Lo “scandalo” di Ratisbona: un inno al logos
Il discorso di Ratisbona fu bollato come un discorso sull’islam, ma era una lettura fuorviante. In realtà fu una vera e propria bomba che mandava a mare gli sforzi di cinque secoli di fior fiore di intellettuali moderni (cioè anticristiani). Fu un discorso sul logos perché non agire “con il logos” è contrario alla natura di Dio.
Papa Benedetto ha finalmente incontrato il suo amato Gesù; è l’occasione per ripensare al suo magistero e al ruolo che ha svolto in questi anni.
Personalmente, sono convinto che l’obiettivo principale del pontificato di papa Benedetto sia stato quello di chiudere ferite e polemiche nate con il Concilio Vaticano II. In più occasioni si è speso per chiarire, specificare, dirimere questioni suscitate da ambiguità del testi dell’ultimo concilio (l’enciclica Dominus Jesus, i Responsa, la formula della «ermeneutica nella continuità»…).
Resta il fatto che – sempre a mio modesto parere – la vetta dell’insegnamento di papa Benedetto sia stata il celebre e famigerato discorso di Ratisbona. Discorso capitale anche per i tentativi fatti di fornirne una chiave di lettura polemica e fuorviante. Ripercorriamo brevemente le polemiche per poi concentrarci sui reali contenuti.
Nel settembre del 2006, in occasione di un viaggio apostolico in Germania, papa Benedetto tenne un discorso presso l’aula magna dell’Università di Ratisbona. Il discorso conteneva una frase dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo: «Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava». Maometto viene citato in una sola frase in un discorso di quasi quattromila parole che parla di tutt’altro; una frase che è di un altro autore, non di Benedetto XVI. Eppure, per questa citazione, scoppia la polemica: il papa critica l’islam, getta benzina sul fuoco, aizza gli estremisti islamici, insulta Maometto. Queste (false) accuse vengono da parte musulmana? Assolutamente no, considerato che il Presidente della Repubblica Islamica dell’Iran (tanto per dire) ha assunto, a riguardo, una posizione ragionevole: «Noi rispettiamo il Papa e tutte le persone interessate alla pace e alla giustizia. Da quanto ho potuto sentire il Papa ha detto che le parole da lui pronunciate sono state male interpretate». Ma allora chi ha voluto montare questa polemica pretestuosa, e perché?
Per quanto riguarda la prima domanda, la risposta è semplice: i soliti ambienti laicisti e anticlericali. Repubblica, ad esempio, che dà ampio risalto, per diversi giorni, al «discorso sull’islam», ma non solo. In uno dei suoi soliti editoriali, Eugenio Scalfari fornisce ai suoi lettori una chiave di lettura ancora più fuorviante del discorso di Ratisbona. Il papa avrebbe detto che «non c’è un solo Dio», che «Dio è una proiezione del pensiero dell’uomo», che Dio si sarebbe allontanato dalla creazione «affidandone l'evoluzione alla natura "intelligente"».
Veniamo ora alla seconda domanda: perché? Perché sforzarsi di alimentare una polemica di tale portata? O meglio: perché fornire una chiave di lettura («un discorso sull’islam») fuorviante su questo discorso? Semplice: perché questo discorso – una vera e propria bomba – manda a mare gli sforzi di cinque secoli di fior fiore di intellettuali moderni (cioè anticristiani). Il discorso di Ratisbona è, infatti, un discorso sulla ragione; e parla del cristianesimo come della religione della ragione. Vediamo nel dettaglio i punti salienti del discorso.
Il discorso di papa Benedetto si apre con la famosa citazione che lui stesso definisce «così pesante»; poi prosegue, utilizzando ancora le parole dell’imperatore per arrivare al punto della questione: «Dio non si compiace del sangue, non agire secondo ragione, “con logos”, è contrario alla natura di Dio». E prosegue: «La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia. Modificando il primo versetto del Libro della Genesi, il primo versetto dell’intera Sacra Scrittura, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: “In principio era il Logos”. È questa proprio la stessa parola che usa l'imperatore: Dio agisce con logos. Logos significa insieme ragione e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice l'evangelista. L'incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso. La visione di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell'Asia e che, in sogno, vide un Macedone e sentì la sua supplica: “Passa in Macedonia e aiutaci!” (cfr. At 16, 6-10) – questa visione può essere interpretata come una “condensazione” della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l'interrogarsi greco».
L’incontro tra il Vangelo e il pensiero greco è, dunque, provvidenziale ed è fondamentale per la storia della salvezza. Aggiunge, infatti, Benedetto: «Oggi noi sappiamo che la traduzione greca dell'Antico Testamento, realizzata in Alessandria – la “Settanta” –, è più di una semplice (da valutare forse in modo addirittura poco positivo) traduzione del testo ebraico: è infatti una testimonianza testuale a sé stante e uno specifico importante passo della storia della Rivelazione, nel quale si è realizzato questo incontro in un modo che per la nascita del cristianesimo e la sua divulgazione ha avuto un significato decisivo. Nel profondo, vi si tratta dell'incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall'intima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero greco fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire “con il logos” è contrario alla natura di Dio».
È l’esatto contrario della vulgata moderna, per cui la religione e la ragione sarebbero in contrasto; il pensiero moderno equivarrebbe al trionfo della ragione (l’illuminismo) sulla religione, la superstizione e la paura.
Ma non è ancora finita. La provvidenza ha portato il Vangelo da Gerusalemme ad Atene e poi a Roma: «Il qui accennato vicendevole avvicinamento interiore, che si è avuto tra la fede biblica e l'interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale – un dato che ci obbliga anche oggi. Considerato questo incontro, non è sorprendente che il cristianesimo, nonostante la sua origine e qualche suo sviluppo importante nell'Oriente, abbia infine trovato la sua impronta storicamente decisiva in Europa. Possiamo esprimerlo anche inversamente: questo incontro, al quale si aggiunge successivamente ancora il patrimonio di Roma, ha creato l'Europa e rimane il fondamento di ciò che, con ragione, si può chiamare Europa».
Questo discorso, in punta di ragionamento, fa piazza pulita di cinquecento anni di bugie sulle quali si fonda la modernità; da qui l’esigenza di distogliere l’attenzione della gente dal suo contenuto. Ecco, quindi, la necessità di scatenare la polemica, di etichettare questo discorso come «sull’islam» e «contro l’islam». Così, infatti, questo discorso è passato alla storia.
Cerchiamo, quindi, di rimediare. Innanzitutto leggendolo, rileggendolo e diffondendo la buona notizia: Gesù è il Logos incarnato, l’origine e il fine di tutto, il senso di tutto. Forse è per questo che le ultime parole di papa Benedetto sono state «Gesù, ti amo».