VERTICE SUGLI ABUSI

Parola d'ordine: sinodalità. Ma è una "non soluzione"

Ormai è diventata una parola magica che si usa come soluzione per qualsiasi problema: sinodalità. Ne ha parlato a lungo il cardinale Cupich, è chiaramente lo scopo che si vuole raggiungere. Come al Sinodo dei giovani. Ma si tratta di metodo, e non di contenuti.
- IL RITORNO DI O'MALLEY, di Nicola Spuntoni

Ecclesia 23_02_2019

Tutto è ormai questione di sinodalità. Tutti i problemi, anche quelli drammatici, si risolvono con la sinodalità. Solo che la sinodalità viene fatta consistere soprattutto in atteggiamenti, procedure, comunicazione più efficace, discernimento più partecipato. A leggere il testo della relazione che ieri 22 febbraio il cardinale Blase Cupich ha fatto all’incontro dei Presidenti delle Conferenze episcopali sulla protezione dei minori, l’impressione é di forma senza contenuto. Va ricordato che questo intervento è di gran lunga il più importante tra quelli che si sono succeduti in questi giorni nell’atteso vertice ecclesiale, in quanto il cardinale Cupich è stato incaricato da papa Francesco in prima persona di presiedere all’organizzazione dell’evento. L’impostazione da lui data alla problematica può considerarsi quindi ufficiale.

Il cardinale ha detto che la sinodalità renderà possibile un «penetrante discernimento» su cosa fare davanti alle violenze sui minori in quanto «darà luogo a elementi di verità, penitenza e rinnovamento delle culture»; che «solo una visione sinodale, fondata sul discernimento, conversione e riforma a ogni livello, può portare nella Chiesa un’azione globale in difesa dei più deboli»; che la sinodalità richiede l’ascolto nei confronti delle vittime; che la sinodalità deve avvalersi della testimonianza dei laici, madri e padri; che la sinodalità richiede un atteggiamento di collegialità come «scambio reciproco di mutua conoscenza allo scopo di discernere» perché «i fallimenti sistematici nel ritenere responsabili i chierici di ogni rango sono dovuti in gran parte ai difetti del modo in cui interagiamo»; la sinodalità richiede poi l’accompagnamento affinché le strutture di segnalazione, di indagine e di valutazione possano «comprendere l’esperienza e il viaggio spirituale dell’altro».

Di  fronte agli scandali che hanno orizzontalmente e verticalmente colpito la Chiesa uno si sarebbe aspettato di sentir parlare di peccato, di legge morale infranta, di disordine, di mancanza di fiducia nella Grazia di Dio, del grave problema dell’omosessualità in quanto tale e in particolare nel clero, della conformazione del sacerdote a Cristo, delle coperture e delle connivenze, della ratio delle nomine episcopali e del ruolo dei vescovi, delle esigenze pastorali oggi sovrapposte alla dottrina, dell’incertezza dottrinale circa la natura del sacerdozio, la morale evangelica e la morale naturale, degli insegnamenti distorti ricevuti nei seminari, della struttura attuale dei seminari e della formazione del clero, della vita contemplativa nella giornata del sacerdote, della preghiera nella vita sacerdotale, dell’amicizia sacerdotale tra preti, della solitudine di tanti preti.

Questi punti ora elencati sono di contenuto, mentre la relazione Cupich si è soffermata tutta su questioni di metodo. Consideriamo pure che egli abbia voluto fare solo una introduzione ai lavori e che perciò non si sia addentrato nel merito dei contenuti ma abbia voluto tracciare una cornice. Rimane però che tra la gravità senza precedenti dell’argomento in esame e le indicazioni unicamente incentrate sulla sinodalità rimane un abisso di distanza.

Molti sottolineano che la crisi non è solo morale, non è solo pastorale, è una crisi dottrinale che riguarda le essenze del sacerdozio, della Chiesa, dei sacramenti, della rivelazione in Cristo. «La sporcizia nella Chiesa» di cui parlava il cardinale Ratzinger ha cause ben maggiori delle difficoltà ad ascoltare o a comunicare, e non si risolvono con la psicologia relazionale.

Significativo che nemmeno Cupich, come i relatori che lo hanno preceduto, abbia accennato all’omosessualità in sé e a quella del clero in particolare. La cosa continua a stupire dato che bisogna voler chiudere gli occhi per non vedere che la maggioranza degli abusi è omosessuale e non eterosessuale. L’ascolto delle vittime, richiesto dal cardinale, qui non viene applicato. Sull’omosessualità è in atto un forte cambiamento dottrinale da parte della Chiesa e parlarne in questo caso potrebbe essere motivo di difficoltà per questo processo di cambiamento.

Quella proposta dal cardinale Cupich sembra confermare la tendenza oggi molto insistente verso una «sinodalità del discernimento», una «conversione sinodale» figlia delle «conversione pastorale». Come tutto è pastorale, così tutto è anche sinodale. Il sinodalismo è la nuova versione del pastoralismo. Come la pastorale precede la dottrina, anche la sinodalità precede la dottrina. Ecco perché nella relazione Cupich la dottrina non c’è, ma si parla solo di atteggiamenti e procedure: discernere, ascoltare, comunicare, interagire, partecipare, aprirsi, uscire.

Sembra quasi che il tema di questo summit sia la sinodalità e non gli abusi sui minori. Del resto anche il tema del Sinodo sui giovani è sembrato essere non i giovani ma la sinodalità. Siamo sicuri che il tema del Sinodo sulla famiglia fosse proprio la famiglia? E che il tema del prossimo Sinodo sull’Amazzonia sarà propria l’Amazzonia?