LIBERTA' RELIGIOSA /2

Una prigione gigante per i cristiani d'Eritrea

L'ultima cristiana deceduta nelle carceri eritree è una studentessa di 28 anni, arrestata per aver partecipato a un gruppo di studio biblico.

Attualità 19_03_2011
Eritrea


L'ultima cristiana deceduta in una prigione dell’Eritrea, è stata una studentessa universitaria di 28 anni, Senait Oqbazgi Habta, nell’aprile dello scorso anno. Era stata arrestata, insieme ad altri quindici studenti dell’Università di Mai-Nehfi, per aver partecipato a un gruppo di studio biblico.

Dopo l’arresto, gli studenti erano stati sottoposti a condizioni di detenzione severe, imprigionati in container esposti al sole e al freddo notturno, privi di presidi igienici e cure mediche. In precedenza, la ragazza – che è poi morta presso il Centro di addestramento di Sawa, a causa della malaria e di una forte anemia - aveva rifiutato di firmare un documento di ritrattazione, che le avrebbe consentito di ricevere cure mediche e di essere rilasciata se avesse abiurato la propria fede religiosa.

E’ uno dei tredici casi di persecuzione, conclusisi con la morte dei cristiani, che si sono verificati in Eritrea negli ultimi due anni, come documenta “Aiuto alla Chiesa che soffre”, l’associazione universale di diritto pontificio, fondata nel 1947, che pubblica ogni anno – dal 1999 - il Rapporto sulla Libertà Religiosa nel Mondo.

Nel giugno 2008, presso la prigione militare di Wi’a, morì di malaria non curata, la 37enne Azib Simon, che nel corso della detenzione aveva subito torture. Analogo il caso di Teklesenbet Gebreab Kiflom, 36 anni. Nel gennaio 2009, presso il centro di detenzione di Meiter, persero la vita Mogos Hagos Kiflom, di 37 anni, membro della Rhema Church e Mehari Gebreneguse Asgedom, di 42 anni, membro della Chiesa del Dio vivente: entrambi, a seguito di maltrattamenti fisici e mancanza di cure mediche. A luglio 2009, morì presso il centro di detenzione di Mitire, Yemane Kahasay Andom, 43 anni, affiliato alla Kale-Hiwot Church di Mendefera; aveva subito torture, era stato sottoposto ad isolamento in una cella sotterranea e gli erano stati negati i medicinali per affrontare l’attacco di malaria di cui era vittima. Nel gennaio dello scorso anno, mentre si trovava in cella di isolamento nel campo militare di Alla, fu un attacco cardiaco la causa della morte di Hana Hagos Asgedom, nubile, 41 anni, affiliata alla Asabe Rhema Church. Arrestata due anni prima e internata nella prigione militare di Wi’a, era stata da poco trasferita in quel campo, dopo essersi rifiutata piu’ volte di abbandonare il proprio credo religioso. Sarebbe stata percossa con una sbarra di ferro poco prima del decesso, per essersi sottratta alle richieste di natura sessuale del comandante del campo. Nel marzo 2010, in una cella di isolamento nel campo militare di Adi-Nefase, nei pressi Assab, morì il 37enne Efrem Habtemichel Hagos, cristiano affiliato ad un’imprecisata Chiesa non riconosciuta. Cause della morte furono la malaria e la polmonite. In precedenza gli erano state negate le cure mediche per essersi rifiutato di abiurare la propria fede cristiana.

Lo “Human Rights Watch”, nel 2009, ha definito il paese del Corno d’Africa una “prigione gigante”, con decine di campi militari-pri¬gioni. Secondo altre fonti internazionali, di queste carce¬ri ce ne sarebbero almeno trenta.

Confinante con il Sudan, l’Etiopia ed il Gibuti, l’Eritrea vive in queste settimane – come ha denunciato di recente Monsignor Joachim Schroedel, sacerdote per i cattolici di lingua tedesca in Medio Oriente – una grave situazione di carestia, determinata soprattutto dalla mancanza di scambi commerciali con l’Etiopia, che può rapidamente evolversi in una crisi umanitaria di rilevanti proporzioni. Si aggiungerebbe alla già esistente crisi del Paese, martoriato per lunghi anni dalla guerra e dal conseguente esodo di buona parte della popolazione, che per cercare migliori condizioni di vita ha cercato rifugio nei paesi confinanti o ha tentato di raggiungere l’Europa, spesso in modo drammatico, com’è avvenuto, lo scorso 20 novembre, per 250 profughi, ancora oggi nelle mani dei trafficanti di uomini nel deserto del Sinai.

