MANCA UN PROTOCOLLO

Cure a casa nel caos, gli errori di Conte e le liti tra medici

Conte ammette errori nella gestione dei pazienti covid: «Ospedali pieni anche perché la medicina sul territorio non è stata rafforzata». Già, ma per colpa di chi? Il gruppo ministeriale lavora al protocollo per le terapie domiciliari solo da pochi giorni, ma non ha incluso nessun rappresentante dei medici di base, che ora protestano, contestando le terapie proposte. Il solito pasticcio all'italiana, col governo in difficoltà e incapace di trovare una soluzione che non sia il lockdown e i medici che litigano tra di loro per una compressa in più o in meno di azitromicina. Intanto il ritardo aumenta e gli ospedali continuano a riempirsi di pazienti che potrebbero essere curati con successo a casa. Come sta facendo nella sua abitazione il governatore emiliano-romagnolo Bonaccini.
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Attualità 14_11_2020

«Ospedali pieni perché la medicina territoriale non è rafforzata». A 271 giorni dall’esplosione della pandemia, a un mese esatto dall’acuirsi della cosiddetta seconda ondata, o meglio recrudescenza della prima, il premier Conte ha fatto una dichiarazione che sa tanto di ammissione: «Dobbiamo rafforzare la medicina territoriale, non dobbiamo ripetere gli errori del passato. Stiamo soffrendo lo stress degli ospedali anche per questo motivo». Conte l’ha dichiarato a "Futura: lavoro, ambiente, innovazione", la tre giorni della Cgil. E ha proseguito: «Stiamo facendo un lavoro anche con la protezione civile, i medici di famiglia, ma invertire una certa rotta è complicato».

Un segreto di Pulcinella, perché ormai è chiaro a tutti che, intasando gli ospedali di pazienti in codice verde quindi “deospedalizzabili”, si metterebbe un freno al panico generalizzato sulle strutture ospedaliere che ha costretto il Governo a intraprendere le misure di quarantena e  di lockdown, l'unico linguaggio che sembra parlare l'esecutivo.

Però è complicato, dice Conte. E qui si innesta il nuovo, ennesimo dramma all’italiana fatto di rivendicazioni e errori non ammessi. Se le terapie domiciliari non sono state rafforzate di chi è la colpa? 

La gestione del Covid a casa per la maggior parte dei pazienti è dunque una cosa complicata? Eppure, si può fare, come testimonia la dichiarazione del governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini che, da alcuni giorni positivo, ieri ha annunciato di avere una polmonite bilaterale di media entità e di curarsi da casa: «Ho fatto il tampone di controllo, purtroppo ancora positivo. Vista la forte tosse persistente, poi, sono stato visitato e ho fatto ulteriori accertamenti. Mi hanno diagnosticato una polmonite bilaterale a uno stadio iniziale. Al momento, i medici ritengono che possa essere adeguatamente curato da casa, senza dover essere ricoverato».

Bonaccini non è asintomatico, anzi. Eppure, può curarsi a casa e per certi versi autogestirsi. Dunque, curarsi a casa si può. E – visto la pressione generale sugli ospedali – si deve. Ma quanti sono attualmente i pazienti nelle condizioni di Bonaccini che stanno occupando per vari motivi uno qualsiasi degli ospedali italiani? Si stima che siano circa il 60% dei pazienti totali, ma numeri precisi non ce ne sono.

Ma è davvero curioso che a ormai 9 mesi dall’esplosione della pandemia da Sars CoV-2, il premier finalmente si sia accorto che la strada da perseguire sia quella della domiciliazione terapeutica. Un parto decisamente salutare, che va nella direzione di ciò che dicono ormai tutti i medici ospedalieri e da tempo. Come ad esempio il professor Luigi Cavanna di Piacenza che non ha mai smesso di portare le terapie ai suoi pazienti direttamente a casa diventando una sorta di modello in tutt’Italia visti i suoi straordinari successi di guarigione.

