POLEMICHE

Ici e Chiesa, è guerra ai poveri

Ridurre esenzioni dall'Ici per il no profit danneggerà i bisognosi.
- Chiesa e Ici, di M. Ciamei
- Confusione ministeriale
, di R. Cascioli

Attualità 17_02_2012
Mensa Caritas

In fondo era nell’aria: pende una procedura d’infrazione aperta dalla Commissione Europea nell’ottobre 2010 a seguito di un esposto dei radicali, con scadenza a maggio di quest’anno e con obiettivo la dichiarazione di contrasto della normativa italiana in materia di esenzione dall’Imposta Comunale sugli Immobili (ICI) con le norme europee in materia di aiuti di Stato e tutela della concorrenza.

In questa sede ci si è già più volte pronunciati
per un’intima ragionevolezza della normativa italiana, capace di valorizzare tutto quell’insieme di attività che vengono comunemente raggruppate nel concetto di “terzo settore”: enti privati che svolgono attività di rilevante interesse collettivo. Si sono espresse le ragioni per le quali alcuni immobili vengono giustamente esentati dal pagamento di una tassa comunale, atteso che vi si svolgono attività che uno Stato moderno, in un’ottica di sussidiarietà e tutela sociale, non può non incentivare.

Eppure l’attuale Governo è intenzionato a modificare la normativa, in modo da “accontentare” l’Europa, con la solita incapacità tutta italiana di presentarsi a testa alta di fronte ad un’Europa che – è bene ogni tanto ricordarlo – è figlia dell’intuizione di tre illustri politici cattolici, di cui uno italiano.
Altri tempi.

E invece oggi ci tocca assistere a questo: “Ici e Chiesa: l’UE promuove l’Italia”; “Ici e Chiesa, plauso dell’Europa: bene l’Italia”. Ecco alcuni dei titoli che da ieri svettano in prima pagina sui maggiori quotidiani nazionali. Titoli e contenuto degli articoli che sembrano non considerare come in ballo non ci sia la (presunta) ricchezza della Chiesa, ma tutto un mondo ricco e variegato, composto da diverse scuole di pensiero spesso anche molto lontane da loro: dentro il “no profit” coesistono insieme impostazioni laiche, religiose, umanitarie, culturali, filantropiche, sportive, ecc. Una ricchezza per il nostro Paese, apprezzato in tutto il mondo per il grado di generosità ed soccorso sociale che sa esprimere.

Eppure tutto ciò non sembra avere valore: tutto il discorso è incentrato sui presunti privilegi della Chiesa cattolica, senza nemmeno nascondere un pizzico di boriosa rivincita. E poco importa se, insieme all’acqua sporca, viene gettato anche il bambino.

Proviamo, almeno noi, quindi, ad attenerci ai fatti
ed a cercare di capire quale sia il contenuto delle decisioni che il Governo si appresta ad assumere in materia. La novità di fondo ruota attorno al concetto di “attività commerciale”: l’esenzione – si annuncia – d’ora in poi dovrà fare riferimento solo agli immobili nei quali si svolge “in modo esclusivo un’attività non commerciale”.

Non è opportuno riprendere ora tutte le spiegazioni già fornite in merito alla normativa del 1992 e all’interpretazione autentica data nel 2005, in riferimento alla quale è partito l’esposto dei radicali e la procedura d’infrazione. Ricordiamo solo che nel 2005 si era stabilito che l’esenzione doveva intendersi applicabile allorché le attività indicate dalla norma siano esercitate in maniera “non esclusivamente commerciale”.

