L'INTERVISTA

Bolton: l'Egitto non finisca come il Nicaragua

E l'osservatorio internazionale sulle persecuzioni dei cristiani va istituito ora, dice l'ex ambasciatore Usa alle Nazioni Unite.

Attualità 04_02_2011
John Bolton
 
John Robert Bolton, classe 1948, è stato ambasciatore statunitense alle Nazioni Unite dall’agosto 2005 al dicembre 2006. Commentatore autorevole e rispettato di politica estera e scenari globali, oggi è Senior Fellow all’American Enterprise Institute per Public Policy di Washington. In agosto ha affermato che potrebbe anche mettersi a pensare seriamente di correre con i Repubblicani per le presidenziali del 2012.

Come vede la situazione in Egitto?
Caotica, ovviamente, e assolutamente incerta. Cosa succederà domani non lo sappiamo. Dobbiamo quindi compiere tutti un passo indietro e farci più umili. Nessuno sa cosa accadrà dopo Hosni Mubarak. Agire come se lo sapessimo potrebbe esseri molto rischioso.

Quali rischi si corrono?
È evidente che l’incognita maggiore è il ruolo che in un futuro governo avranno i movimenti e i partiti d’ispirazione islamica, segnatamente la Fratellanza Musulmana. Credo che, e questa è una previsione assai facile, i Fratelli Musulmani avranno comunque un ruolo nel dopo Mubarak, fosse anche solo come membri (ma forti) di un governo non esclusivamente composto di forze musulmane organizzate. I rischi? Questi…

E il suggerimento dato dal presidente Barack Obama a Mubarak di avviare la transizione?

Prima ho detto umiltà. Ecco. Siamo sicuri che tutto poi vada liscio? I nostri alleati nei Paesi arabi amici dell’Occidente e in Israele sono in questo momento stupiti delle mosse di Washington…

Crede che Mubarak debba lasciare il potere?
Mubarak lascerà certamente il potere allo scadere del suo mandato. Ma parliamoci chiaro: il regime egiziano coincide ora con la forza dell’apparato militare. Finché l’esercito sosterrà Mubarak, le cose cambieranno poco.

È un bene o un male?
Le cito un esempio fra i diversi che potrei fare. Ricorda il Nicaragua? Vi era un governo autoritario filoccidentale che fu travolto da una opposizione benedetta da molti democratici, la quale presto si è trasformata in un regime infinitamente più oppressivo…

Come giudica l’attuale politica estera degli Stati Uniti?
Inesistente, al massimo confusa.

Da tempo lei definisce il presidente Barack Obama “postamericano”. È questa la chiave per capire l’attuale impasse statunitense in politica estera?
Sì. Per il “postamericano” Obama la politica estera non è minimamente interessante. Obama è molto diverso dai presidenti che lo hanno preceduto. In cima alle sue priorità non c’è quello che con espressione classica si è sempre definito “interesse nazionale”. La sua sensibilità è molto più “internazionale”, il che significa però prospettive di solito vaghe e fumose. “Postamericano” non significa del resto “antiamericano” o “non-americano”: vuol, dire solo “oltre”, però non si sa dove… Il presidente si percepisce come una figura “platonica”, superiore a quelle piccole quisquilie che sono i Paesi, i popoli e i loro interessi. C’è peraltro forte analogia fra questo suo modo di fare politica e quello proprio alle burocrazie di Bruxelles, che si sentono più “europee” che non italiane, tedesche, francesi… Il problema maggiore sta nel fatto che in questo modo si perdono di vista le necessità del Paese che si è chiamati a rappresentare o a governare.

Vi è anche una nota religiosa, o postreligiosa, nel “postamericanismo” di Obama?
Certo. Tutte le scelte politiche di Obama sono assolutamente improntate al laicismo…

Nei giorni scorsi in Italia è stata lanciata l’idea d’istituire un “Christian Rights Watch” per monitorare le violenze, le persecuzioni e le discriminazioni che i cristiani subiscono in varie parti del mondo ma troppo spesso senza aiuti, solidarietà o almeno attenzione a parte dei media. Che ne pensa?
Penso che il progetto sia opportuno e urgente. Troppa gente ignora o, peggio, dimentica quanto minacciata sia la libertà dei cristiani nel mondo e quale sia il tributo si sangue che essi costantemente pagano. Il mio pensiero va adesso ovviamente ai copti in Egitto, ma ci sono i caldei in Iraq, i maroniti in Libano e tutti gli altri cristiani vessati in parti della Terra che non sono solo il Nordafrica o il Medioriente. Il “Christian Rights Watch” va istituito subito, a livello internazionale.