St. John the Evangelist by Ermes Dovico
IL NUOVO PROTOCOLLO

Cure a casa: tanti veti, restano Tachipirina e vigile attesa

Il Ministero della Salute ha aggiornato le linee guida per la terapia domiciliare, ma le novità sono poche e il documento appare insufficiente: è evidente che Speranza vuole il controllo di questa partita, di importanza fondamentale. Molti i veti: su idrossiclorochina, cortisone, antibiotico, eparina, vitamine. Che cosa resta al "povero" medico? Ancora vigile attesa e Tachipirina. 
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Attualità 28_04_2021
Il ministro Speranza e il suo vice Sileri

Il Covid si può curare a casa. Per diversi medici che lo fanno da oltre un anno con successo questa non è una novità. Oltre ai singoli professionisti di buona volontà ci sono anche associazioni di medici che hanno elaborato dei veri e propri protocolli per le cure a casa. Come la Bussola ha già documentato, sono stati presentati al Senato gli indirizzi operativi proposti da un tavolo tecnico, e forse anche per queste iniziative il Ministero della Salute ha deciso di aggiornare le linee guida per la terapia domiciliare.

L’arrivo inaspettato e improvviso di questa circolare (leggi QUI) spiega perché Roberto Speranza si sia impegnato spasmodicamente contro la sentenza del TAR del Lazio che aveva dato torto alla sua precedente circolare, quella della famigerata “Tachipirina e vigile attesa”. E’ evidente che il Ministero vuole avere il controllo assoluto di questa partita, che è di una importanza fondamentale.

Così è arrivata questa nuova circolare che ridefinisce la gestione terapeutica dei pazienti ammalati di Covid. Diciamo subito che le novità sono ben poche.

Da parte delle associazioni di cura e da parte di vari esperti era giunta la richiesta della possibilità di proporre a pazienti farmaci, anche off label e di dare indicazioni utili per la per la prevenzione e il trattamento delle malattie che complicano il decorso del COVID-19, anche attraverso un’educazione alimentare generale “evidence based” e specifici consigli sulla nutrizione (anche per un corretto apporto di vitamine e flavonoidi, senza escludere il ricorso a integrazioni ove necessario) e sullo stile di vita. Ebbene: tutto questo non è stato recepito dal documento governativo che invece ribadisce una serie di proibizioni.

Non bisogna utilizzare idrossiclorochina «la cui efficacia - si legge - non è stata confermata in nessuno degli studi clinici randomizzati fino ad ora condotti». Il lettore non specialista del settore è bene che sappia che non esistono solo gli studi randomizzati, ma anche altri tipi di lavori scientifici peraltro già valutati positivamente dal TAR del Lazio che proprio in base ad essi emise la sentenza che tanto è dispiaciuta a Roberto Speranza.

I veti non finiscono qui: non bisogna utilizzare neanche l’eparina se non «nei soggetti immobilizzati per l’infezione in atto». Il problema delle tromboembolie non è preso in considerazione.

Gli antibiotici? Macchè: l’eventuale utilizzo di antibiotici è da riservare esclusivamente ai casi nei quali l’infezione batterica sia stata dimostrata da un esame microbiologico. In attesa che arrivi il risultato dal laboratorio di batteriologia il Covid può continuare il suo decorso.

Il povero medico curante che cerca di fare qualcosa per il suo paziente a questo punto chiede: posso usare il cortisone? No.

L’utilizzo dei cortisonici viene raccomandato esclusivamente nei soggetti in condizioni di gravità che necessitano di supplementazione di ossigeno. Il ministero chiarisce che l’utilizzo della terapia in fase precoce con steroidi si è rivelata inutile se non dannosa in quanto «in grado di inficiare lo sviluppo di un’adeguata risposta immunitaria e quindi riserva l’impiego di tali farmaci a domicilio solo per pazienti con fattori di rischio di progressione di malattia verso forme severe, in presenza di un peggioramento dei parametri pulsossimetrici che richieda l’ossigenoterapia, oppure ove non sia possibile nell’immediato il ricovero per sovraccarico delle strutture ospedaliere». Tradotto: solo in pazienti che necessitano di ossigeno, e che in realtà andrebbero ricoverati.

Come si rileva questa situazione grave? Col saturimetro, il cui uso viene fortemente raccomandato. A tale proposito, l’esperienza sul campo di molti medici che curano rileva che il saturimetro è una potente forma di ansia e l’ansia a sua volta genera una diminuzione della saturazione.  Molte persone cominciano ad agitarsi quando il valore è di 96-97.

Per il Ministero, il valore soglia di sicurezza è di 92.

Infine, il Ministero segnala che non esistono evidenze solide di efficacia nemmeno per supplementi vitaminici e integratori alimentari (ad esempio vitamine, incluse vitamina D, lattoferrina, quercitina), il cui utilizzo quindi non viene raccomandato. 

A questo punto che cosa rimarrebbe come risorsa terapeutica al povero medico curante? La Tachipirina. Non c’erano dubbi. Ma la circolare allarga leggermente le maglie, e consente anche l’utilizzo dei FANS, ovvero dei farmaci antinfiammatori non steroidei. Si possono quindi usare Aspirina, Ibuprofene e altri farmaci di questa classe.

E la mitica “vigile attesa”? La ritroviamo, ridefinita come “sorveglianza clinica attiva”, che deve essere attuata con costante monitoraggio dei parametri vitali e delle condizioni cliniche del paziente da parte dei medici di medicina generale.  Una indicazione importante e condivisibile, ma in concreto di difficile attuazione. Moltissimi pazienti malati di Covid non hanno neppure ricevuto una visita domiciliare dal proprio medico, figuriamoci un monitoraggio frequente dei parametri vitali.

La circolare tuttavia apre a particolari prospettive terapeutiche, allo stato attuale ancora piuttosto utopistiche, e che rischiano di creare nei pazienti delle aspettative illusorie e quasi miracolistiche: le terapie monoclonali. Peraltro, viene scritto che è raccomandato il trattamento con queste terapie sperimentali nell’ambito di una struttura ospedaliera, oppure in un contesto che consenta una pronta ed appropriata gestione di eventuali reazioni avverse gravi. Si specifica inoltre che il trattamento deve essere iniziato non oltre i dieci giorni dall’inizio dei sintomi (ci bruciamo tutta la “vigile attesa” o come è stata ribattezzata) e quindi la decisione su questo spetta solo ed esclusivamente al medico di base che riferisce dei sintomi e della condizione preesistente del paziente. L’uso dei monoclonali insomma non è né semplice né immediato. Come ormai invece sappiamo bene, il virus può essere fermato solo da un intervento terapeutico il più precoce possibile. Un intervento che non può limitarsi al paracetamolo.

Siamo dunque ancora ben lontani dal permettere che i medici possano affrontare adeguatamente questa malattia.

-IL DOSSIER COVID AT HOME