Ma di deospedalizzare i pazienti non gravi, la maggioranza, lo chiedono proprio i medici dei nosocomi, come ha detto alla Bussola la responsabile della medicina d’urgenza del San Raffaele. Medici che hanno capito che il Covid si può curare, che non è più il mostro che faceva tremare le corsie nel febbraio scorso quando non si sapeva come affrontare. No, oggi il Coronavirus si cura e si cura a casa con i medici di base. Ma per motivi che non sono mai stati spiegati dal governo, questa deospedalizzazione tarda ad arrivare. Se però da un lato il governo ora ammette di aver fatto degli errori nel passato, che cosa pensa di fare nel presente?

Sicuramente c’è un problema sindacale e non è un caso che Conte abbia affrontato l’argomento proprio a casa della Cgil. Per poter curare il Covid dunque, dobbiamo anche passare dai sindacati? Speriamo solo che non si traduca in un’estenuante trattativa sulla parcellizzazione delle prestazioni, sugli orari dei medici e sulle prestazioni.

Poi c’è sicuramente un problema di protocollo, o meglio, di linee guida. Ad oggi, non è che i medici di base non possano curare i loro pazienti affetti da Coronavirus, ma mancando di precise linee guida è come se ogni medico si trovasse ad affrontare il virus da solo in maniera poco coordinata e con strumenti che difficilmente vanno oltre la semplice osservazione e attesa dopo il tampone ai pazienti. I quali, rischiano però, se non guariscono da soli, di doversi presentare in corsia dopo qualche giorno quando la loro situazione si è aggravata irrimediabilmente. 

Attualmente, il tema del covid at home è lasciato alla buona volontà dei singoli e delle Asl oppure alle raccomandazioni degli ospedali, vedi ad esempio il Sacco di Milano che in questo caso si presta a fornire ai medici di famiglia informazioni non però validate da un organismo istituzionalmente titolato. Qualche dichiarazione spot come quella di Speranza sui covid hotel, ripresa anche da Conte ieri, fa il resto ma a quale prezzo? Se non ci si accorda con i medici di base figurarsi con gli albergatori in termini di costi e di protocolli di sicurezza.

Ma i medici di base vanno coinvolti. Invece proprio ieri Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, che sottostà al Ministero della Salute, ha fatto filtrare la prima bozza di protocollo per le cure domiciliari dopo l'annuncio del vive ministro Pierpaolo Sileri. E di nuovo è stato “dramma Italia” con la Federazione dei medici di famiglia (Fimmg) che ha lamentato di non essere stata coinvolta e di non condividere affatto le terapie indicate che non prevedono ad esempio alcuni farmaci tra cui l’eparina, il cortisone e gli antibiotici.

A ben guardare i componenti del gruppo di lavoro dell’Agenas, infatti, non si può non notare che tutti i partecipanti sono medici ospedalieri o titolari di cattedre universitarie, ma tra di loro non vi è nessun rappresentante dei medici di base. A cominciare dal più celebre, l’infettivologo genovese Matteo Bassetti per proseguire con tutti gli altri: Massimo Andreoni (Infettivologo a Tor Vergata), Francesco Blasi (pneumologo a Milano), Lorenzo Dagna (San Raffaele), Francesco De Rosa (infettivologo ad Asti), e gli altri Fabiano Di Marco, Tacconelli Evelina, Andrea Gori, Carmelo Iacobello, Luca Lorini, Carlo Tascini e Luigi Tritapepe. Professionisti in ambito ospedaliero, dove il covid è stato curato fino ad oggi. Ma nessun rappresentante dei medici di famiglia, che dovrebbero essere i destinatari delle linee guida e alla cui professionalità ci si dovrebbe ora affidare come salvatori per sgravare i nosocomi.

Una dimenticanza che potrebbe costare caro e che ci costringe a fare i conti con le solite guerre di quartiere tipiche del nostro Paese, con i medici di famiglia contro quelli ospedalieri e questi a loro volta in guerra tra di loro per una compressa in più o in meno di azitromicina. Cosi si ritarda quella deospedalizzazione ormai vitale di cui si è accorto finalmente, ma con grave ritardo anche il governo Conte.