’è nulla che urga il senso come la contraddizione e il dolore. E che riguardino la vita di un paese o quella personale poco conta, la dinamica è la stessa. Perciò si può dire che quanto accaduto a Mario Dupuis, fondatore dell'opera di accoglienza Ca' Edimar di Padova è simile a quanto avvenne quando i monaci benedettini furono spinti da una civiltà in crollo a ricercare l’essenziale creando una nuova forma di vita comune. La sua storia si rifarà carne domenica a Monza nel corso della Giornata della Nuova BQ
Parlando della malattia e del sacrificio di sua figlia Anna (nata con un handicap gravissimo e poi morta a 15 anni) Dupuis ha spiegato alla Nuova BQ “Lei metteva a nudo la necessità che abbiamo di essere salvati”. Fu questo a muovere lui e sua moglie a ricercare il senso trovato nell'aiuto della comunità cristiana: “Una comunione con Cristo tanto bella da desiderare che continuasse”. Di qui la nascita e la rinascita di un’opera e la certezza che “in un momento duro in cui tutto sta crollando servono luoghi di vita comunionale, dove si cambia e impara a vivere per osmosi, e dove tanti "io" deboli insieme possono diventare una potenza, una risorsa per tutti, se è un Altro che li mette insieme».
Questa non è la storia di come un'opera può nascere, ma di come può risorgere: dall'eros che finisce, dal limite che emerge e dalla tentazione di mollare, alla scelta di una fedeltà che sola può trasformarlo in agape, compiendolo in un modo forse inaspettato. È così che Mario Dupuis, fondatore dell'opera di accoglienza Ca' Edimar di Padova, sta cominciando a capire, vent'anni dopo gli inizi, quello che «mi disse don Luigi Giussani prima di morire: pregate la Madonna che porti a compimento ciò che ha cominciato». Mario non comprendeva quelle parole. Allora era il 2005 e Ca' Edimar era diventata un villaggio enorme «C'era tutto: due comunità di minori, una scuola di cucina con 120 iscritti. E ogni cosa mi pareva già compiuta».
«Il sacrificio di mia figlia Anna, segnata sin dall'inizio della sua vita da un grave handicap psico-motorio e morta a 15 anni». Anna nasce nel 1980 e intorno a lei cominciano a gravitare tantissime persone, «facendoci scoprire un mondo di bisogni che non conoscevamo, non solo suoi, ma nostri, miei, di mia moglie e della mia famiglia. Lei metteva a nudo la necessità che abbiamo di essere salvati. L'esperienza di aiuto ricevuto dagli amici ci fece sperimentare una comunione con Cristo tanto bella da desiderare che continuasse, anzitutto per noi».
Una famiglia decide di andare a vivere vicino ai Dupuis per aprirsi all'accoglienza e nel 1996 nasce l'Associazione Edimar. «Cominciai ad incontrare per strada adolescenti bisognosi di aiuto, capendo che cercavano un punto stabile». Per cominciare Mario si rivolge all'associazione Padova Murialdo che aiuta i giovani in difficoltà: «I progetti erano fatti su misura a seconda della necessità di ogni singolo ragazzo. Ognuno veniva mandato in una bottega a imparare il lavoro che desiderava, chi parrucchiera, chi elettrauto... Eravamo arrivati ad aiutare circa 600 ragazzi».
Nel 2001 poi nasce Ca' Edimar con l'apertura della prima “casa famiglia” e «siccome aumentava il numero di famiglie che si rivolgevano a noi, abbiamo dovuto ricorrere allo strumento formativo della Formazione Professionale Regionale». Nel 2004 nasce quindi la Scuola di Cucina e nel 2009 quella di panificazione. La Regione lo ritiene un modello unico di formazione all’interno di un ambiente “familiare”, ma «non ha tenuto conto quando ha imposto una razionalizzazione dei Centri di Formazione, obbligando quelli piccoli ad aggregarsi a quelli più consistenti». Nel 2013/14 la Scuola di cucina e di panificazione chiude. «Ma ad un progetto finito non volevamo rispondere con un altro nostro: siamo nati per accogliere chi desidera vivere una vita in comune. Se Ca' Edimar doveva continuare dovevamo "attendere" e vedere se a qualcuno interessava il motivo per cui era nata». Sapendo che da tempo le mogli dei suoi figli desiderano vivere nel villaggio, Mario chiede loro se quell'idea persiste.
