L'EDITORIALE

La sete d'Assoluto che porta alla Gmg

A sette giorni dall'inizio della giornata mondiale della gioventù di Madrid milioni di giovani, impantanati nella cultura del divertimento e della libertà, si preparano al viaggio carichi di domande sul senso della vita. In cerca della Verità.

Editoriali 09_08_2011

I giovani sono merce appetibile. Inutile negarlo: tutto quello che deve essere venduto, dagli abiti ai telefonini, dall’alcool alla droga, è confezionato perché possano esserne, i giovani, il volano per tutte le altre fasce d’età. Chi ha ormai valicato gli anta si affanna a fermare il tempo diventando, spesso, una ridicola caricatura di un giovanilismo che farebbe ridere se non facesse, in realtà, piangere. D’altro canto il tempo scorre e allora ecco che si apre l’altra grande fetta di mercato: quella dei vecchi (ma guai a chiamarli così… la vecchiaia non esiste più): pillole e carrucole per prolungare una improbabile virilità per illudersi di essere, ancora, giovani. Questi sono appetibili al mercato e dato che nel tempo del relativismo l’unico dio restato in piedi sembra essere questo, essere giovani significa diventare merce di scambio per altri beni di scambio.

Ma dentro questa macchina infernale – dove infernale va preso alla lettera – loro, i ragazzi e le ragazze che affollano i rave party, le chiese, le discoteche, i meeting, i centri commerciali, che si affannano alla ricerca di un lavoro o semplicemente che vegetano sulle spalle di compiacenti genitori, insomma, i giovani in tutte le loro infinite declinazioni, chi sono? Cosa cercano? La giovinezza è l’età nella quale ci si protende in avanti e in profondità, o quella nella quale le energie intatte permettono di vivere qualunque piacere?

La risposta a queste domande ha fatto la fortuna di sociologi, psicologi, tuttologi che si sono ingrassati a forza di scrivere e pontificare di una generazione senza valori, senza desideri, senza aspirazioni, senza punti di riferimento. Gli stessi però che propugnano una libertà scevra da ogni verità, che sposano un sentimentalismo melenso, un soggettivismo emotivo e pulsionale e annunciano trionfanti l’ultimo traguardo dei paesi civilizzati, come un divorzio lampo e altre perle simili. Non hanno il coraggio, questi sacerdoti laici, perbenisti e moralisti fino al midollo, di accostare come a causa ed effetto le loro convinzioni con le loro analisi. I giovani sono quello che gli adulti permetteranno loro di essere. Punto e basta. Adulti che si sono sbarazzati di ogni argine, giovani smarriti simili a stranieri in un paese nel quale non si conosce lingua e usi. La vita per molti ragazzi è proprio così: un luogo all’apparenza infinito nel quale cogliere ogni capriccio, asfissiante, in ultimo, per abbondanza di libertà e senza segnali indicatori: giovani affetti da agorafobia spirituale e psichica.

Siamo in pieno dramma: dramma sia come storia, come trama di azioni che si dipanano, sia nel senso della linea di dolore che vi è sottesa. La società spinge i suoi figli all’auto-refenzialità (una sorta di città dei ragazzi), eppure chi non si arrende alle sirene di morte, chi non cede al giovanilismo, è capace di scorgere qualcosa di irriducibile che nessuna cultura del sospetto può sradicare. Resta impresso nel DNA di ogni uomo, di ogni donna che viene al mondo, la nostalgia dell’Assoluto e, più in particolare, è indistruttibile quella realtà di coscienza che testimonia come l’identità primigenia di ciascuno sia l’essere figlio.

Ogni uomo cerca il Padre che è anche il sostegno ultimo di tutte le cose: verità, bontà, bellezza, vita. Ogni uomo, cerca padri (maestri) che sostengano la propria vita, segnali di direzione, di senso, capaci di brillare come costellazioni  nella navigazione della vita. Più di venti anni con i giovani, ad ascoltarli, accompagnarli, incoraggiarli, correggerli, senza dimenticare un attimo la mia, di gioventù, mi hanno convinta che quello che i giovani cercano caparbiamente, e spesso inconsapevolmente e tragicamente, sono adulti significativi, adulti, appunto. Le domande che bruciano nei ragazzi sono serie: quelli che appassiscono nei centri commerciali o che si sballano ai rave, quelli che sono imbevuti di edonismo e di superficialità, quelli che cercano onestamente di costruirsi un futuro e quelli del malaffare; tutti, nessuno escluso, pensano di rispondere a modo loro alle stesse domande di senso, Chi sono? Da dove vengo? Qual è il mio fine? Dove andrò? Insomma questa generazione non ha dimenticato le domande radicali, solo che spesso non sa neppure di averle, non è capace neppure di formularle con un alfabeto cosciente dato che si trova immersa in un tempo dove tutto concorre all’oscuramento delle coscienze, all’oblìo dell’umano. Resta vero infatti, che il primo servizio da rendere ai ragazzi consiste proprio nel farli coscienti di avere desideri e domande, ma quando incontrano qualcuno che è dentro lo spessore della vita, che con la propria vita dice la verità che cercano, spesso senza neppure averlo tematizzato, allora sono capaci di riconoscerlo e di sceglierlo come maestro: direi che una generazione privata del principio di verità, privata dei padri, cerca, invece, disperatamente, padri.

Cosa hanno trovato in Giovanni Paolo II quei giovani che magari  non hanno mai visto una chiesa da dentro? E cosa muove quelli che si stanno preparando a partire per ascoltare le parole, per incontrare un vecchio papa ottantenne? Cercano, e trovano un padre, la radice della stabilità e dell’autorevolezza che è il riverbero della stabilitas  di chi ha cercato e trovato la verità. Fatti per l’Assoluto, i giovani hanno bisogno della mediazione umana della paternità per potervi arrivare. Da adulti, da cristiani, questo è il debito che abbiamo nei loro confronti.