IL REGISTA

Lumet, un rivoluzionario contro la legge naturale

Sidney Lumet si è impegnato efficacemente per distruggere nelle menti degli uomini la legge naturale. Dal suo debutto con La parola ai giurati alle varie trasgressioni contro i dieci comandamenti (soprattutto il sesto) di Uno sguardo dal ponte, da Quel pomeriggio di un giorno da cani a Quinto potere, i film del regista statunitense sono stati dedicati alla diffusione della Rivoluzione.

Cinema e tv 14_07_2021

Non accadrà mai, ovviamente. Eppure, se qualcuno mi chiedesse chi è, secondo me, il regista più rivoluzionario, colui che più si è impegnato ed è stato più efficace nel distruggere nelle menti degli uomini la legge naturale, non avrei dubbi: Sidney Lumet (1924-2011).

Il suo debutto come regista è del 1957, con la pellicola La parola ai giurati (12 Angry Men), nella quale dirige in modo stupefacente la star Henry Fonda (che, per la prima e unica volta nella sua vita, ha anche prodotto il film). Si tratta di un legal thriller intenso e appassionante, girato quasi interamente in un’unica stanza con soluzioni tecniche davvero incredibili da parte di un esordiente. Il livello della regia è davvero elevato, peccato che… sia mancato in molte delle pellicole successive. La storia è piuttosto semplice: dodici giurati, con personalità e storie assai diverse tra loro, devono giudicare un giovane imputato di parricidio. Il personaggio interpretato da Fonda (il giurato numero 8) riesce, con colpi di scena, artifici dialettici e qualche tecnica di manipolazione, a far rilasciare l’imputato; non perché dimostra che sia innocente, ma perché i giurati non riescono a dimostrarne la colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio. Apparentemente, il film riguarda la capacità del singolo, se determinato e in grado di utilizzare qualche abile trucchetto, di far cambiare idea alla maggioranza. Vero; ma forse c’è un altro tema che percorre la sceneggiatura, sottotraccia, appena percepito. Un tema che diventerà chiaro guardando, in prospettiva, il seguito dell’opera del regista.

Nel 1960, Lumet, dirige un altro film iconico, intitolato Pelle di serpente (The Fugitive Kind), che ha come protagonista un’altra star di Hollywood: Marlon Brando. Il personaggio interpretato da Brando è un outsider, un chitarrista giramondo che se ne va in giro con una giacca di pelle di serpente. Arriva in una piccola cittadina di campagna e trova lavoro presso un negozio. Il proprietario, individuo vizioso e irascibile, è costretto a letto; la moglie, che dirige l’attività, ha in passato subito pregiudizi e discriminazioni e simpatizza subito con «Pelle di serpente», al punto di proporgli di lavorare come commesso. La cosa funziona: «Pelle di serpente» attira un enorme pubblico femminile, affascinato dal personaggio bello, giovane e forte, misterioso e anticonformista. La cosa, però, non piace ai mariti delle donne, che cominciano a sviluppare diffidenza e odio nei confronti dello straniero. In effetti, «Pelle di serpente» e la datrice di lavoro iniziano una relazione sessuale sotto il naso ma all’oscuro del marito. Lei rimane incinta e, quando il marito lo scopre, le spara e dà il negozio alle fiamme. «Pelle di serpente» tenta di fuggire dal rogo ma gli abitanti del villaggio lo costringono a rientrare e, quindi, a morire bruciato. Il giorno dopo, una giovane donna (ovviamente innamorata di «Pelle») trova un brandello della famosa giacca pitonata; lo prende con sé, come una reliquia, e decide di partire per la città, lasciando quel luogo razzista, moralista e maschilista.

Nel 1962 dirige Uno sguardo dal ponte (Vu du pont), con un magnetico Raf Vallone che, con questa pellicola, vinse il David di Donatello. Pur essendo una produzione italo-francese, il film è ambientato nella comunità italiana di Brooklyn, negli Stati Uniti. Sembra incredibile, ma Lumet è riuscito a concentrare in questa pellicola tutte le trasgressioni possibili ai dieci comandamenti, il sesto sopra a tutti: c’è l’adulterio, l’incesto, l’omosessualità… la delazione, l’omicidio e il suicidio. Italiani (cattolici), brava gente.

