Covid e Vaticano, botta e risposta PAV-Bussola
L'ufficio stampa della Pontificia Accademia per la Vita replica all'editoriale di Stefano Fontana che accusava il documento di riflessione sul Covid di prescindere dalla Rivelazione. E dopo la replica, l'autore ribadisce la sua critica.
Caro Direttore,
ho letto con attenzione l’editoriale (qui) che muove qualche rilievo critico all’ultimo documento della Pontificia Accademia per la Vita pubblicato il 22 luglio (qui) in originale inglese e in traduzione in diverse lingue (italiano, spagnolo, francese, giapponese).
Si rileva che il documento è sociologico e si lamenta non ci sia nessun accenno ai «fondamentali», non trovando nel testo le parole Dio, Gesù, religione, fede. Si assumono l’uomo e l’umano come prospettiva, non il divino.
Intanto grazie per non essere caduta la tua testata nella «trappola» di altri che si sono scandalizzati per il sottotitolo che recita «riflessioni inattuali». Almeno da te non siamo stati accusati di essere nichilisti per l’uso del termine «inattuale», vocabolo che si vorrebbe messo fuorilegge.
Ma veniamo al punto. Quando sono arrivato alla fine della lettura dell’editoriale mi sono detto: tutto qui? La Pontificia Accademia per la Vita assume l’umano come prospettiva e non il divino? C’è una mano «sociologica» che scrive il testo? Tutte qui le «osservazioni», niente altro da dire?
La pandemia è un evento che chiama in causa la nostra responsabilità. Nella pandemia incontriamo Dio nella misura in cui la Rivelazione e la relazione con Dio ci aiutano a comprendere chi sono gli esseri umani e quale sia il loro ruolo nel mondo. Cristo è la verità dell’uomo: lo decliniamo secondo una prospettiva dove antropologia e teologia si incontrano, cercando di comunicarlo in modo accessibile a tutti.
Abbiamo tre testi che vanno letti insieme: prima di tutto la Lettera «Humana Communitas» di Papa Francesco alla Pontificia Accademia per la Vita (2019) in cui illustra le sfide alla vita nel contesto di oggi. Quindi la Nota 1 del 30 marzo 2020 sulla pandemia e questa seconda Nota del 22 luglio che non a caso titola «La Humana Communitas al tempo della pandemia».
Come diceva Giovanni XXIII, non è il Vangelo a cambiare, siamo noi a comprenderlo sempre meglio. È questo il lavoro che sta facendo la Pontificia Accademia per la Vita, nel discernimento costante: la fede, il Vangelo, la passione per l’umanità, declinati nei concreti accadimenti del nostro tempo. Per questo sarebbe importante un dibattito sul merito dei contenuti di questi tre documenti, da leggere insieme. Non so, a questo punto, se sia utile un lavoro di «contabilità» filologica su quante volte qualche parola-chiave ricorre in un testo.
A noi preme entrare nelle situazioni umane, leggendole alla luce della fede, ed in una maniera che parli alla più vasta platea possibile, ai credenti e ai non credenti, a tutti gli uomini e le donne «di buona volontà».
I tuoi lettori è giusto sappiano qualcosa di più: la critica sulla mancanza dei termini Dio, fede, religione, è stata avanzata prima da un sito Usa, poi ripetuta da siti spagnoli, e infine anche in Italia da qualche blogger infervorato.
Sarebbe preferibile entrare nel merito dei temi. Noi ci siamo per affrontare le questioni serie che hanno a che fare con il futuro dell’umanità tutta.
Grazie dell’attenzione.
Fabrizio Mastrofini
Ufficio Stampa, Pontificia Accademia per la Vita
Risponde Stefano Fontana:
Caro Mastrofini,
dopo aver letto la sua lettera al direttore Cascioli, sono io a chiedermi: tutto qua? Nel mio editoriale accusavo la Pontificia Accademia per la Vita di aver pubblicato un documento sulla pandemia da Covid-19 privo di qualsiasi lettura dal punto di vista della rivelazione, di avere omesso tematiche di grande attinenza col mandato dell’Accademia ritenendole politicamente inopportune, di aver collegato il tema della pandemia con quello della tutela dell’ambiente in modo forzato e privo di fondamento scientifico e teologico, di avere accuratamente evitato di condurre una lettura spirituale dell’evento dal punto di vista della teologia della caduta e della redenzione ossia dell’invito alla penitenza e alla conversione, di avere proposto sì la conversione ma non a Dio bensì alla natura da rispettare e alla solidarietà umana nel bisogno, di aver ripetuto passivamente le note tesi imposte a livello planetario da chi ha in mano l’opinione pubblica...
Ora, lei riduce simili critiche alla cavillosa lamentela linguistica sulla mancanza di parole (Dio, Cristo, Chiesa…), insomma ad una leziosità filologica? Per questo sono io a chiedermi: tutto qua? Davanti a tali critiche, è tutto qua quello che la Pontificia accademia intende dire?
Nel suo Gesù di Nazaret, Benedetto XVI scriveva che per tante esegesi di oggi “Dio stesso non dice niente o non ha niente da dire, è al passo con i tempi”. Il documento della Pontificia accademia di cui stiamo parlando è perfettamente “al passo con i tempi”, dice quello che i tempi si aspettano da essa, ossia non dice niente perché i tempi dicono già tutto quanto c’è da dire. È proprio questo lo spunto che mi ha indotto a chiedermi se essa stia veramente svolgendo il suo compito.
Lei scrive: “Nella pandemia incontriamo Dio nella misura in cui la Rivelazione e la relazione con Dio ci aiutano a comprendere chi sono gli esseri umani e quale sia il loro ruolo nel mondo”. Ma Dio è il Signore Onnipotente della storia, che agisce tramite le cause seconde, ma può anche intervenire rompendo le leggi da Egli stesso create, e che comunque è il fine ultimo e provvidente di tutto quanto avviene. Egli può chiedere agli uomini di pentirsi e all’umanità di ravvedersi. Non è l’animatore sociale che ci fa collaborare tutti insieme, ma è Colui senza il quale ogni collaborazione è vana e Colui nei cui imperscrutabili disegni anche la pandemia ha un posto.
A dispetto di ciò, il documento della Pontificia Accademia fa della pandemia un problema etico e di funzionamento delle istituzioni. È troppo poco. Qualsiasi agenzia sociale potrebbe intenderlo così. Per risolverlo, se veramente fosse solo questo, non ci sarebbe bisogno di Cristo, ma basterebbero medici volonterosi, i soldi dell’Unione europea e un governo non proprio sprovveduto.
Lei dice che la Pontificia Accademia vuole parlare a tutti. Allora, per favore, può spiegarmi il significato di questo passo, de me riportato nel mio editoriale?: “affioriamo da una notte dalle origini misteriose: chiamati ad essere oltre ogni scelta, presto arriviamo alla presunzione e alle lamentele, rivendicando come nostro quello che ci è stato solamente concesso. Troppo tardi abbiamo imparato ad accettare l’oscurità da cui veniamo e a cui, infine, torneremo”.
Riportandolo, volevo dare un esempio dello stile astrusamente sociologistico del documento, molto lontano da un chiaro linguaggio cristiano, ma c’è stato qualche altro accurato interprete che è andato oltre (il che vuol dire che in fondo la mia critica era ancora moderata) e ha ravvisato in questo passaggio un significato letteralmente ateo (“l’oscurità da cui veniamo e a cui, infine, torneremo”). Anche per questo motivo, oltre che per quelli espressi sopra, leggendo la sua lettera mi sono chiesto: tutto qua?