Le stragi di profughi di cui non si parla
L'Europa è solo una (ed è la più lontana) delle mete dei migranti africani. A milioni si muovono entro il continente nero, in baraccopoli e campi profughi. I disperati attraversano il Golfo di Aden diretti in Yemen, dove li attendono morte, schiavitù e violenza.
Dopo aver visto in un precedente articolo la situazione dei paesi da cui scappano coloro che poi arrivano dopo un lungo viaggio sulle coste italiane, in questa seconda tappa affrontiamo il viaggio interno all'Africa e l'attraversamento del Golfo di Aden, un'avventura ben più pericolosa dell'attraversamento del Mediterraneo.
Gli sbarchi sulle coste italiane sono una tappa di uno dei percorsi migratori lungo i quali milioni di africani si spostano ogni anno. Quasi sempre partono dalle campagne, dove ancora vive la maggioranza della popolazione del continente, e si dirigono verso le città. Secondo UN-Habitat, l’agenzia delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani, quello africano è il processo di urbanizzazione più rapido del mondo: di questo passo, nel 2050 il 60% degli africani vivranno in città ed entro il 2030 in Africa sub-sahariana la popolazione urbana sarà raddoppiata. Intanto, però, i settori economici moderni crescono a mala pena, il lavoro manca e perciò, stabilitisi nei centri urbani, molti emigranti vivono di espedienti e di attività del settore informale ammassandosi negli slums.
L’Africa detiene infatti anche il non invidiabile primato di essere il continente con il maggior numero di persone residenti in slums: più di 200 milioni, pari a circa un quinto della popolazione totale. Nasce così il progetto di emigrare in altri paesi e in altri continenti in cerca di lavoro o comunque di una vita migliore. È il fenomeno dei profughi economici, così chiamati per distinguerli dagli emigranti in fuga dai regimi repressivi e dai conflitti. Gran parte di questi ultimi o non riescono a superare i confini nazionali – sono gli sfollati – o concludono il loro viaggio nei paesi vicini, in qualche campo profughi. Quelli allestiti nell’Est della Repubblica Democratica del Congo nel 1994, per accogliere gli Hutu in fuga dal Rwanda dopo il genocidio dei Tutsi, ne ospitarono più di due milioni. Il campo di Dadaab, nel nord del Kenya, attualmente il più grande del mondo, assiste circa mezzo milione di profughi quasi tutti somali.
Uno dei percorsi migratori più seguiti è quello che porta dal Corno d’Africa (Somalia, Etiopia, Gibuti ed Eritrea) allo Yemen. Per raggiungere questo paese, gli emigranti affrontano la pericolosa traversata del golfo di Aden trasportati da scafisti che, per evitare la guardia costiera, li costringono a gettarsi in acqua spesso a notevole distanza dalla terra ferma: per ciò molti muoiono annegati o divorati dagli squali di cui quelle acque sono infestate. Malgrado i rischi elevati, da sei anni il numero di arrivi non fa che aumentare. Nei primi sei mesi del 2013 sono entrati nel paese più di 46.000 africani. Nel 2012 è stata raggiunta la cifra record di 107.000 ingressi. Nel 2011 ne erano approdati 103.000. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati stima che dal 2006 abbiano attraversato il Golfo di Aden alla volta dello Yemen quasi mezzo milione di emigranti, metà dei quali somali a cui è automaticamente riconosciuto lo status di rifugiati. Di recente però è andato crescendo il numero degli emigranti dall’Etiopia che quest’anno, per la prima volta, hanno superato i somali costituendo circa l’84% del totale.
Una volta sbarcati, i nuovi arrivati, a meno che non abbiano qualcuno ad attenderli, vengono confinati in campi dove aspettano anche per mesi che qualcuno si occupi di loro. Altri, sempre più di frequente, vengono rapiti a scopo di ricatto o di estorsione. Altri ancora finiscono nelle mani di trafficanti che li costringono a lavorare in condizioni di schiavitù. Lo scorso aprile nel Nord del paese le autorità yemenite ne hanno liberati 1.620, inclusi 62 bambini. Affidati a Medici Senza Frontiere, MSF, su quasi tutti sono stati trovati segni di torture, abusi fisici e violenze sessuali. Ad alcuni erano state addirittura strappate le unghie o tagliata la lingua. Molti, a causa delle pessime condizioni abitative e di lavoro, sono risultati affetti da polmonite, malaria, dengue e altre gravi malattie.
Nei centri di transito, in cui sostano gli africani che dallo Yemen intendono emigrare in Arabia Saudita, la situazione non è molto migliore: «Siamo estremamente preoccupati per il futuro di migliaia di migranti bloccati nello Yemen e, in particolare, a Haradh, con un’assistenza molto limitata» spiega Tarek Daher, capo missione di MSF in Yemen. Quelli che per qualche motivo non riescono a varcare la frontiera finiscono prima o poi per ritrovarsi senza mezzi di sussistenza: «Sono esausti, dopo i tanti tentativi di attraversare il confine, e senza risorse; la maggior parte di loro chiede l’elemosina per le strade di Haradh. Cercano di sopravvivere, e non dispongono di ripari decenti, servizi igienico-sanitari o pasti regolari».
La sorte più disperata tocca a quelli che vengono rimpatriati. Per gli eritrei equivale quasi a una condanna a morte.