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golpe ecclesiale

Con "Fiducia supplicans" il Papa e Tucho sfiduciano i vescovi

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Col pretesto di evitare qualsiasi norma e formalizzazione il documento sulle benedizioni alle coppie omosessuali e irregolari sottrae la questione al discernimento dell'autorità episcopale, progressivamente esautorata dalla diarchia Francesco-Fernández, con buona pace del pur sbandierato Vaticano II.
- Benedizioni alle coppie omo: Strickland invita a resistereBorgo Pio

Ecclesia 20_12_2023

Ci sono pochi dubbi sul fatto che la dichiarazione Fiducia supplicans verrà ben presto sventolata come la conditio sine qua non della comunione ecclesiale; e nell’occhio del mirino ci saranno i sacerdoti. La prassi “oliata” più diffusa è quella di servirsi delle riunioni del clero per richiamare i sacerdoti alla comunione con la Chiesa e nel presbiterato. È la via più semplice, perché ha il duplice vantaggio di non doversi esporre troppo con note o comunicati pubblici delle Curie e di sfruttare al massimo la tendenza delle persone ad uniformarsi. A ben vedere, però, dovrebbero essere anche i vescovi ad inquietarsi, e non poco, di fronte a questa nuova Dichiarazione.

Ma andiamo con ordine. Posto che, per le ragioni che si sono già esposte (vedi qui), la scelta pastorale delineata dalla Dichiarazione risulta irricevibile, diventa importante capire più in dettaglio che appunto di scelta pastorale si tratta. È lo stesso Fernández a dichiararlo nella Presentazione: «Il valore di questo documento (…) è quello di offrire un contributo specifico e innovativo al significato pastorale delle benedizioni». Al n. 41, indica i confini della Dichiarazione: «Quanto detto nella presente Dichiarazione a proposito delle benedizioni di coppie dello stesso sesso, è sufficiente ad orientare il prudente e paterno discernimento dei ministri ordinati a tal proposito» (corsivo nostro).

Dunque, il documento non impone alcuna linea uniforme, ma lascia al «prudente e paterno discernimento» dei ministri di considerare il da farsi. Anzi, Fernández esclude esplicitamente che un vescovo nella propria diocesi, o addirittura un’intera Conferenza Episcopale, possano emanare linee normative: «Oltre alle indicazioni di cui sopra, non si debbono dunque aspettare altre risposte su eventuali modalità per normare dettagli o aspetti pratici riguardo a benedizioni di questo tipo» (n. 41). Tutto il documento, infatti, punta sul fatto che la benedizione “pastorale” o arituale – nuova invenzione di Fernández – dev’essere considerata come «semplice», «spontanea», che nasce dalla pietà popolare e non dalla liturgia. Dunque, deve essere respinto qualunque tentativo di ritualizzazione, formalizzazione, normatività (cf. n. 37).

Queste considerazioni permettono di raggiungere un primo punto: la Dichiarazione si colloca in una dimensione di prudenza pastorale e, pertanto, non può esigere alcun assenso dovuto al Magistero autentico. La Costituzione dogmatica Lumen Gentium spiega: «Questa religiosa adesione della volontà e dell’intelligenza va prestata in modo particolare al magistero autentico del Romano Pontefice (…) così che il suo supremo magistero sia accolto con riverenza, e si aderisca sinceramente alle sentenze da lui proposte, secondo la sua mente e la sua volontà intenzionale, che si manifesta specialmente sia nella natura dei documenti, sia nella frequente riproposta della stessa dottrina, sia nel tenore dell’espressione verbale» (n. 25, corsivi nostri). Dai corsivi potete notare come il Magistero autentico verta su dottrine “pure” o implicate nella disciplina della Chiesa e non su orientamenti prudenziali. A questi ultimi, corrisponde un atteggiamento prudenziale, che pertanto può differire nell’applicazione concreta. Caso per caso. È la legge del discernimento, nella quale questo pontificato ha voluto avventurarsi: questo documento non può quindi imporre ad alcun sacerdote di benedire queste coppie, perché il riferimento ultimo è il discernimento prudenziale del sacerdote.

