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Roccella: «Bisogna fermare chi vuole l'eutanasia»

«Noi vogliamo evitare che nel nostro Paese vengano introdotte prassi eutanasiche per via giudiziaria».

Attualità 03_03_2011
eutanasia
“Noi vogliamo evitare che nel nostro Paese vengano introdotte prassi eutanasiche per via giudiziaria”. E’ netta il Sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella, nello spiegare i motivi del disegno di legge sul fine vita che andrà in discussione alla Camera dei Deputati il prossimo 7 marzo.

Lei afferma, quindi, che nel nostro Paese c’è una volontà di introdurre l’eutanasia?
Mi sembra non ci siano dubbi. C’è una formidabile campagna pro-eutanasia, dotata di un armamentario non indifferente, che si è rafforzata grazie all’introduzione di alcune prassi mediche per via giudiziaria. Il fenomeno non è nuovo. E’ accaduto anche in altri Paesi.
Ci fa qualche esempio?
Negli Stati Uniti, i casi sono stati numerosi. Cito  quelli di Nancy Cruzan e Antony Bland, ad esempio. Poi c’è da considerare il caso paradigmatico dell’Olanda, dove l’ eutanasia è stata introdotta dopo quindici anni di sentenze che autorizzavano prassi mediche eutanasiche. Anche in Italia, se il Parlamento non intervenisse in questa materia, vi sarebbero decine e decine di sentenze, che introdurrebbero di fatto l’eutanasia.
L’Italia cosa c'entra con questi casi?
Mi sembra evidente che nel “caso Englaro”, i giudici della Corte d’Appello di Milano abbiano voluto introdurre una prassi, desumendo ex post la volontà del soggetto, da una conversazione riportata dai familiari o da presunti “stili di vita”. Creando, quindi, un grave precedente, in base al quale non occorre il consenso informato, che deve essere invece a fondamento di una legge che voglia garantire la libertà individuale. Le leggi devono essere fatte dal Parlamento, non dalla magistratura.
 
Qual è l’aspetto più importante della legge che andrà in discussione?
Innanzitutto, non è una legge sul testamento biologico. Non ha questo nome e non intende averlo. Stabilisce, per la prima volta, la necessità, per qualunque trattamento, di un consenso informato, secondo il principio liberale del conoscere per deliberare. E’ una legge sul consenso informato e sulle dichiarazioni anticipate di trattamento. Il consenso informato era una prassi, ma non è stato mai normato. La dichiarazione anticipata di trattamento non è altro che una modalità in cui si deve svolgere il consenso informato, in previsione di una condizione che forse una volta nella vita di una persona si può realizzare. La definirei una legge che sancisce il rapporto di alleanza terapeutica tra medico e paziente. Una legge di libertà.
In un recente articolo apparso sul “Corriere della Sera”, Ernesto Galli della Loggia, richiamando l’art. 31 della Costituzione – “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario” – pone dei dubbi sull’ispirazione liberale del disegno di legge, laddove si prevede che il soggetto incapace d’intendere e di volere, che ha reso in precedenza dichiarazioni anticipate di trattamento, sia in sostanza privato della sua volontà, sostituita da quella del medico, che ha il compito di decidere. Cosa risponde a quest’obiezione? Con questa legge viene rispettata la volontà del paziente, in ogni caso?
E’ un’obiezione che non condivido. Nel 2003, il Comitato Nazionale di Bioetica scriveva, in un suo parere:  “E’ come se, grazie alle dichiarazioni anticipate, il dialogo tra medico e paziente idealmente continuasse anche quando il paziente non possa più prendervi consapevolmente parte”. All’interno di questo contesto si deve leggere la previsione che, anche in presenza delle dichiarazioni anticipate di trattamento, il medico agisca in base a “scienza e coscienza”, svolgendo la sua valutazione, con libertà ed autonomia, anche non applicando una terapia che in base alla sua valutazione ritiene non adeguata.
Non viene lesa, così, la volontà del paziente?
Assolutamente, no. Se questo avvenisse, il paziente – nel caso di un soggetto in stato d’incoscienza può farlo un parente o il fiduciario – può rivolgersi ad un altro medico. Vorrei anche ricordare che il medico deve sempre motivare nella cartella clinica la mancata applicazione delle dichiarazioni anticipate di trattamento e questa motivazione, se non condivisa dal paziente (o da chi per lui), può essere oggetto di contenzioso giudiziario.
C’è anche un altro elemento da considerare, non trascurabile: le dichiarazioni anticipate di trattamento vengono rese in previsione di un evento che si potrebbe realizzare, ‘ora per allora’. Se fossero totalmente vincolanti per il medico, si potrebbe verificare la possibilità di privare il paziente di nuove terapie nel frattempo scoperte o di eventualità di assistenza e cura non previste nelle dichiarazioni anticipate di trattamento. Mi sembra, quindi, che la procedura prevista salvaguardi entrambe le libertà, quella del paziente e quella del medico, tenendo ben presenti due principi: quello dell’autodeterminazione e quello dell’alleanza terapeutica.