VACANZE LETTERARIE/1

Guida alla Milano del Manzoni e dei Promessi Sposi

Milano è uno degli scenari principali dei Promessi Sposi ed è la città del Manzoni. Visse sempre nella casa in via Morone dal 1814 fino alla sua morte avvenuta nel 1873, in una posizione strategica per raggiungere rapidamente gli altri intellettuali della Milano ottocentesca. In estate, però, lo scrittore preferiva la villeggiatura a Brusuglio. 

Culture 04_07_2022
Casa di Alessandro Manzoni a Milano

Il termine turista deriva da Grand Tour, un fenomeno che si sviluppò a partire dal Settecento e che coinvolse le classi nobiliari ed elitarie europee, ma anche artisti e letterati che si muovevano alla ricerca della bellezza percorrendo le mete più belle del continente, ma soprattutto visitando le città d’arte più belle italiane, Venezia, Firenze, Napoli e tante altre fino ad arrivare in Sicilia. Il Grand Tour era una modalità di formazione sulle orme della bellezza, non solo presente nel creato, ma anche creata dalle mani dell’uomo, documentata da città, edifici, sculture, pitture. Nel Grand Tour formazione e svago trovavano una bellissima forma di sintesi e di espressione.

Così, Stendhal, Keats, Mary Shelley, Byron, Goethe effettuarono viaggi in Europa e in Italia. Molti intellettuali europei si fermavano anche a Milano, dove potevano incontrarsi con importanti intellettuali italiani. Nell’Ottocento, a Milano il salotto della contessa Maffei divenne il più importante della penisola e rimase tale per più di mezzo secolo, luogo di incontro fondamentale anche per scrittori europei di passaggio per il nostro Paese. Grande città d’arte, anche se non sempre apprezzata in questo senso nei decenni passati, perché considerata per lo più come polo economico e finanziario, Milano è stata sempre più apprezzata negli ultimi anni come meta turistica di milioni di visitatori, tanto che è diventata nel 2021 la seconda città più visitata tra le italiane e la nona in Europa.

Simbolo indiscusso della città è il Duomo. Nei Promessi sposi quando Renzo arriva a Milano, vede per la prima volta case, edifici, palazzi, mai visti nel proprio paese. Ad un certo punto gli appare dinanzi agli occhi l’edificio del Duomo, «quella gran macchina del duomo sola sul piano, come se, non di mezzo a una città, […] in un deserto». Lo spettacolo della bellezza gli fa dimenticare tutti i suoi guai e contempla «anche da lontano quell’ottava maraviglia», di cui ha sentito parlare fin da bambino. Voltatosi indietro, vede «all’orizzonte quella cresta frastagliata di montagne, […] distinto e alto tra quelle il suo Resegone». Al lettore si presentano due monumenti, simili per forma: uno costruito dalle mani dell’uomo (stupefacente ed emblema al contempo della lontananza del protagonista dai luoghi natii e dalla sua Lucia), l’altro naturale, che gli è fitto nel cuore e che gli ricorda con nostalgia il matrimonio non celebrato e la sua terra. Nel Seicento, dal Duomo di Milano era ancora possibile distinguere con chiarezza il Resegone, non coperto da tutti gli edifici che ora circondano la piazza.

Dal Duomo ci si può spostare in Corso Vittorio Emanuele, chiamato all’epoca del romanzo Corsia dei Servi, dove era collocato il forno delle grucce assaltato e distrutto nell’assalto di san Martino del 1628, poi restaurato e riaperto nell’Ottocento fino alla definitiva chiusura nel 1919. Oggi, rimane soltanto una targa commemorativa, ad inizio di Corso Vittorio Emanuele, che recita: «Qui era il prestin di Scansc». E subito sotto l’inizio del passo del capitolo XII dei Promessi sposi dedicato al forno: «Nella strada chiamata de’ servi c’era e c’è tuttavia un forno». Fu proprio il romanzo manzoniano a ridare lustro al forno che riaprì nell’Ottocento. In occasione del Natale del 1870 Ambrogio Valentini, proprietario, inviò a Manzoni in dono un cesto contenente dolci come segno di gratitudine per la celebrità che il romanziere aveva conferito a quel luogo con I promessi sposi: «Il celebre Forno delle grucce, di nuova vita ringiovanito, a grata testimonianza, il presente saggio devotamente offre». Con grande cortesia un Manzoni più che ottantenne rispose:

Al forno delle Grucce
ricco oramai di nova fama propria
e non bisognoso di fasti genealogici
Alessandro Manzoni
solleticato voluttuosamente
con un vario e squisito saggio
nella gola e nella vanità
due passioni che crescono con gli anni
presenta i più vivi e sinceri ringraziamenti.