In Eritrea – governata dal 1993 da un partito unico, che non ha permesso l’entrata in vigore della Costituzione, né ha mai consentito che si tenessero elezioni politiche -  le confessioni religiose riconosciute e permesse, la Chiesa copta ortodossa eritrea, la Chiesa evangelica luterana d'Eritrea, la Chiesa cattolica e l’Islam, devono ottenere l’autorizzazione dell’Ufficio degli Affari religiosi per stampare e distribuire i propri documenti fra i fedeli, per espletare servizi religiosi ed altre attività legate al culto e le comunità locali vengono scoraggiate dal permettere agli aderenti a tali gruppi di utilizzare i cimiteri pubblici per i funerali dei loro membri. Lo Stato interferisce pesantemente nella vita interna delle quattro confessioni permesse e, di fatto, è riuscito a irreggimentare copti ortodossi, luterani e musulmani ottenendo che ai loro vertici gerarchici operino uomini fedeli al regime.

Anche il personale religioso è tenuto ad espletare gli obblighi di leva, che prevedono la ferma illimitata a causa dello stato di guerra con la confinante Etiopia. Una parziale eccezione vige per i sacerdoti e i seminaristi della Chiesa cattolica, per i quali è stato concordato che la leva sia sostituita da un servizio civile della durata di un anno. In molti casi, i seminaristi sono stati trattenuti anche dopo la scadenza del termine, contravvenendo agli accordi conclusi coi vescovi cattolici.

In base all’appartenenza religiosa, la popolazione si divide per il 49,2% in musulmani, per il 47,3% in cristiani e per il restante 3,5% in appartenenti ad altre religioni. I cattolici – 153.000 persone - rappresentano il 4% della popolazione. Nel 1995, il governo emise un decreto nel quale si stabiliva che le Chiese dovevano limitarsi alla pratica del culto religioso ed a rinunciare sia alle attività di servizio sociale, che spettavano allo Stato, sia a finanziamenti dall’estero, da sostituirsi con fondi statali. La resistenza della Chiesa cattolica ebbe successo, ma nel 2007 il governo emise un nuovo decreto, che avrebbe dovuto nazionalizzare, nel giro di due settimane, 50 scuole, 25 ambulatori e centri di salute, 60 asili infantili e alcune attività economiche appartenenti alla Chiesa. Tuttavia, da allora sono stati incamerati solo un’azienda agricola, una scuola e un asilo, nella città di Assab. Fra il 2007 e il 2008, il Governo ha provocato l’esodo di 18 missionari cattolici, non rinnovando i loro visti di residenza e dal 2006 non permette ai religiosi di nazionalità eritrea di andare a perfezionarsi presso le università pontificie di Roma o di partire come missionari all’estero.

Molti appartenenti a gruppi religiosi non riconosciuti sono perseguitati, arrestati e detenuti. Si stima che i prigionieri di coscienza per motivi religiosi siano attualmente circa 2.200 – sostiene il Rapporto di “Aiuto alla Chiesa che soffre”; la stima del Dipartimento di Stato degli USA è  di 3.200; altre fonti, indicano numeri ancora piu’ elevati- arrestati sia singolarmente che collettivamente in occasione di riunioni di preghiera, soprattutto quando si tratta di riunioni che eccedono il numero di 5 persone. Sono detenuti in celle sotterranee o in container esposti al caldo torrido del giorno e al freddo notturno, per lunghissimi periodi di tempo, senza visite di familiari e senza processo. I Centri di detenzione si trovano all’interno di strutture militari nelle località di Mai Serwa, Sawa e Gelalo; presso stazioni di polizia nella capitale e in altre città. Il governo ha aperto un campo di prigionia nel deserto - presso la località di Meiter - riservato ai prigionieri di coscienza religiosi.