Non si vuole qui sostenere che l’“apertura” della Dichiarazione non abbia implicazioni dottrinali: l’abbiamo già spiegato ieri, mostrando il senso dei sacramentali della Chiesa. Il punto è che il tipo di assenso alla Dichiarazione non può estendersi oltre il tenore della stessa Dichiarazione. Fa parte dei criteri elementari dell’interpretazione dei testi. Se Fernández volesse sconfinare nell’ambito dottrinale, dovrebbe allora mostrare che quello che sta chiedendo non confligge dottrinalmente con il Responsum del 2021. Ma egli sa molto bene che il conflitto è evidente, tant’è che si è dovuto inventare le “benedizioni spontanee”, perché il Responsum dice chiaramente che la benedizione come sacramentale (che è l’unica benedizione che un ministro della Chiesa può impartire in quanto ministro) non può essere data ad una coppia irregolare o dello stesso sesso. Proibizione che nasce dalla natura intrinseca della benedizione e non dal semplice fatto che possa essere esternamente confusa con una benedizione nuziale.

Facciamo notare altri dettagli importanti, che indicano a sufficienza che l’arrivo di Tucho al Dicastero è una specie di golpe per esautorare i vescovi e ridurli a semplici vicari della diarchia Francesco-Fernández. Il lettore potrà notare, che nella Presentazione, la Dichiarazione cita la Costituzione Apostolica Prædicate Evangelium (II. 1): «la Curia romana è in primo luogo uno strumento di servizio per il successore di Pietro». Però il Prefetto, come è sua abitudine, tronca la citazione, omettendo il seguito, che ricorda che la Chiesa e il governo della Chiesa non si esauriscono nel successore di Pietro: «per aiutarlo nella sua missione di perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli”, ad utilità anche dei Vescovi, delle Chiese particolari, delle Conferenze episcopali e delle loro Unioni regionali e continentali, delle Strutture gerarchiche orientali e di altre istituzioni e comunità nella Chiesa».

Piacerebbe sapere se Fernández abbia tenuto presente questa unità e questa utilità. Su una questione del genere, il minimo sindacale è che Tucho si prendesse il tempo di consultare l’episcopato mondiale; il quale, lo vorremmo ricordare, è composto anche da vescovi del continente africano, da quelli polacchi, ungheresi, statunitensi. Forse qualcuno avrebbe avuto qualcosa da ridire; il che sarebbe certamernte stato un grande contributo per rafforzare la parresia nella Chiesa.

Ma c’è un altro aspetto, ancora più importante, messo in luce da Ed Condon su The Pillar: il Papa e il Prefetto hanno voluto «impedire agli stessi vescovi di apportare chiarezza e ordine alla sua attuazione [della Dichiarazione] nelle loro diocesi», come indicato nel n. 41, sopra citato. La questione è particolarmente grave, perché la Dichiarazione entra nella sfera prudenziale, che è di competenza di ciascun vescovo nella propria diocesi, il quale però ora non potrà regolamentare nulla, né in bene né in male, perché le benedizioni devono essere “semplici”, non normate, non ritualizzate. «In effetti», aggiunge Condon, «il DDF sembra aver dichiarato, con l’autorità papale, che i sacerdoti sono liberi di esercitare un “discernimento pratico” nell’applicazione di Fiducia supplicans al di fuori di qualsiasi regolamentazione o supervisione da parte dei propri vescovi». Il caos, senza possibilità d’intervento.

E questo non è il primo segnale della volontà di Francesco di diminuire progressivamente l’autorità episcopale. Il Sinodo aveva già mandato un segnale forte e chiaro, con vescovi e cardinali soggetti ai “facilitatori” e con possibilità di intervento e diritto di voto equiparati a quello dei laici. Anche i continui “sollevamenti” di vescovi dalle loro sedi, senza alcuna procedura regolare, la dice lunga su quanto questo Papa stimi l’episcopato e si metta sotto i piedi l’insegnamento del Vaticano II. Forse qualche episcopato dovrebbe trovare il coraggio di ricordarlo al Papa.
 



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