A poche centinaia di metri dal Corso Vittorio Emanuele si trova la casa, ora trasformata in museo, che Manzoni acquista il 2 ottobre 1813, ove si trasferisce nel 1814 per abitarvi fino alla morte, avvenuta nel 1873. È collocata in via Morone 1, all’epoca contrada del Morone n. 1171. La posizione dell’abitazione è strategica anche per quanto riguarda le amicizie dello scrittore (Filippo Confalonieri e Silvio Pellico abitano in via Monte di Pietà, Carlo Porta e i fratelli Verri in via Monte Napoleone) e la parentela (lo zio Giulio Beccaria vive in via Brera). Il caro amico Tommaso Grossi è, invece, ospitato a pian terreno in questa casa per quindici anni, dove affitta due camere, separate dallo studio di Manzoni solo da un corridoio. Casa Manzoni, appena restaurata, merita certamente una visita: era il luogo in cui lo scrittore lombardo si incontra a discutere di letteratura, di arte, di filosofia con gli amici Ermes Visconti, Giovanni Torti, Luigi Rossari, Gaetano Cattaneo e Giovanni Berchet.

In estate la famiglia Manzoni preferisce trascorrere la villeggiatura in campagna a Brusuglio, vicino a Milano, dove si trova la villa che Giulia Beccaria ha ereditato dal defunto compagno Carlo Imbonati. Nella dimora di campagna, cui è annessa una vasta tenuta, viene traslata la salma del conte e viene costruito un tempietto. Ancora oggi è possibile visitare la villa così com’è stata restaurata grazie ai contributi di Manzoni. Nel corso degli anni, lo scrittore fa realizzare anche il giardino, piantandovi anche centinaia di alberi. Nel parco di Brusuglio si può salire alla montagnola, luogo caro allo scrittore per la vista che vi si gode sull’arco alpino, oltre che sul viale dei platani. Ancora novella sposa, l’amata Enrichetta Blondel trova in questo giardino due giovani robinie e le attorciglia, sottolineando che la sua anima sarà allo stesso modo stretta per sempre a quella dello sposo. Morta la moglie, Manzoni vorrà incidere una croce sul tronco delle robinie e provvederà personalmente a far crescere dei fiori tutt’attorno. Un dipinto di Stefano Stampa, che si può ammirare ancora nella villa di Brusuglio, ricorda quest’episodio.

Vicino alla casa di Manzoni di via Morone, si trova la chiesa di San Fedele, la parrocchia frequentata dallo scrittore. Proprio mentre si sta recando alla messa il 6 gennaio 1873, lo scrittore cade dagli scalini e batte la testa. Da allora non si riprende più e muore nell’amata casa il 22 maggio 1873. L’abitazione viene acquistata dapprima dal conte Bernardo Arnaboldi poi dai conti Dubini. Infine, nel 1937 viene acquisita dalla Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, che la dona al Comune di Milano con il vincolo di trasformarla nella sede del Centro Nazionale Studi Manzoniani. Il Museo manzoniano viene inaugurato solo nel 1965.

Manzoni apprezza fin da subito la casa di via Morone per l’ubicazione centrale rispetto ai luoghi d’arte e di cultura della città: vicino si trovano (oltre al Duomo) anche Brera, la Biblioteca Ambrosiana. Se ci si reca a Palazzo Brera, prima di accedere alla magnifica Pinacoteca Braidense, si può vedere il monumento in marmo, realizzato nel 1838 da Giuseppe Monti, e dedicato a Giuseppe Parini, insegnante, scrittore, che nel 1791 diviene soprintendente delle Scuole pubbliche di Brera.

In via Brera 6 si trova l’abitazione del nonno di Manzoni (terminata nell’Ottocento dall’architetto Gaetano Faroni), Cesare Beccaria, che vi nacque nel 1738 e scrisse molte opere, tra cui Dei delitti e delle pene, che aprì un dibattito sulla giustizia in Europa. Quando il giovane Manzoni, appena ventenne, giunse a Parigi, gli intellettuali francesi gli chiesero l’autografo, non appena vennero a conoscenza che era un discendente del famoso Beccaria, che aveva promosso la presunzione di innocenza, (una delle basi dell’attuale civiltà giuridica), aveva affermato la laicizzazione del diritto penale (che deve occuparsi dei reati commessi, non dei peccati), la proporzionalità delle pene (giuste e proporzionate alla gravità del reato commesso), la chiarezza della legge in modo tale che fosse applicata alla lettera, senza essere soggetta alle interpretazioni e all’arbitrio.