CRIMEA

Come limitare i danni in Ucraina

La frittata è fatta, ormai. Non è più ragionevolmente possibile che la Crimea torni sotto Kiev. Ma smembrare l'Ucraina potrebbe essere ancora più pericoloso. Serve uno statuto speciale per la Crimea. E una garanzia per il resto dell'Ucraina.

Editoriali 18_03_2014
Irregolare russo in Crimea

A questo punto la frittata è fatta: a Kiev c’è un governo che non gode sin qui di riconoscimento internazionale. Il presidente ucraino fuggito di fronte all’insurrezione è in Russia sotto la protezione di Putin. Un referendum popolare illegittimo ma plebiscitario ha approvato in Crimea distacco della storica penisola dall’Ucraina e al suo passaggio alla Russia. L’Unione Europea, che sin qui non è mai riuscita ad avere una politica estera comune su nulla, meno che meno ce l’ha su una crisi dalla quale si è fatta cogliere di sorpresa. Senza tornare su osservazioni già fatte diciamo per l’ultima volta che questa era una crisi che un’Unione Europea più capace di visione e meno nelle mani della Germania avrebbe potuto evitare. Adesso però, come si diceva,  la frittata è fatta. A questo punto si tratta soprattutto di vedere come venirne fuori. Di buono c’è che: 1) la Russia ha tanto bisogno di vendere gas all’Unione Europea quando l’Unione Europea (e la Germania in particolare) ha bisogno di comprarne; 2) il territorio dell’Ucraina è un crocevia ineludibile dei gasdotti che collegano la Russia all’Europa; 3) nessuno avrebbe niente da guadagnare da una guerra che, per limitata che fosse, darebbe un duro colpo ai primi fragili segnali di ripresa dell’economia internazionale dalla crisi che la travaglia dal 2008.

Ciò detto ci sono dei dati di fatto da cui non è possibile prescindere: da un lato la Russia non può fare a meno dei porti della Crimea, ma dall’altro l’eventuale sgretolamento dell’Ucraina precipiterebbe nell’instabilità l’intera Europa centro-orientale. Inoltre l’Unione Europea – che già fatica a reggere il peso degli squilibri provocati dall’entrata nei suoi confini della Bulgaria e della Romania --  non è affatto in grado di accollarsi il peso dell’eventuale sopraggiungere anche soltanto di una parte dell’attuale Ucraina. Stando così le cose, la quadratura del cerchio della crisi è tanto difficile quanto priva di alternative.

Proviamo a immaginare come l’impossibile potrebbe diventare possibile. La Crimea a un certo punto non potrà che ritornare entro i confini della Russia, entro i quali de facto  già si trova da tempo. L’importante però è che per adesso non vi rientri de jure. Sarebbe meglio mettere per il momento in frigorifero i risultati di un referendum convocato invocando il principio di autodeterminazione dei popoli: un principio, di fatto dimostratosi non applicabile in modo assoluto, cui in sede Onu un gran numero di Paesi (Italia compresa) guarda con ben poca simpatia. A lungo termine è accettabile che la Crimea torni alla Russia, da cui Krusciof la staccò nel 1954; al tempo dunque dell’Unione Sovietica quando i confini tra Russia e Ucraina erano più amministrativi che politici. Diverso è il caso delle regioni dell’Ucraina sud-orientale, che sono di lingua russa ma storicamente ucraine. Nel quadro della prospettiva della restituzione della Crimea alla Russia l’integrità del resto dell’Ucraina andrebbe quindi garantito.

In questa ritrovata stabilità sarebbe equo e ragionevole avviare programmi di investimenti produttivi in Ucraina con capitali attinti ai mercati finanziari  internazionali (più che mai pieni di liquidità in cerca di impiego), con tecnologie europee e con energia russa.  Si costruire così un intreccio di interessi favorevoli alla pace e non alla guerra, allo sviluppo e non alla gestione del sottosviluppo permanente. E difficile? Sì. Ci sono alternative? No (salvo la catastrofe).