Numerose testimonianze attestano maltrattamenti e torture ai danni dei detenuti. Un tipo di tortura consiste nel far inginocchiare un prigioniero su un tronco, fargli perdere l’equilibrio e colpire violentemente i piedi quando questi salgono verso l’alto. Nel corso degli interrogatori i detenuti vengono picchiati, a volte causando fratture agli arti. Nei soggiorni in cella di isolamento possono restare legati anche per 48 ore di seguito. La detenzione può durare anche molti mesi. Per punizione, i detenuti vengono legati nella “posizione dell’elicottero”, con le mani legate alle gambe piegate dietro la schiena, pancia a terra. Legati in questa posizione i prigionieri possono essere anche fatti pendere nel vuoto con l’ausilio di una sbarra fatta passare fra le loro ginocchia, mentre i piedi, esposti verso l’alto, subiscono continue percosse. Oltre ai pestaggi, le punizioni possono consistere nell’essere appesi agli alberi per le braccia, o legati in posizioni contorte, esposti al sole per molte ore e per intere giornate o sottoposti a finti annegamenti.

Fra i maltrattamenti riferiti dai detenuti in celle di isolamento, il fatto che nell’unica ora fuori dalla cella i detenuti vengono fatti camminare a piedi nudi su pietre aguzze e spine, picchiando con manganelli di plastica dura coloro che non camminano abbastanza celermente.
Alcune unità militari permettono ai coscritti di conservare e utilizzare letteratura religiosa non consentita. Presso alcune unità militari le sanzioni contro gli stessi militari di leva che detengono bibbie e materiale religioso illegale si limitano al sequestro e alla distruzione di tale materiale, che normalmente viene confiscato al momento dell’ingresso delle reclute nelle caserme a cui sono state assegnate.

Innumerevoli sono stati, negli ultimi anni, gli episodi di repressione nei confronti di cristiani affiliati a denominazione non riconosciute, di membri della Chiesa coopta-ortodossa, di musulmani, di Testimoni di Geova. Il sito internet “Christian Post” - che ha ripreso la notizia proveniente dalla ong “Open Doors” – ha riferito, lo scorso 26 gennaio, dell’arresto di cento cristiani arrestati dalle forze di sicurezza eritree tra Nata¬le e l’inizio del 2011. Sono state descritte due azioni distinte, violente ed entrambe brutali. Alla vigilia di Ca¬podanno, tutti i 41 membri della Philadelphia Church di Asmara sono stati arrestati, interrogati e picchiati dalla polizia eritrea. In un secondo episodio - avvenuto il 9 gennaio - i funzionari gover¬nativi hanno catturato almeno 35 fe¬deli, tra cui due anziani malati, da una Chiesa di Nakfa, nel nord.

Continua nel paese il fenomeno delle conversioni religiose forzate. La polizia eritrea costringerebbe alcuni aderenti ai gruppi religiosi non registrati a firmare dichiarazioni in cui è scritto che hanno abbandonato la loro fede e hanno aderito alla Chiesa cristiana ortodossa eritrea come condizione per essere rilasciati dal carcere. Queste persone di solito restano detenute, subendo pestaggi, fino a quando non accettano di firmare i documenti. Alcuni rapporti precisano che alcuni di essi poi sono stati controllati successivamente al rilascio per assicurarsi che non praticassero più la fede abiurata e che non conducessero attività di proselitismo per essa. In alcuni casi le autorità hanno richiesto a sacerdoti della Chiesa ortodossa eritrea lettere che confermassero che tali individui erano rientrati nella Chiesa copta ortodossa. Allo stesso modo, forze di polizia hanno costretto persone che avevano scelto di non appartenere ad alcun gruppo religioso di scegliere uno dei gruppi religiosi approvati se volevano essere rilasciati.

Habtu Ghebre-Ab – nato e cresciuto in Etiopia, da genitori eriteri, che insegna Storia all’Università di Cincinnati, recentemente intervistato dal programma elevisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con “Aiuto alla Chiesa che soffre” – ha definito l’Eritrea “uno dei luoghi peggiori del pianeta per i credenti, siano essi musulmani o cristiani”. Di certo, quel che avviene in questo piccolo paese può essere considerato il paradigma di quel che accade in tante parti del mondo in termini di annientamento della libertà religiosa e quindi della dignità della persona.