LA GRANDE MEDIAZIONE

Lo sguardo di un Papa che non ebbe paura di nulla

Non furono i media, vecchi e nuovi, ad appropriarsi di Giovanni Paolo II: fu lui a usarli sempre al servizio di una comunicazione più grande.

Culture 30_04_2011
Il Papa e la tivù

Sono le 19,20 del 16 ottobre 1978 quando Giovanni Paolo II esce sulla loggia centrale della Basilica vaticana per il primo saluto e la benedizione ai fedeli. Le sue parole restano nella storia: «Non so se posso bene spiegarmi nella vostra… nostra lingua italiana. Se mi sbaglio mi corrigerete». La sintassi e il latinismo finale strappano un affettuoso sorriso alla folla in piazza e ai milioni e milioni di persone collegate in diretta con il primo discorso di Karol Wojtyla da pontefice.

La frase diventa il biglietto da visita di un Papa che fin dall’inizio della sua missione sceglie di compiere il proprio mandato di evangelizzazione stando in mezzo alla gente e parlando il linguaggio del popolo, un linguaggio che sempre più, durante il lungo pontificato di Giovanni Paolo II, passa attraverso i media. Gli strumenti del comunicare vivono in quegli anni un’evoluzione inarrestabile e progressiva e lui instaura con essi un rapporto nuovo.

Sono soprattutto i suoi gesti a tracciare la nuova via, a partire dal “fuori programma” che lo vede protagonista il 22 ottobre, durante la cerimonia che dà ufficialmente inizio al pontificato: dopo aver invitato i fedeli a spalancare le porte a Cristo senza paura, improvvisamente Giovanni Paolo II lascia il sagrato, scende le scale della basilica di San Pietro e, impugnando il Crocifisso, va ad abbracciare un gruppo di persone disabili. È il primo di una lunga serie di comportamenti che escono dal cerimoniale tradizionale e riescono a comunicare più di mille parole: baciare la terra all’arrivo in ogni luogo, abbracciare i poveri, carezzare i bambini, sorridere a giovani e anziani, indossare accessori e copricapi caratteristici delle terre che lo accolgono, usare i mezzi di trasporto più diversi...

Sono i gesti raccontati e rilanciati dai media a fare di Giovanni Paolo II un grandissimo comunicatore, capace di entusiasmare i fedeli, di catturare lo sguardo dei “lontani”, di imporsi all’attenzione delle testate di tutto il mondo con semplicità ed efficacia. Questo nuovo rapporto con gli strumenti della comunicazione gli permette di dialogare con le attese e le speranze dei fedeli in modo nuovo, spinto dal desiderio irrefrenabile di ricomporre l’unità della Chiesa a partire dalla condivisione di un linguaggio che vuole essere universale.

I media colgono immediatamente la potenza comunicativa di Papa Wojtyla e… non se la lasciano sfuggire: lo inseguono, gli stanno intorno, approfittano di ogni spazio che il Papa concede loro. E lui sfrutta ogni occasione utile per diffondere il suo messaggio: dialoga con i giornalisti durante i suoi viaggi in aereo, rilascia interviste fuori programma, ospita telecamere e microfoni anche nei luoghi del suo privato, (ri)chiamando così i media a farsi strumenti dell’evangelizzazione. La copertura mediatica cresce esponenzialmente quando compie uno dei gesti più significativi, recandosi a visitare in carcere - e a perdonare - Ali Agca, il giovane squilibrato che aveva attentato alla sua vita a colpi di pistola.

Spesso la sua azione attraverso i mezzi di comunicazione sorprende, come quando interviene con una telefonata in diretta televisiva durante una puntata speciale di Porta a porta dedicata ai suoi vent’anni di pontificato, riuscendo ad ammutolire perfino il navigato padrone di casa Bruno Vespa. Non stupisce che nel 1985 il settimanale Time gli abbia dedicato la copertina come “uomo dell’anno”.

Più di tutti i suoi predecessori, ha saputo incarnare la figura del grande comunicatore, guardando con estrema attenzione anche agli strumenti di nuova generazione come il computer e internet. Non solo Papa Wojtyla non si è spaventato di fronte alla potenza talvolta negativa dei new media, ma addirittura si è pienamente inserito nella rivoluzione tecnologica, utilizzandone tutte le potenzialità nella prospettiva dell’annuncio. Per lui Internet è un nuovo spazio pubblico che può offrire informazioni in modo più diretto, può avvicinare i giovani all’incontro col messaggio cristiano, può favorire il dialogo e la cultura della pace.

Anche con i nuovi strumenti sceglie la strada dell’incontro diretto. Nel marzo 1990 visita gli stabilimenti della Olivetti e, di fronte ai computer in fase di assemblaggio, commenta: «Capisco cosa vuol dire la parola computer, ma non so bene quale realtà vi sia dietro». Nel novembre 1998, l’Università Luiss dona al Papa 50 computer per gli studenti dell’Africa e dei Paesi dell’Est europeo e lui, rompendo l’austero clima della cerimonia, confessa: «Il computer ha un po’ cambiato il mondo e certamente ha cambiato la mia vita».

La confidenza col nuovo mezzo diventa definitiva nel novembre 2001, quando la sua salute lo costringe a rinunciare al viaggio in Oceania e allora si avvale della tecnologia: tramite un computer collegato a Internet invia alle conferenze episcopali di quel continente l’esortazione post-sinodale, che diventa così il primo documento pontificio promulgato via web.

Il magistero e la riflessione teologica hanno accompagnato e rafforzato il rapporto fra Giovanni Paolo II e i media, trovando spazio in numerosissimi documenti. Come il Papa ha scritto nella Redemptoris missio, i mezzi di comunicazione sociale sono «il primo areopago del tempo moderno». Per questo «non basta usarli per diffondere il messaggio cristiano e il magistero della Chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa nuova cultura creata dalla comunicazione moderna».

È ciò che Giovanni Paolo II ha fatto e che tutti noi, oggi più che mai, siamo chiamati a ricordare e a mettere in pratica.