GOLFO

Tutti contro il Qatar, Sauditi guidano la coalizione

Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Bahrein rompono ogni legame con il Qatar e lo relegano a un isolamento completo. Il casus belli, praticamente non c'è. E' un regolamento di conti fra sunniti. I Sauditi, forti dell'appoggio di Trump, vogliono far pagare al Qatar i suoi doppi giochi con Teheran e la sua sponsorizzazione dei Fratelli Musulmani. Ma come può finire questo nuovo conflitto nel Golfo?

World 06_06_2017
Trump in Arabia Saudita

Dalle danze delle spade ai fratelli coltelli il passo può essere molto breve. Figuriamoci in una realtà come il Medio Oriente, dove all'ombra del grande scontro tra sciiti e sunniti ciascuno in questi anni ha sgomitato per guadagnarsi il proprio posto al sole. C'è dunque ben poco di inatteso nell'improvvisa escalation che ha visto all'alba di ieri quattro governi sunniti del calibro di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Bahrein decretare la rottura delle relazioni diplomatiche e (addirittura) la chiusura delle frontiere con il Qatar. Perché è vero che appena una decina di giorni fa erano tutti schierati a Riad al fianco di Donald Trump per la foto che avrebbe dovuto tenere a battesimo la cosiddetta «Nato araba», l'alleanza politico-militare contro «l'estremismo», definizione politicamente corretta per dire gli iraniani. Ma non era un mistero per nessuno che dietro alla costosa parata organizzata dagli al Saud le posizioni tra i Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo fossero tuttaltro che sovrapponibili.

Così - mentre il presidente americano non era ancora ripartito da Israele - ad appena 48 ore di distanza nel Golfo Persico era già scoppiata la crisi che ha portato alla svolta di queste ore. Con un «casus belli» decisamente singolare: un resoconto su un discorso dai toni morbidi nei confronti di Teheran («Non è saggio nutrire sentimenti di ostilità verso l’Iran, che è una grande potenza islamica») attribuito dall'agenzia ufficiale del Qatar all'emiro al Thani e giudicato a Riad come un alto tradimento. Discorso che, però, l'interessato dice di non aver mai tenuto, sostenendo di essere stato invece vittima di una fake news diffusa in rete da un attacco hacker. Vero o falso che sia è un dato di fatto che da una decina di giorni è stato tutto un fuoco di fila di attacchi nei confronti del Qatar da parte dei media legati all'Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti. Alle accuse di doppiogiochismo nei confronti dell'Iran e di sostegno ai gruppi islamici radicali legati ai Fratelli musulmani (sai che novità), se n'è aggiunta anche una un po' paradossale: 200 discendenti di Ibn Abd al-Wahhab, il fondatore del wahhabismo (la rigidissima scuola di interpretazione dell’islam dominante in Arabia Saudita) hanno preso pubblicamente posizione per disconoscere ogni legame tra la famiglia dell’emiro Al Thani e il loro capostipite. In forza di questo hanno chiesto al Qatar di cambiare nome alla moschea aperta e intitolata a Ibn Abd al-Wahhab nel 2011 (anno in cui evidentemente gli emiri di Doha erano ancora considerati sufficientemente wahhabiti per poter figurare nell'album di famiglia). Infine è arrivata la stretta delle ultime ore con la rottura delle relazioni diplomatiche che sta già creando non pochi problemi a un Paese come il Qatar, piccola penisola che via terra confina solo con l'Arabia Saudita e importa il 90 per cento delle sue forniture alimentari.

Che cosa sta succedendo, dunque? Si tratta dell'effetto domino del rinnovato asse tra Washington e Riad. L'Arabia Saudita si sente oggi sufficientemente forte da poter regolare i conti all'interno del Consiglio di cooperazione del Golfo. E - soprattutto - vuole cogliere l'occasione per ridimensionare Doha, che in questi anni ha spesso giocato una partita propria nei conflitti che attraversano il Medio Oriente. Il Qatar, infatti, è il principale sponsor dei Fratelli musulmani, il potente gruppo islamista che al Cairo i militari (con il sostegno di Riad) hanno tolto di mezzo nel 2013 con la deposizione dell'allora presidente Mohammed Morsi e la successiva ascesa del generale al Sisi. Ma Doha è anche una potenza emergente che con scaltrezza in questi anni ha messo insieme partecipazioni finanziarie nelle società occidentali e potenza mediatica attraverso la gran cassa di al Jazeera: due armi non proprio tranquillizzanti per gli al Saud. Come se tutto questo non bastasse, poi, anche solo per una ragione meramente geografica il Qatar non può permettersi lo scontro totale con l'Iran, da cui lo separa solo un braccio di mare tra l'altro attraversato da uno dei maggiori giacimenti mondiali di gas naturale. Non è un caso, dunque, che anche in Siria Doha - pur essendo schierata saldamente fin dall'inizio contro Bashar al Assad - abbia spesso trattato con l'Iran la liberazione di ostaggi a suon di milioni di dollari pagati a milizie di ogni colore.

Riad dunque vuole liquidare i conti, offrendo su un piatto d'argento a Trump e agli israeliani la fine politica dei Fratelli musulmani (compresa Hamas a Gaza), oltre che un riallineamento più saldo nel fronte anti-iraniano. Da parte loro anche Abu Dhabi e il Cairo si accodano, perché una svolta di questo genere a Doha andrebbe anche a loro vantaggio. Ed è interessante notare che pochi giorni fa il potente principe saudita Mohammed bin Salman è volato da Putin, proprio mentre Mosca parlava di «passi avanti» sulle de-escalation zone, la strada che i russi stanno perseguendo per arrivare a un compromesso che metta fine al conflitto in Siria. Non è escluso, dunque, che in quell'occasione i sauditi abbiano sondato il terreno di un'intesa che isolerebbe ulteriormente il Qatar.

Quale, allora, il possibile scenario per il futuro immediato a Doha? Un conflitto aperto per il momento appare impensabile, non fosse altro per la presenza in Qatar di Al Ubeid, una delle maggiori basi americane in Medio Oriente. Le possibilità restano sostanzialmente due: la prima è che Al Thani ritorni a Canossa, rientrando nei ranghi dell'orbita saudita. Parzialmente era già successo nel 2014, dopo la crisi sull'Egitto del dopo-Morsi; questa volta, però, le contropartite richieste al Qatar sarebbero ben più pesanti.

Doha, però, ha anche un'altra alternativa, potenzialmente clamorosa: già in queste ore gli aerei della Qatar Airways partono e decollano sorvolando i cieli iraniani; e il governo di Teheran ha già fatto sapere di essere disposto a far partire navi dai propri porti per rifornire l'emirato di quei generi alimentari che non arrivano più da terra. Farebbe ponti d'oro, in sostanza, per scompigliare le carte a Riad. Proprio pensando a questa eventualità nei giorni scorsi i sauditi - neanche troppo velatamente - hanno fatto capire ad al Thani che potrebbe rischiare di fare la fine di Morsi. Lui per il momento tace, facendo ripetere ai media di Stato che le accuse nei confronti del Qatar sono immotivate. Ma sembrerebbe una partita ancora all'inizio.