Ora, anche uno studente di giurisprudenza alle prime armi sa che un’attività o è commerciale o non lo è: non esiste una terza categoria intermedia. Ma il senso della norma, in realtà, era chiaro e l’aveva ben precisato il Ministero dell’Economia e delle Finanze nella famosa circolare n° 2 del 26 gennaio 2009: “se non è possibile individuare attività qualificabili come “non esclusivamente di natura commerciale”, si può sostenere che quest’ultimo inciso debba essere riferito solamente alle specifiche modalità di esercizio delle attività in argomento, che consentano di escludere la commercialità quando” – attenzione qui – “siano assenti gli elementi tipici dell’economia di mercato (quali il lucro soggettivo e la libera concorrenza), ma siano presenti le finalità di solidarietà sociale”.
Ecco spiegata la natura di quella disposizione. Basta leggere poi la chiarissima circolare sopra citata per comprendere come la normativa italiana non dia adito a dubbi di sorta.

Ma cosa può comportare la limitazione delle esenzioni solo agli immobili dove si svolge “in modo esclusivo un’attività non commerciale”? Questa è la domanda fondamentale, a cui – evidentemente – non è possibile ancora dare una risposta precisa, in attesa che il Governo presenti il disegno di legge in cui specifichi punto per punto come vuole disciplinare la materia.

Possiamo però fare due ipotesi:
- la prima è che vengano considerate come commerciali le attività di vendita di beni e prodotti. Ma ciò non cambia di nulla la situazione esistente, poiché sono già escluse dalle esenzioni quelle attività che non rientrano nelle finalità solidali previste dalla legge. Per intenderci, gli immobili delle librerie cattoliche continueranno a pagare l’ICI (o meglio, l’IMU) così come la pagano – o la devono pagare – oggi; o gli immobili degli istituti religiosi dove si fa attività alberghiera dovranno continuare a pagare l’ICI come la pagano – o la devono pagare – oggi.

- la seconda ipotesi, invece, è che vengano considerate come commerciali anche quelle attività che corrispondono a servizi impossibili da rendere gratuitamente e che in genere vengono effettuati a fronte del pagamento di una retta minima. Anche in questo caso, abbiamo già spiegato che si tratta di attività meritorie, fuori dal mercato (e quindi non si pone il problema di tutela della concorrenza), rivolte a fasce deboli della popolazione: pensiamo ai pensionati per studenti fuori sede, oppure luoghi di accoglienza per i parenti di malati ricoverati in strutture sanitarie distanti dalla propria residenza, alle case per ferie per lavoratori, o alle colonie per studenti, e strutture simili.

C’è poi tutto il mondo dell’accreditamento: basti pensare alle attività sanitarie e assistenziali (ospedali, ricoveri, ecc.), alle attività didattiche (scuole paritarie, ecc.), alle attività ricettive (alunni e famiglie di istituti scolastici, iscritti a catechismo, appartenenti alla parrocchia, membri di associazioni; pensionati per studenti, per lavoratori precari, per stranieri e strutture simili), alle attività culturali sportive e ricreative (cineforum, circoli sportivi, tornei di quartiere, ecc.). Queste attività si reggono su forme di pagamento che, evidentemente, sarebbero in contrasto con la natura esclusivamente “non commerciale” delle attività esenti dall’imposta.

Davvero sembra che un tal tipo di principio voglia più salvare l’Italia da una “minaccia” di sanzioni, che non riflettere sul modo di agevolare realmente quei soggetti che, nel Paese, svolgono attività degne di rilievo. Per non parlare del fatto – e i contenuti degli interventi della stampa ne sono prova evidente – che tutto sembra limitarsi ad un problema di  privilegi della Chiesa finalmente da eliminare.

E’ triste continuare a sorbirci questa guerra nei confronti di una realtà – quella cattolica – che, forse può non piacere per impostazione religiosa o umana, ma di certo è tra le più attive nella cura dei poveri e degli ultimi. Ancora più triste è vedere il modo in cui questi argomenti vengono trattati dai mezzi di comunicazione: basti pensare alla versione on-line de “il corriere”, dove la notizia delle modifiche che Monti vuole apportare è accompagnata da un video dei radicali che riprende alcuni enti ecclesiastici accusati di raggirare la normativa. Stato dell’arte giornalistica, non c’è che dire!

- Chiesa e Ici, di M. Ciamei
- Confusione ministeriale, di R. Cascioli