L'EDITORIALE

Cosa ci insegna il settembre nero 2001

Non bisogna dimenticare che gli attentati dell'11 settembre furono preceduti dagli inquietanti eventi accaduti alla Conferenza Onu sul razzismo a Durban e dall'assassinio di Ahmahd Shah Massoud in Afghanistan. Ricordarlo è una lezione per l'oggi. 

Editoriali 09_09_2011
massoud
Sul decimo anniversario degli attentati dell’11 settembre si è scritto molto in questi giorni e anche noi dedicheremo uno speciale per il Magazine di questo fine settimana, con diversi interventi qualificati.

Intanto però anticipiamo una riflessione che intende introdurre una prospettiva generalmente sottovalutata. In quel settembre del 2001 oltre ai ben noti attentati ci furono infatti due altri importanti eventi che vi sono in qualche modo collegati e sul cui sfondo va letto anche quanto accaduto negli Stati Uniti. Parliamo della Conferenza Internazionale dell’Onu sul razzismo, svoltasi a Durban (Sudafrica) dal 31 agosto al 7 settembre, e dell’assassinio di Ahmad Shah Massoud, il “signore della guerra afghano” più famoso, avvenuto il 9 settembre.

Entrambi gli eventi avevano messo in luce l’esistenza di un movimento inquietante all’interno del mondo islamico e fondamentalista. Probabilmente il fatto più significativo si è verificato a Durban, durante la conferenza a cui il sottoscritto ha partecipato personalmente come inviato. Qui si è parlato essenzialmente di due argomenti: la schiavitù, e soprattutto il Medio Oriente, con il tentativo dei paesi islamici di arrivare a una condanna esplicita di Israele e di equiparare il sionismo al razzismo. Non entriamo qui nel dettaglio delle discussioni, che peraltro continuano tuttora in previsione di una Durban III, ma dobbiamo ricordare un fatto senza precedenti accaduto in quella sede: ovvero l’ostinata determinazione dei paesi islamici a imporre il proprio ordine del giorno sulla questione mediorientale, rifiutando ogni compromesso, fino ad arrivare alla spaccatura sul testo finale.

Come si ricorderà Stati Uniti e Israele abbandonarono la Conferenza e i paesi europei che decisero di restare puntando almeno su un compromesso dell’ultimo minuto rimasero con un palmo di naso. Per chi aveva esperienza delle Conferenze internazionali dell’Onu, che spesso si concludono dopo faticosissimi negoziati, fu sorprendente registrare la decisione di un blocco di paesi a non scendere ad alcun compromesso; ma soprattutto fu una novità osservare questa unità dell’intero mondo islamico – che sappiamo essere molto diviso al suo interno, anche politicamente – nella sfida all’Occidente. Perché di questo si trattava. L’impressione avuta in quei giorni era proprio di un mondo che aveva acquistato coscienza di una propria forza, tale che poteva imporsi all’Occidente e dettare la propria legge in barba a tutte le consuetudini internazionali.

Questo non vuol dire che tutti i paesi islamici siano in qualche modo responsabili del terrorismo, ma è giusto considerare che il fenomeno terrorista si situa in un più ampio contesto di “rinascita islamica” – con forti connotati anti-occidentali - che lo rende oggettivamente più forte.

Abbiamo detto che i paesi islamici dimostrarono allora di aver preso coscienza della propria forza, ma dobbiamo aggiungere che avevano preso coscienza anche della debolezza dell’Occidente, così che poterono imporre in quella Conferenza la propria lettura della storia, come dimostra il fatto che nel Documento finale della Conferenza di Durban fu inserita - prima volta in un documento internazionale - la condanna dell’islamofobia, ovvero della discriminazione contro l’islam, equiparata all’antisemitismo. Molto spesso si dà per scontato che l’islamofobia sia stata una reazione nella popolazione occidentale – o in parte di essa – per quanto accaduto l’11 settembre, e che la condanna di questo fenomeno sia dunque successiva: invece il concetto fu imposto prima degli attentati e poi usato strumentalmente anche per bloccare le reazioni anti-terrorismo.

A Durban quindi la debolezza dell’Occidente si manifestò nell’accettare un evidente assurdo storico per non irritare il mondo islamico. Sicuramente in Occidente si registravano episodi di discriminazione contro arabi e musulmani, ma erano marginali e condannati dalla stessa società occidentale. E comunque erano un nulla in confronto alla sistematica discriminazione e persecuzione sofferta dai non musulmani nei paesi islamici. I cristiani, si sa, sono di gran lunga le maggiori vittime della persecuzione, eppure la Conferenza Onu si preoccupò di condannare l’islamofobia, trasformando i persecutori in vittime. Un segnale davvero inquietante.

E appena conclusa Durban, un altro fatto grave accadde, foriero di cattivi presagi: l’attacco suicida contro Ahmahd Shah Massoud, il “Leone del Panshir”, l’eroe nazionale che fu capace di resistere ai sovietici prima e ai taleban poi, mantenendo il controllo dell’ampia valle del Panshir. Per capire la gravità dell’accaduto bisogna ricordare che tra i vari “signori della guerra” in Afghanistan, Massoud era l’unico interlocutore veramente affidabile, e l’unico che avesse in mente un Afghanistan libero e democratico. Nel marzo 2001 Massoud aveva parlato davanti al Parlamento Europeo esponendo la sua visione e avvertendo del forte sostegno che Pakistan, Arabia Saudita e Al Qaeda davano ai taleban. In quell’occasione Massoud avvertì anche che Al Qaeda stava preparando un grosso attentato contro gli Stati Uniti.

Il suo assassinio fu subito visto da alcuni analisti come il presagio di qualcosa di molto grave che doveva accadere, e gli esperti di anti-terrorismo considerano che molto probabilmente l’assassinio di Massoud fu il segnale convenuto per dare il via agli attentati dell’11 settembre. Con l’eliminazione di Massoud Al Qaeda faceva un favore agli alleati taleban, togliendo di mezzo il loro più pericoloso nemico e privando gli Stati Uniti di un alleato sul terreno una volta che, consumato l’attentato, gli americani avessero attaccato in Afghanistan, come in effetti è accaduto. Quanto questo sia stato militarmente importante lo possiamo constatare ancora a distanza di dieci anni.

Ricordare l’insieme degli eventi di quel settembre 2001 ci aiuta a comprendere meglio anche le tensioni attuali che attraversano i paesi islamici - e che di quegli eventi sono figlie -: la partita tra islamisti radicali e movimenti democratici è ancora tutta da giocare, e per questo i paesi occidentali sono chiamati a non dare ulteriori segnali di debolezza e sottomissione o a farsi promotori di interventi maldestri che diventano facilmente un boomerang.