Navarro Valls: i miei 21 anni con Papa Wojtyla
"La politica o è riempita e motivata da una sana e solida visione dell’uomo o diventa un guscio vuoto e scomodo. O peggio ancora: una dittatura. Giovanni Paolo II aveva un’ “arma” unica in quegli anni prima della caduta del muro: predicare e insistere ancora sulla dignità trascendente della persona umana che ha il diritto di conformare il proprio futuro storico"
Intervista al Professor Joaquin Navarro-Valls, già direttore della Sala Stampa vaticana e portavoce di Papa Giovanni Paolo II, in occasione della canonizzazione di Karol Wojtyla, il prossimo 27 aprile 2014.
Professore, per circa ventuno anni lei è stato direttore della sala stampa della Santa Sede e portavoce di Papa Giovanni Paolo II, che fra pochi giorni la Chiesa riconoscerà ufficialmente come Santo. Quali tratti della sua persona e del suo modo di operare nella guida della Chiesa svelavano già allora la sua santità?
La sua persona era molto ricca umanamente: brillante intelligenza, memoria infallibile, capacità di lavoro straordinaria, una familiarità sorprendente con le correnti di pensiero moderne. E tutto questo, addobbato con un buon umore e una allegria profondi e ragionati. Tutto questo, e anche altro, lo vedevi “utilizzato”, in azione, quando si confrontava con persone a cui doveva illuminare o problemi che doveva risolvere. Questi tratti della sua identità personale erano innati ma erano stati arricchiti e sviluppati con il suo sforzo continuo e con l’aiuto di Dio che lui cercava di continuo. È esattamente quello che oggi chiamiamo la sua santità.
Nei suoi ventisette anni di pontificato Giovanni Paolo II impresse un ritmo ed uno stile pastorale nuovo. Tutti ricordano quella visita da Pontefice neoeletto al vescovo polacco Andrzej Deskur, suo caro amico, ricoverato al policlinico Gemelli di Roma, che destò sorpresa fra i suoi collaboratori perché improvvisa e fuori dalle “regole” del protocollo. In seguito il Papa ci avrebbe “abituato” a linguaggi, gesti, scelte innovative. Ci parli della “novità” che rappresentò il Papa polacco per la Chiesa universale.
Sono convinto che Giovanni Paolo II ha fatto irrompere l’istituzione storica del Pontificato nella Modernità con straordinaria audacia ed efficacia. Non è tanto una questione di forme esterne ma piuttosto di contenuti. Il vuoto antropologico della modernità è stato riempito con la ricchezza della concezione wojtyliana della persona umana. Viaggiando in tutto il mondo ha avvicinato il Vangelo a tutte le culture locali, dall’America Latina, alle isole del Pacifico; da Berlino ad Agrigento; da Parigi a Miami. A questa “vitalità” apostolica doveva per forza adattarsi le vecchia machina protocollare, troppo barocca, tropo formale e vuota.
Karol Wojtyla succede nel ’78 a Papa Albino Luciani: è l’avvento di una Chiesa dal respiro universale, la curia romana non sarà più il baricentro?
La curia romana è una necessità ma non un fine in se stessa. Quello che lui ha fatto è aiutare a rivolgere l’attenzione dei suoi collaboratori all’esterno della curia e non verso l’interno di essa. La Chiesa non sta più qui, in Vaticano, che ad Antofagasta, nel deserto del nord del Cile.
La grande missione pastorale di Papa Giovanni Paolo II ha avuto importanti conseguenze politiche, sui regimi comunisti dell’Est e non solo. Eppure – lei ha detto in una intervista recente – Giovanni Paolo II non aveva un progetto politico ma un “progetto umano”. Cosa intende dire?