Due anni dopo, Lumet gira uno dei film più importanti per la storia del cinema statunitense… e non per meriti tecnici. Facciamo un passo indietro. Nel 1934 l’arcivescovo di Cincinnati, John T. McNicholas, promosse la nascita della Legion of Decency, dedita a vigilare sulla moralità dei film hollywoodiani. Uno dei risultati più importanti di questa organizzazione fu la proposta di un codice di autoregolamentazione (il «Codice Hays») che venne accettato da tutte le major (pena, il boicottaggio assoluto da parte dei milioni di cattolici statunitensi). Il codice venne accantonato a partire dal 1964, proprio a causa di un film di Lumet: L’uomo del banco dei pegni (The Pawnbroker). La sceneggiatura, poco interessante, ci presenta la figura di un sopravvissuto ai campi di sterminio nazista (interpretato da Rod Steiger) e della sua riconciliazione con il mondo. La pietra dello scandalo, tuttavia, è rappresentata da diversi nudi femminili integrali, giustificati come ricordi del passato dell’uomo del banco dei pegni. Si creò un cortocircuito (in termini psicologici: una dissonanza cognitiva): censurare la visione del film sarebbe stato etichettato come antisemitismo; non censurarlo avrebbe significato infrangere il Codice Hays. Non venne censurato e, da lì in poi, il Codice (e la morale cattolica) divenne totalmente irrilevante.

Nel 1975 esce Quel pomeriggio di un giorno da cani (Dog Day Afternoon), con un giovanissimo Al Pacino che Lumet aveva già diretto in Serpico (1973). È la storia di Sonny, rapinatore imbranato e decisamente sfortunato che tenta una rapina dall’esito disastroso; alla fine, lui viene arrestato e il suo complice ucciso. La folla simpatizza per il rapinatore e fa il tifo per lui. Come avviene molto spesso nei film di Lumet, la simpatia va all’outsider, indipendentemente dalla moralità delle sue azioni. Lo spunto interessante, che ha tutta l’aria di essere il marchio di fabbrica di questo regista, è la motivazione della rapina: Sonny aveva bisogno di denaro per pagare l’operazione per il cambio di sesso del suo fidanzato Leon; per Leon, infatti, aveva lasciato la moglie e i figli.

L’anno seguente esce Quinto potere (Network). Howard Beale è un telecronista di successo ma, ad un certo punto della sua carriera, le cose cominciano ad andare male: la moglie muore e i suoi ascolti calano, al punto che l’emittente pensa di licenziarlo. Beale annuncia, quindi, in diretta, che il giorno seguente si suiciderà in diretta; viene licenziato immediatamente, ma gli ascolti hanno un picco incredibile. I dirigenti televisivi decidono di sfruttare le disgrazie di Beale e di trasformarlo nel «pazzo profeta dell’etere»: Beale avrà la possibilità di vomitare in diretta tutto il suo disgusto per il sistema americano e per l’industria televisiva, potrà sfogare la sua frustrazione senza censure. Gli ascolti schizzano e i dirigenti televisivi sono orgogliosi della geniale trovata. Dopo un po’, tuttavia, il pubblico si stanca, si annoia e comincia a cambiare canale: il «pazzo profeta dell’etere» non fa più audience. I dirigenti decidono di chiudere la trasmissione, ma vogliono sfruttare fino all’ultimo la popolarità di Beale e organizzano per lui un’uscita di scena clamorosa: assoldano dunque due killer che sparano all’anchorman in diretta televisiva. Il film si chiude con una voce fuori campo che commenta: «Questa è la storia di Howard Beale, il primo caso conosciuto di un uomo che fu ucciso perché aveva un basso indice di ascolto».

Apparentemente dedicato all’influenza che la televisione ha sulla nostra società, anche questo film di Lumet offre una chiave di lettura meno superficiale. La pellicola contiene un monologo stupefacente e illuminante declamato da un dirigente televisivo: «Lei ha osato interferire con le forze primordiali della Natura, signor Beale! E io non lo ammetto! È chiaro?! Lei crede di aver solo fermato una trattativa di affari, ma invece non è così. Gli arabi hanno portato miliardi di dollari fuori da questo paese e ora ce li devono riportare. È il flusso e riflusso, l’alta e bassa marea, è il giusto equilibrio ecologico. Lei è un vecchio che pensa in termini di “nazioni” e di “popoli”. Non vi sono nazioni, non vi sono popoli; non vi sono russi, non vi sono arabi; non vi sono Terzi Mondi, non c’è nessun Ovest. Esiste soltanto un unico, un solo sistema di sistemi: uno, vasto e immane, interdipendente, intrecciato, multivariato, multinazionale, dominio dei dollari. Petroldollari, elettrodollari, multidollari, reichsmark, sterline, rubli, franchi e shekel! È il sistema internazionale valutario che determina la totalità della vita su questo pianeta. Questo è l’ordine naturale delle cose, oggi. Questa è l’atomica e subatomica e galattica struttura delle cose oggigiorno. E lei ha interferito con le primordiali forze della natura! E lei dovrà espiare! Capisce quello che le dico, signor Beale?». Quinto potere è forse una denuncia? Piuttosto… un avvertimento: chi osa interferire con le forze primordiali della natura (cioè il dominio dei dollari) finisce molto male.

Lumet ha diretto altri film interessanti da questo punto di vista, ma lo spazio è tiranno. In sintesi, ecco una carriera interamente dedicata, con un certo successo, alla diffusione della Rivoluzione.