INTERVISTA

Michelet: «Amoris laetitia, coscienza e verità vanno insieme»

Le difficoltà interpretative di alcune parti dell'esortazione sono emerse da molti commenti, ma il domenicano Michelet avverte: «Non è vero che si accredita la doppia morale: la questione non è più quella di sapere soltanto se ci si trova o no in una situazione “regolare”, ma se si prende risolutamente un cammino».

 


- UN TENTATIVO DI FARE CHIAREZZA, di Antonio Livi

Ecclesia 13_04_2016
L'esortazione Amoris laetitia

Le oggettive difficoltà interpretative di alcune parti dell'esortazione Amoris laeitita sono emerse dai commenti dopo l'uscita del documento post-sinodale. Molte volte dimenticando lo spessore, anche quantitativo, di un documento che comunque ribadisce l'importanza del matrimonio e della famiglia naturale per la Chiesa e per la società civile.

«Ci sono molte belle pagine, sopratutto bibliche», dice alla Nuova Bussola Quotidiana il teologo domenicano P. Thomas Michelet, docente incaricato all'Angelicum di Roma. «Ma forse - aggiunge un po' a sorpresa - la parte che preferisco è proprio il capitolo 8 sull'accompagnamento delle situazione cosiddette “irregolari”, nonostante le difficoltà interpretative o forse proprio a causa di esse».

In che senso mi scusi?
Beh, non solo per il gusto della difficoltà, ma perchè è nella prova che si verifica la realtà del nostro amore. Ed è qui che possiamo misurare veramente come la Chiesa è Madre, esigente perché ama.

In alcuni punti sembra che Amoris laetitia possa far aumentare il rischio dell'applicazione di una doppia morale, una riferita a criteri oggettivi e l'altra, invece, soggettiva. Nascono qui i problemi interpretativi?
In effetti penso che l'esortazione apostolica post-sinodale presenti il rischio di essere interpretata in differenti maniere erronee: o in modo puramente “oggettivistico”, o in modo puramente “soggettivistico”, o in una integrazione solamente parziale dei due approcci che porterebbe ad una doppia morale. E' facile vedere che il Papa rifiuta entrambi gli estremi: il "desiderio sfrenato di cambiare tutto" senza fondamento oggettivo, e quello che “pretende di risolvere tutto applicando normative generali" a prescindere dalla prospettiva soggettiva (n 2). Tuttavia, è meno facile vedere che egli respinge anche la doppia morale. Ma questa teoria è stata condannata dalla enciclica Veritatis splendor (n. 56) e Amoris Laetitia mette in chiaro che la dottrina non è stata modificata (nn. 76, 308, etc.). Quindi, anche questo non è il modo di interpretare il testo; come qualsiasi documento magistrale deve essere letto alla luce della dottrina cattolica nel suo complesso.

Come articolare coscienza e verità in ambito morale?
I due estremi interpretativi di cui parlavamo poco fa, “oggettivista” e “soggetivista”, si ritrovano come due specie di uno stesso genere, quello della “legge morale". Nei due casi vogliamo giudicare in modo istantaneo e definitivo, sia per giustificare, sia per condannare. Nei due casi non si articola veramente la coscienza e la verità, ma si privilegia l'una a detrimento dell'altra e viceversa.

Può spiegare meglio cosa significa allora la “doppia morale”?
Nella cosiddetta “doppia morale” l'articolazione tra coscienza e verità è solo apparente. Si presenta la verità oggettiva espressa nella legge come un ideale senza dubbio molto bello, ma impossibile da raggiungere salvo per gli eroi e per i santi. Quindi si propone una morale della “sostituzione”, ritenuta essere più vicina alla realtà, che adatta le piene esigenze del Vangelo a quello che la gente può vivere in concreto. Questa morale a doppia velocità corrisponde a quella “gradualità della legge” che è espressamente scartata da Amoris laetitia (n°295).

Quindi, a suo parere, qual'è il modo per articolare la coscienza personale con la verità, l'ambito soggettivo con quello oggettivo?
L'unico modo per articolare coscienza e verità in modo autentico è di situarsi nel quadro della morale della virtù e della “legge della gradualità” sviluppata da Giovanni Paolo II e ripresa anche in Amoris laetitia (nn. 293-295). Noi non giudichiamo l'agire in modo statico, ma consideriamo il suo dinamismo nel tempo. La questione non è più quella di sapere soltanto se ci si trova o no in una situazione “regolare”, ma se si prende risolutamente un cammino. La coscienza viene così ad essere integrata come il punto di partenza per l'accompagnamento, anche se non è il punto di arrivo. In effetti, essa deve essere anche chiarita e rettificata, in una maturazione alla luce della Parola di Dio (n. 303). In modo che la legge venga integrata come ciò che presenta la verità oggettiva delle esigenze del Vangelo. La legge deve essere l'orizzonte dell'agire che dobbiamo cercare di raggiungere effettivamente, anche se questo può necessitare di tempo e tappe di conversione. E' quello che Papa Francesco chiama i “piccoli passi” (n 271), che si trova già in Evangelii gaudium (n 3 e 44).

L'orizzonte è quello della “salvezza delle anime”, come ricorda anche l'esortazione Amoris laetitia?
In effetti, la beatitudine a cui siamo chiamati non è una felicità secondo il mondo e alla nostra portata, ma è la vita stessa di Dio, egli vuole condividerla con noi e ci dà i mezzi della grazia per raggiungerla. Se Dio è amore e Dio è luce, quindi il percorso per raggiungere la salvezza non può essere che l'amore e la verità.