Le tre famiglie quindi si uniscono prima ancora di sapere se sarebbero arrivate richieste di accoglienza. Perché «la chiamata non è all'accoglienza innanzitutto ma alla comunione». L'intuizione è chiara ma per comprenderla davvero «siamo dovuti passare nel fuoco», confessa Anna, moglie di Andrea secondogenito di Mario. La situazione per i due anni successivi si fa dura. Eleonora, sposata con il primogenito Daniele continua: «Stare costantemente insieme non è facile, ci si misura, si pretende: arrivammo a un livello di saturazione tale che a un certo punto scoppiammo tutti e vennero fuori il limite e le lamentele di ciascuno».
Le tre famiglie pensano che sia la fine e invece... «fu la morte del nostro ego - continua Anna - che fece emergere la comunione: fra noi c'era qualcosa di più forte del nostro male che ci attraeva e spingeva a rimanere. Cominciammo a fidarci del fatto che i giudizi che emergono dal nostro ritrovarci in nome di un Altro sono più importanti dei nostri pareri». E in questo modo che, anche per Eleonora, è rinato tutto: «Ho ritrovato la presenza di Cristo nella comunione di tanti io che si riconoscono miseri ma suoi, Presenza che ti libera dal tuo male e dalla difficoltà delle circostanze, rendendoti capace di perdono reciproco e quindi di accogliere chi lo chiede».
Solo dopo questa fase nel villaggio cominciano ad arrivare nuove richieste di aiuto: «Oggi - continua Mario - oltre alla “casa famiglia” che ospita nove ragazzi, vivono qui ragazze madri con bambini, persone che hanno perso beni e affetti a causa della crisi, profughi cristiani. Così, dentro Ca' Edimar, sono sorte tante case». Viene in mente lo sguardo di don Giussani «su mia figlia: la fissava interrogato come fosse un mistero inesauribile. Tanto che quando gli dissi che avremmo continuato l'esperienza dell'accoglienza dopo la sua morte mi rispose disarmandomi: “Era logico”. Cioè “era logico” che da un sacrificio simile nascesse un frutto.
C’è poi una cosa che non è mai venuta meno, negli anni semplici come in quelli difficili, «ed è l'orazione comunitaria la sera e la mattina con le lodi e con la preghiera in cappellina davanti al tabernacolo: "Dacci la forza di ricordarti presente in una compagnia di amici"». Le famiglie, oltre a trovarsi il mercoledì sera per la Messa in cappellina, cenano con tutte le persone ospitate il lunedì. Sempre il mercoledì si riuniscono per la Scuola di Comunità serale, insieme ad altri amici di Comunione e Liberazione e a persone nuove che si aggiungono.
Una vita quella di Ca’Edimar che fa cultura. In cucina, infatti, con alcuni ragazzi c'è Simone, cuoco e musicista che ha deciso di dare il suo tempo libero per preparare le cene e i pranzi sociali ospitati da Ca' Edimar. Questi momenti, continua Mario, «servono innanzitutto alla nostra fede: vedere che la carità diventa fonte di cultura nuova e quindi di testimonianza agli altri». Mario guarda i ragazzi al tavolo, i suoi figli, le loro mogli e i nipoti, convinto che «in un momento duro in cui tutto sta crollando servono luoghi di vita comunionale, dove si cambia e impara a vivere per osmosi, e dove tanti "io" deboli insieme possono diventare una potenza, una risorsa per tutti, se è un Altro che li mette insieme».