LIBERTA' RELIGIOSA /4

Arabia Saudita, dove la messa è bandita

Nel Paese che custodisce i luoghi sacri dell'islam sono vietate tutte le altre fedi. Anche per i cristiani torture e reclusione senza prove.

Culture 02_04_2011
Arabia Saudita Secondo stime del Dipartimento di Stato americano sulla libertà religiosa, in tutta la Penisola arabica (Vicariato d’Arabia - che comprende gli Emirati Arabi, il Qatar, il Bahrain, l’Arabia Saudita, l’Oman e lo Yemen - e Vicariato del Kuwait) i cattolici sono oltre tre milioni su una popolazione di 65 milioni di abitanti.

Nel Paese che custodisce i luoghi sacri dell’Islam, l’Arabia Saudita - dove è vietato non solo costruire Chiese, ma anche celebrare la Messa - su 27 milioni e mezzo di abitanti, gli immigrati sarebbero oltre 8 milioni, provenienti in gran parte dal sudest asiatico, come ha spiegato Monsignor Paul Hinder, Vicario Apostolico di Arabia, nel suo intervento al Sinodo sul Medio Oriente del 2010. Gli immigrati sono giunti in Arabia Saudita a partire dagli anni sessanta, in gran numero dallo Yemen, impiegati principalmente nella manodopera per lo sfruttamento dei pozzi di petrolio. In seguito, gli yemeniti furono espulsi e sostituiti dai lavoratori provenienti dall’estremo Oriente, dall’India e dalle Filippine, soprattutto. Tra gli immigrati, i battezzati, secondo diverse fonti, sono due milioni.

Le violazioni dei diritti umani riguardano innanzitutto la vita delle persone, soprattutto degli stranieri. Nel suo ultimo rapporto, “Amnesty International”, rileva che nel 2010 in Arabia Saudita – dove regna una monarchia assoluta, con l’amministrazione, l’attività diplomatica e il commercio strettamente controllati dalla grande famiglia reale - sono state messe a morte almeno 27 persone e che sono state emesse almeno 34 sentenze capitali, sebbene si ritenga che il dato reale possa essere molto più alto. Le condanne a morte sono imposte spesso dopo procedimenti che non garantiscono gli standard internazionali sul giusto processo. Persone di nazionalità straniera, in particolare i lavoratori migranti dai paesi in via di sviluppo, restano ancora particolarmente vulnerabili a causa della natura reticente e sommaria del sistema di giustizia penale. Agli imputati raramente viene autorizzata la rappresentanza legale da parte di un avvocato e, in molti casi, non vengono informati degli sviluppi del processo nei loro confronti. Possono essere condannati anche solo sulla base di confessioni estorte con le minacce. Non esiste riconoscimento legale per la libertà di religione e viene severamente ristretta nella pratica.

L’Islam è la religione ufficiale e tutti i cittadini devono essere musulmani. L’interpretazione della legge islamica da parte del governo impedisce di riconoscere e proteggere la libertà di religione. Le più elementari libertà di credo vengono negate a tutti, eccetto a coloro che aderiscono alla religione statale, l’Islam sunnita. I cittadini non hanno la libertà di scegliere o di cambiare religione. La conversione di un musulmano a un’altra religione è considerata apostasia, un reato punibile con la morte se l’accusato non abiura la nuova fede. La situazione della libertà religiosa per i cristiani (ma anche per gli indu’ e per i musulmani di diversa osservanza, sciiti ed ismaeliti), in Arabia Saudita, desta “particolare preoccupazione”. La dizione è quella usata dalla Commissione USA sulla libertà religiosa Internazionale, che ha raccomandato di porre domande incisive sulla situazione dei diritti umani in Arabia Saudita alle specifiche riunioni delle Nazioni Unite.

Le violazioni del diritti umani
come forma di repressione della libertà religiosa e di culto, sono sistematiche. Includono: torture, violenze, trattamenti umilianti o punizioni inflitte dalle autorità amministrative e dalla giustizia penale; detenzione prolungata senza alcuna prova, pesanti misure coercitive messe in atto dalla “Commissione per promuovere la virtù e prevenire il vizio” e dalla polizia religiosa (Mutawwa). Riferisce il rapporto di “Aiuto alla Chiesa che soffre” - l’Istituto di Diritto Pontificio che redige ogni anno il dossier sulla libertà religiosa nel mondo – che nel 2009, funzionari sauditi hanno ribadito la posizione del governo circa la possibilità per i lavoratori non musulmani di celebrare il proprio culto in privato. Questa posizione ufficiale, però, viene violata, perché si verificano casi in cui la polizia religiosa fa irruzione in abitazioni private in cui si svolgono riunioni di preghiera. Nel corso del 2009, si sono verificati numerosi casi di arresto di fedeli cristiani. In alcuni casi le notizie non sono state diffuse dai Paesi di provenienza degli interessati per garantire il buon esito delle trattative per il loro rilascio. Nel mese di gennaio, un pastore eritreo ha dovuto lasciare il Paese per una meta sconosciuta, dopo aver ricevuto numerose minacce dalla polizia religiosa. Guidava da dieci anni una chiesa “sotterranea”, formata da oltre 300 cristiani. Nel mese di marzo, tre cristiani indiani, sorpresi a pregare insieme, sono stati arrestati dalla polizia nella Provincia orientale: gli sono stati confiscati il materiale religioso presente nell’appartamento. I fedeli sono stati liberati dopo pochi giorni.