Volevo dire che la politica o è riempita e motivata da una sana e solida visione dell’uomo o diventa un guscio vuoto e scomodo. O peggio ancora: una dittatura. Giovanni Paolo II aveva un’ “arma” unica in quegli anni prima della caduta del muro: predicare e insistere ancora sulla dignità trascendente della persona umana che ha il diritto di conformare il proprio futuro storico. Mentre Reagan in quegli anni parlava dell’ “impero del male”, Wojtyla parlava di “una Europa – di radici cristiane – dall’Atlantico agli Urali”. Ovviamente erano due linguaggi distanti. Alla fine il cambiamento enorme è avvenuto non con confronti militari ma con la crescita in umanità. Questo volevo dire quando affermavo che lui non aveva un progetto politico; aveva qualcosa di più grande: aveva un progetto umano.
Grande impulso diede Giovanni Paolo II al dialogo interreligioso: la sua dottrina chiarisce che il cristianesimo è la religione della vera comunione con Dio, ma riconosce anche gli elementi positivi delle altre religioni. Egli ha saputo dare con gesti e fatti concreti un volto e un metodo al dialogo con le altre religioni. Quale iniziativa del Pontefice lo ha colpito particolarmente?
Tutte, da quando ha depositato la sua preghiera tra le pietre del Muro del Pianto a Gerusalemme a quando è entrato nella Moschea Omayadi a Damasco.
Come Giovanni XXIII anche Giovanni Paolo II è stato un Papa “vicino” alla gente: fu lui a dare alimento alla tradizione delle visite nelle parrocchie romane e fu molto sensibile anche al tema del lavoro e dei diritti dei lavoratori. Si ricorda il sostegno al sindacato operaio Solidarność in Polonia.
Era un sostegno che aveva sempre come fondamento la visione biblica dell’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio. L’economia non è vera crescita se non produce anche sviluppo. L’economia non è solo misurabile con parametri di bilancio ma anche con parametri umani: sviluppo è maggiore aspettativa di vita; migliore qualità della vita famigliare; possibilità di educare meglio i figli; possibilità di risparmiare un poco per assicurarsi il futuro… Tutto questo formava parte del suo messaggio ripetuto ai potenti del mondo. Lui diceva che il capitalismo ha bisogno di una profonda revisione etica. Poi la storia di questi giorni gli ha dato ancora ragione.
Poi il rapporto con i giovani, che lo scelsero come padre, amico, guida spirituale: per loro decise di istituire la Giornata Mondiale della Gioventù, e loro risposero alla sua chiamata con entusiasmo e amore ancora oggi presenti. “Io vi ho cercato, voi siete venuti da me e per questo vi ringrazio” disse negli ultimi istanti in vita rivolto al popolo dei ragazzi riunito in preghiera sotto la finestra illuminata dalla sua stanza. Come spiega questo rapporto “speciale” fra i giovani e Karol Wojtyla?
Questo rapporto è, forse, una delle pagine più belle del suo Pontificato. Anche di tutti i Pontificati, perché non c’erano dei precedenti. Lui diceva ai giovani non che cosa non dovevano fare ma che cosa potevano essere. Non parlava mai dei rischi di una sessualità trivializzata, ma della bellezza dell’amore umano. Non parlava dell’ egoismo e la meschinità ma di come sarebbe stupendo un mondo dove le persone imparassero a pensare un poco di meno a se stessi e un poco di più agli altri. Apriva davanti ai giovani proprio gli orizzonti che la cultura e la educazione di oggi gli chiudevano. Era propositivo. Affermava; non negava. E i ragazzi questo lo capivano. Anzi, non avevano alle volte trovato nessuno, né in famiglia, né nella scuola, né nelle loro società che proponessero loro questi traguardi etici. E i ragazzi lo seguivano affascinati. Anzi, lo amavano perché lo avevano capito.
Infine, qual è il ricordo più bello che conserva di Papa Giovanni Paolo II?
Per adesso non riesco ancora a staccare un singolo ricordo dall’ insieme che ho vissuto con lui. Certamente, ricordo ognuno di quei momenti: nel lavoro a Roma, nei viaggi, nei giorni mentre camminavamo insieme in montagna…. Ma quelli che sono più vivi nella mia memoria sono quelli in cui sorrideva oppure rideva apertamente. Perché lui era in fondo, un uomo molto, molto allegro.