St. John the Evangelist by Ermes Dovico
LA SPERANZA

Il seme piantato da Benedetto è già diventato un popolo

In questi giorni a Roma abbiamo visto un popolo – in numeri ben al di sopra delle attese – che ha già cominciato a vivere quel primato della preghiera e di Dio che è la più grande eredità di Benedetto XVI. E solo questa presenza è una testimonianza, che risalta ancor più davanti a una regia dei funerali che si è sforzata di tenere il profilo più basso possibile.
- SAN PIETRO RISCALDATA DAL GRIDO "SANTO SUBITO" di Nico Spuntoni
- DOSSIER: IN MORTE DI UN PAPA 

Ecclesia 06_01_2023
Il funerale di Benedetto XVI

«E pensare che quando era Papa non sembrava che fosse tanto amato dalla gente», ci diceva il tassista al nostro arrivo a Roma, commentando sorpreso il notevole movimento di pellegrini attorno a piazza San Pietro. Potenza dei media, che hanno dipinto per anni papa Benedetto XVI come un freddo difensore della dottrina lontano dalla gente, al punto da convincere anche i suoi confratelli in Vaticano, presi totalmente alla sprovvista dall’afflusso di fedeli ben oltre le previsioni. L’affluenza di decine e decine di migliaia di persone arrivate a Roma per rendere omaggio alla salma del Papa emerito prima della celebrazione del funerale celebrato la mattina del 5 gennaio, smentisce nel modo più netto quella raffigurazione.

Certo, non parliamo delle incredibili folle che alla morte di san Giovanni Paolo II, il 2 aprile 2005 hanno letteralmente paralizzato Roma fino al giorno del suo funerale, il successivo 8 aprile. Ma le circostanze sono anche molto diverse: Giovanni Paolo II era allora un Papa regnante che aveva dominato la scena mondiale per quasi 27 anni e anche la successiva elezione a Papa del cardinale Joseph Ratzinger, il suo più stretto collaboratore e amico, in quei giorni sembrava maturata sull’onda dell’entusiasmo.
Qui abbiamo un Papa emerito che non solo da dieci anni si era ritirato a vita monastica, ma che ha visto succedergli un Pontificato che in gran parte si è caratterizzato per la volontà di cancellarne l’eredità.

Si poteva ben pensare che Benedetto XVI fosse ormai dimenticato dalla gente. Invece la folla arrivata in questi giorni a Roma (circa 200mila persone si sono sobbarcate il peso di una lunga fila nel corso dei tre giorni di esposizione per onorare la salma di Benedetto) era composta da persone in cui la lezione e la testimonianza di Benedetto si è già sedimentata: non è più un seme, ma almeno una piantina che sta crescendo rigogliosa.

Non a caso siamo stati colpiti dalla presenza di tanti preti giovani, che evidentemente hanno maturato la loro vocazione e il loro sacerdozio durante il pontificato di Benedetto, una vera e propria “generazione Ratzinger”. E infatti proprio dal settore riservato ai sacerdoti si è alzato uno dei cori “Santo subito” al termine della Messa. E giovani adulti erano anche tanti dei pellegrini visti in questi giorni. Una folla composta, in preghiera raccolta, desiderosa di dire grazie a quel pastore umile che ci ha indicato cosa voglia dire il primato della preghiera nella vita di ogni cristiano e della Chiesa. Persone che hanno imparato che affrontare la vita nella compagnia di Dio rende vivibile ogni circostanza e rende lieti anche nella sofferenza e nella fatica, come lui stesso ci ha testimoniato nel testamento spirituale.

Anche tanti vescovi e cardinali hanno voluto esserci, malgrado non fosse “obbligatorio” visto che non si trattava di un Papa regnante. E se non si può escludere una percentuale di presenze “politicamente motivate”, la stragrande maggioranza dei presenti era lì per gratitudine e amicizia. A cominciare dal “vecchio leone” cinese, il vescovo emerito di Hong Kong, cardinale Joseph Zen. Tra pochi giorni compirà 91 anni, è sotto processo a Hong Kong ma ha chiesto e ottenuto un permesso di 5 giorni per venire ai funerali di Benedetto XVI; è arrivato presto il 5 mattina e subito si è recato in piazza San Pietro per il funerale. E prima di lasciare Hong Kong ha scritto un toccante ricordo del Papa emerito, ricordando quanto abbia fatto per la Chiesa in Cina e come la Lettera ai cinesi scritta nel 2007 resti la base per «ogni sforzo per migliorare la situazione della Chiesa in Cina». 

Peraltro parliamo di presenze certamente non incoraggiate, visto l’evidente desiderio di rendere di basso profilo la cerimonia, in cui rientra anche una certa approssimazione organizzativa, per non dire della decisione di non proclamare neanche una giornata di lutto in Vaticano. Al proposito non si può tacere l’esplicito malumore e disappunto - che noi stessi abbiamo raccolto - per una liturgia fin troppo feriale in un’occasione del genere, culminata in una omelia di papa Francesco che ha lasciato sconcertati: per la sua brevità, formalità e assenza di qualsiasi coinvolgimento personale con Benedetto, il cui nome è risuonato soltanto una volta proprio al termine della riflessione.

Ma se qualcosa la morte di Benedetto XVI e i suoi funerali ci insegnano, è che in questo popolo devoto e orante è la speranza della Chiesa: un popolo irriducibile a ideologie e diatribe di politica ecclesiastica, che vive lieto e certo di una strada chiaramente indicata, anche in un periodo di grande turbolenza e confusione; un popolo che ha già detto sì ed è deciso a vivere quell’appello profondo che è risuonato nel testamento spirituale di Benedetto: «Rimanete saldi nella fede! Non lasciatevi confondere (…)  Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita — e la Chiesa, con tutte le sue insufficienze, è veramente il Suo corpo».