NOTTINGHAM

Indi Gregory, otto mesi, l’ultima vittima del “fine vita” inglese

Ascolta la versione audio dell'articolo

Affetta da rara malattia genetica degenerativa, sarà fatta morire oggi, 30 ottobre, a meno che venga accolto l’estremo ricorso per farla trasferire in Italia, al Bambin Gesù di Roma.

Life and Bioethics 30_10_2023 English

La porta girevole dei casi di fine vita intentati dagli NHS Trust (enti di amministrazione degli ospedali) nel Regno Unito contro persone considerate “non idonee a vivere”, non smette mai di girare. Quindi, esce Sudiksha (ST), la 19enne lasciata morire lo scorso 16 settembre, ed entra la piccola Indi Gregory di otto mesi. Questo è il nome dell'ultima vittima rimasta intrappolata tra gli ingranaggi di un sistema che garantisce la vittoria assoluta ai medici nel 99,9% dei casi che finiscono in tribunale. E anche se ogni caso è unico, il risultato è tristemente coerente: i pazienti malati entrano vivi in ospedale e ne escono morti, di solito per soffocamento, per volontà dei medici curanti e con il consenso dei tribunali.

Lunedì 30 ottobre, oggi, è la data fissata per l'“esecuzione” di Indi Gregory con la rimozione del ventilatore che le permette di respirare, a meno che l’ospedale di Nottingham accetti la lettera firmata ieri a tarda sera dell'Ospedale Pediatrico vaticano Bambin Gesù di Roma, ottenuta dall'avvocato italiano Simone Pillon, in cui offre di prendersi cura di Indi. Gli avvocati inglesi che rappresentano la famiglia Gregory, hanno quindi potuto indirizzare nella notte un urgente e disperato appello ai giudici per chiedere il suo immediato trasferimento in Italia e bloccare quindi la sospensione dei sostegni vitali per Indi. Ma, considerando che richieste simili non sono mai state accolte per casi analoghi in passato, ci vorrà un miracolo per salvare Indi da morte certa.

Indi è la bambina di otto mesi che si muove al ritmo della popolare canzone natalizia Twinkle Twinkle Little Star nel video che trovate in questa pagina. I suoi genitori, Dean Gregory e Claire Staniforth, del Derbyshire, hanno registrato questo momento venerdì scorso, quando era chiaro che sarebbero state le ultime preziose ore di vita che avrebbero trascorso con la loro bambina al Queen's Medical Center di Nottingham. In base alla decisione dei giudici, all’alba di lunedì 30 ottobre i medici di Indi saranno liberi di applicare il protocollo medico che ne causerà la morte. Indi probbailmente non vivrà abbastanza per vedere il suo primo Natale.

Indi Gregory è nata il 24 febbraio 2023, affetta da una malattia genetica degenerativa estremamente rara nota come sindrome da deplezione del DNA mitocondriale (MDS). La malattia impedisce alle cellule di produrre energia sufficiente per sostenere il corpo. Fin dalla sua nascita, Indi ha trascorso la sua breve vita come paziente nell’unità di terapia intensiva pediatrica del Queen’s Medical Center di Nottingham. Dopo sei mesi, i medici di Indi hanno detto ai suoi genitori che non era più nel “migliore interesse” di Indy ricevere cure e che sarebbe stato meglio lasciarla morire. Ma i coniugi Gregory si sono rifiutati di dare il loro consenso sostenendo che «lei meritava una possibilità di vita».

Nel Regno Unito, quando i genitori e coloro che hanno in cura un minore non riescono ad accordarsi, i medici sono legalmente obbligati a chiedere ai tribunali di decidere se il trattamento di sostentamento vitale debba continuare. E come hanno dimostrato casi precedenti di questo tipo, le regole procedurali rendono estremamente difficile per le famiglie sfidare i sanitari e convincere i giudici ad accettare la loro disperata richiesta di salvare la persona amata da una morte già decisa.

Purtroppo, quello di Indi sarà molto probabilmente solo l’ultimo nome in ordine di tempo ad essere aggiunto alla lunga lista di battaglie giudiziarie per la vita o per la morte. Il mondo ha già visto i tribunali ordinare a Sudiksha Thirumalesh, Archie Battersbee, Isaiah Haastrup, Alfie Evans, Charlie Gard e molti altri di morire contro la volontà dei genitori; di negare il trasferimento in altri ospedali; di negare la possibilità di accettare l’offerta di cure all'estero dopo che il Servizio sanitario nazionale se ne era lavato le mani. In un altro caso un cittadino polacco, RS, che non aveva neanche bisogno della ventilazione artificiale, è morto di fame e disidratato dopo un'ordinanza del tribunale.