A parere
dell’Associazione Evangelica “Porte Aperte”, il comportamento della Mutawwa e gli abusi variano molto da regione a regione del paese. In certe aree sia la Mutawwa che i vigilantes religiosi agiscono da soli nel maltrattare, assalire, arrestare sia cittadini che stranieri. Il governo richiede che la Mutawwa segua determinate procedure e offra istruzioni in modo cortese. Tuttavia la Mutawwa non si è sempre attenuta a queste richieste e il governo non ha fatto ricorso a vie legali contro la Mutawwa che abbia infranto tali regole, nemmeno in casi di impiego della violenza fisica nei confronti dei detenuti. La legge islamica considera l’induismo una religione politeista; si tratta in realtà di una interpretazione esclusivista della legge che viene usata per discriminare gli indù, per esempio nella valutazione dei compensi per morte accidentale o infortunio.

I cristiani e gli ebrei,
che sono classificati come “I popoli del Libro”, sono anch’essi discriminati ma meno degli indù. Per esempio, secondo l’interpretazione “Hanbali" della legge della Sharia, una volta che la colpa viene stabilita da una corte, a un mussulmano maschio viene riconosciuto il 100 per certo della somma a compensazione, a un ebreo o cristiano maschio solo il 50 per cento e a tutti gli altri (indù, buddisti e sikhs) 1/16 di quanto riceve un musulmano maschio. La testimonianza resa da una donna vale la metà di quella di un uomo e quella di una donna non musulmana vale ancora di meno di quella della donna musulmana. Per legge i figli dei cittadini maschi sono considerati musulmani senza considerare il paese in cui sono stati cresciuti o la tradizione religiosa loro impartita. L’applicazione del governo di questa legge discrimina le madri non musulmane e nega ai loro figli la libertà di scegliere la loro religione. Le donne che sposano cittadini sauditi devono convertirsi all’Islam.

Nonostante
i piccoli progressi registrati dal 2007 (come il permesso di celebrare l’Ashura, la ricorrenza religiosa più importante per gli sciiti, in cui si ricorda il martirio di Alì, il nipote del profeta Maometto), la celebrazione delle ricorrenze sciite in altre zone a maggioranza sciita, come Ahsa e Dammam, rimane interdetta. Rimangono sospese anche la richiesta di poter insegnare la dottrina sciita ai bambini nelle scuole e quella della riapertura di alcune moschee sciite (hussainiya) chiuse dal governo. Anzi, altre moschee sciite sono state chiuse nella provincia orientale nel 2009, di cui due ad Al-Khobar nel mese di agosto e altre due a novembre. Le autorità hanno giustificato la chiusura con la mancanza di permessi. Nel dicembre 2009 l’uso delle lapidi alle tombe (pratica esclusivamente sciita in Arabia Saudita) è stato ufficialmente bandito nel Governatorato di Medina: tutte le lapidi esistenti sono state rimosse. Nel febbraio 2009, membri della polizia religiosa saudita hanno filmato donne sciite durante un pellegrinaggio a Medina presso le tombe di personaggi venerati dagli sciiti. Rito, questo, considerato “offensivo”. Alla richiesta di avere la videocassetta, ritenuta lesiva della privacy femminile, la polizia ha risposta con l’arresto di una ventina di sciiti, rilasciati dopo una settimana. In connessione con queste proteste, altri dieci sciiti sono stati arrestati a marzo nella provincia orientale. Nel marzo del 2010 tre leader religiosi sciiti sono stati arrestati e condannati a un mese di carcere per aver celebrato servizi religiosi e presumibilmente per aver organizzato le cerimonie dell’Ashura nel dicembre 2009 ad Al-Khobar, nella provincia orientale.

I musulmani ismailiti (circa 700.000 in Arabia Saudita), continuano a subire gravi discriminazioni e abusi da parte delle autorità saudite, oltre che nella pratica religiosa, nei pubblici impieghi, nel sistema giudiziario e nell’istruzione. Negli ultimi anni il governo ha chiuso diversi luoghi di culto ismailiti. Nell’agosto del 2009, il re dell’Arabia Saudita ha ordinato la liberazione “anticipata” di 17 ismailiti. Si tratta dell’ultimo gruppo di 100 fedeli arrestati nel 2000. La liberazione è avvenuta a pochi mesi dalla fine della pena inflitta (10 anni). Nel gennaio 2009, le autorità saudite hanno arrestato Hamoud Saleh Al-Amri, un blogger saudita che ha descritto la sua conversione dall’Islam al cristianesimo sul suo sito web. È stato rilasciato nel mese di marzo, dopo più di due mesi di carcere, a condizione di non lasciare il Paese o parlare ai media.

“Aiuto alla Chiesa che soffre”
sottolinea nel suo rapporto alcuni aspetti positivi in tema di libertà religiosa registrati nel Paese negli ultimi tempi. Nell’ordine: il calo della confisca di materiale religioso non islamico negli aeroporti; le dichiarazioni di alti funzionari del governo a favore della tolleranza verso le altre religioni; le nuove nomine ad alte cariche dello Stato – a beneficio di soggetti meno conservatori - dell’inizio del 2009; i 2.700 programmi di formazione, di cui hanno usufruito più di 150.000 persone, con l’obiettivo di aumentare la tolleranza e incoraggiare la moderazione, condotti a partire dal dicembre 2009 dal Centro Re Abdulaziz per il Dialogo nazionale; a livello internazionale, la promozione da parte del Re saudita, attraverso la Muslim World League (MWL), della Conferenza di dialogo interreligiosa tenutasi tra la fine di settembre e i primi di ottobre 2009 a Ginevra, in presenza di 166 leader religiosi, accademici e altre personalità provenienti da diverse parti del mondo.