Questi casi continuano a sollevare seri interrogativi sui poteri di vita e di morte dei giudici nel Regno Unito e sulle norme procedurali che rendono estremamente difficile per le famiglie contestare le decisioni dei medici. Come ha spiegato Roger Kiska, consulente legale per il Christian Legal Centre in un articolo per Christian Today, «essenzialmente nel diritto britannico, quando i fatti sono accertati da un giudice nella fase iniziale del procedimento, rimarranno tali durante tutto il corso degli appelli». Eppure, troppo spesso è in questa fase critica che i membri della famiglia incontrano difficoltà. I genitori di Indi hanno ricevuto un preavviso di 48 ore prima dell’inizio del procedimento giudiziario. Non c’è stato tempo sufficiente per trovare un avvocato e Dean Gregory è stato costretto a rappresentare se stesso nel procedimento, come accadde anche a Thomas Evans quando il caso di suo figlio Alfie è finito in tribunale. Ci vuole tempo per trovare avvocati esperti e tempo per preparare una linea di difesa.
Gli onorari degli avvocati sono esorbitanti nel Regno Unito, il che è un altro fattore a sfavore della famiglia. E mentre la famiglia viene colta totalmente impreparata e/o senza soldi, il National Health Service Trust (l’organo che amministra gli ospedali) non lo è. Ha la documentazione già pronta prima di presentare il caso alla Corte di Protezione e ha i migliori avvocati, se non addirittura il Consiglio del Re (una sorta di Avvocatura di Stato), pagati dai contribuenti per difendere la propria posizione. Inevitabilmente il processo favorisce l’ospedale.

L’ultima questione riguarda il modo in cui muoiono questi pazienti. Forse non ancora per molto, ma al giorno d’oggi l’eutanasia è illegale nel Regno Unito. Nonostante ciò, gli ospedali possono sospendere il trattamento dei sostegni vitali anche contro la volontà del paziente se il tribunale lo ordina. Ciò accade anche quando i familiari hanno trovato cure alternative senza alcun costo per il Servizio Sanitario Nazionale. Invece di sentirsi sollevati dal fatto che un paziente gravoso vada altrove, sembra che i medici diventino ancora più intransigenti. Il Servizio Sanitario Nazionale del Regno Unito, un tempo rinomato e invidiato da altri Paesi europei, non solo ha perso il suo buon nome, costituisce anche un drammatico avvertimento di ciò che accade quando lo Stato prende il controllo dei suoi cittadini dalla culla alla tomba.

 



REGNO UNITO

In morte di ST, quando lo Stato odia la vita

16_09_2023 Riccardo Cascioli

È morta di infarto ST, la 19enne inglese impegnata in una battaglia legale contro i medici che volevano darle la morte perché inguaribile. La sua vicenda però è esemplare per comprendere l'abisso in cui l'Occidente sta precipitando.

DOPO LA MORTE

Morte cerebrale e dignità, le domande del caso Archie Battersbee

08_08_2022 Riccardo Cascioli

Tra le tante questioni sollevate dalla vicenda del caso Archie Battersbee, il 12enne morto sabato scorso in un ospedale di Londra dopo il distacco del ventilatore voluto dai medici e ordinato dai giudici, merita sottolineare le  strumentalizzazioni della morte cerebrale. E l'ambiguità del concetto di dignità umana.

ANNIVERSARIO

Alfie Evans e lo sviluppo del leviatano sanitario

Oggi come ieri. Sono passati tre anni da quando abbiamo sentito ripetere fino alla nausea il termine di “best interest” dallo Stato paternalista inglese per imporre quale fosse il regime sanitario migliore per il piccolo paziente Alfie Evans. Oggi come ieri, il sistema si fa dio e chi osa sfidarlo è visto come il bambino capriccioso, da ricattare all'occorrenza. Ma questo bimbo martire insegna come vincere la menzogna. 

REGNO UNITO

Tafida, la bimba in lotta per vivere. Come Charlie e Alfie

18_07_2019 Ermes Dovico

Il Royal London Hospital vuole staccare il ventilatore a Tafida Raqeeb, 5 anni, oggi in stato di semi-coscienza dopo un’emorragia cerebrale a febbraio. Ma i suoi genitori, Mohammed e Shelina, si oppongono e il caso è già finito in tribunale. Intanto, il Gaslini di Genova si è offerto di accogliere la bambina, ma l’ospedale londinese rifiuta di concedere il trasferimento.